Di Valentina Croci

Oggetti storici fuori catalogo o prototipi che mai hanno avuto una produzione in serie vengono rieditati dalle aziende del design, in collaborazione con le fondazioni o gli eredi del progettista, nel rispetto del diritto d’autore e al fine di mantenere e valorizzare le opere dello stesso.

In Italia il primo a industrializzare pezzi storici è stato Dino Gavina nel 1961 con gli arredi del Bauhaus e, in seguito, Cesare Cassina con gli arredi di Le Corbusier e Charlotte Perriand, acquisendone nel 1965 la licenza per la produzione. Dall’altro lato, manifestazioni destinate al mercato del design da collezione come Design Miami, oggi giunto alla decima edizione, confermano la crescita del collezionismo di pezzi unici del XX secolo. E ci chiediamo il perché.

Probabilmente, in quest’epoca di mutazioni instabili, esemplari vintage dal conclamato valore storico sono espressioni linguistiche in cui i più ritrovano un’appartenenza culturale. In un’era di percezione ‘sincretica’ e globale della vita e del passaggio storico, questi oggetti rappresentano l’incarnazione di utopie, di momenti di straordinaria ricerca intellettuale – il modernismo europeo e la sua volontà di inventare un mondo nuovo; la nascita del furniture design nel boom industriale italiano; il radical design e la riscoperta delle arti. E, come tali, questi oggetti vengono a simbolizzare una stabilità rassicurante rispetto all’instabile contingenza del nostro tempo. Per tentare di spiegare il fenomeno, raccogliamo tre diversi punti di vista sul valore e il mercato di riedizioni e pezzi unici di modernariato.

Francesca Molteni, curatrice della collezione Gio Ponti per Molteni&C. e della mostra itinerante Vivere alla Ponti, ci racconta che rieditare è perpetrare un’eredità culturale. La serie di arredi è nata dall’osservazione di una libreria dell’architetto milanese, attuale nel disegno e mai industrializzata, chiedendosi se tale pezzo potesse essere prodotto in modo industriale e a prezzi accessibili.

“La sfida è stata restituire i prodotti nella versione originale per quanto riguarda le proporzioni e i materiali, ma facilitandone le tecniche produttive e aggiornandoli agli standard odierni. Non vogliamo realizzare edizioni limitate perché lontane dalla visione di Ponti, né a prezzi proibitivi perché lui non ha mai inteso il design come qualcosa di esclusivo. Sono pezzi attuali per la genialità del designer, il senso delle proporzioni, l’attenzione ai dettagli e perché sono ‘facili’, ovvero in grado di convivere con gli arredi contemporanei. Sono iconici ma vicini al mondo del vivere odierno”.

È stata un’operazione lunga e coraggiosa per l’azienda, che dal 2009 al 2012 ha presentato i primi pezzi a catalogo. L’idea è proseguire e rieditare anche qualche pezzo del passato di Molteni&C. senza però buttarsi nel mercato delle riedizioni. “La collezione” aggiunge Giulia Molteni, Marketing and communication director Molteni&C Dada “si rivolge agli estimatori del ‘good design’ che apprezzano i grandi maestri e conoscono la cultura di personaggi come Gio Ponti, ma non sono i collezionisti di modernariato che possono spendere cifre esorbitanti per un singolo pezzo. Abbiamo evitato, infine, la ‘limited edition’ perché contraria ai principi dell’industrial design che vedeva proprio nella produzione in serie una democratizzazione della società”.

Dalla parte del collezionista, invece, la gallerista Nina Yashar di Nilufar e Rodman Primack, direttore di Design Miami. “Credo” spiega Nina Yashar “che il valore aggiunto dei pezzi unici di design del XX secolo, sempre più richiesti dai collezionisti, sia dato da alcuni pezzi che fanno la storia. Sono una certezza, una sicurezza a cui si torna sempre, in un mondo dove tutto viene consumato velocemente e passa di moda. Questi oggetti mantengono intatta nel tempo la bellezza, la funzionalità e il valore estetico.

Design Miami è da sempre contraddistinto dalla presenza di pezzi vintage, che in quest’ultimo anno sono stati prevalenti sul design contemporaneo. Il mercato dei collezionisti di oggetti del XX secolo si sta allargando perché meno rischioso: i pezzi sono già storicizzati e più comprensibili rispetto all’art design contemporaneo. Mi auguro che il vintage sia il punto di inizio per spostarsi verso il XXI secolo con progetti più stimolanti e sperimentali. Il mercato del design collezionabile è molto più piccolo di quello dell’arte contemporanea: una proporzione di 1:20. È sicuramente in crescita e non presenta ancora la stessa manipolazione di prezzi o speculazione che ha il mercato dell’arte.

Un’altra differenza sta nel fatto che il design da collezione è comprato anche per la funzione: molti clienti usano quotidianamente i pezzi unici nonostante la loro preziosità. Raramente sono beni messi in cassaforte. Si acquista il vintage per la storia che porta con sé e per la bellezza che si trasforma con l’utilizzo”. Sulla differenza tra l’oggetto d’arte e il design collezionabile Nina Yashar precisa: “Credo che un pezzo di design industriale possa essere collezionato e apprezzato nella sua vera essenza, estetica e funzionale, senza per questo essere categorizzato come oggetto d’arte. Condivido il pensiero di Gillo Dorfles quando dice che il design è ‘parzialmente’ arte, una forma di progettazione con un quoziente artistico assieme a un quoziente di marketing. L’oggetto di design non deve essere fatto con lo scopo di diventare un oggetto d’arte: deve corrispondere alla sua funzione, non soddisfare lo sfizio di essere solamente ‘artistico’”.

Sulla differenza tra riedizione e oggetto di modernariato Primack conclude: “Alcuni dei pezzi vintage erano prodotti in quantità limitate, il designer è spesso stato coinvolto nel processo produttivo e rispecchia tecnologie e modi di produrre di un preciso momento storico. A questi fattori si aggiunge la rarità, percepita come valore aggiunto perché sentita come testimonianza e segno di ‘originalità’. Non ho niente contro la produzione continuativa in quanto molti oggetti sono stati pensati proprio per questo; ma per me c’è differenza tra ciò che fu realizzato durante l’esistenza del designer, ovvero a sua cura, e ciò che viene rieditato oggi. Forse, se egli fosse ancora in vita, lo realizzerebbe con altre tecnologie. Le riedizioni e il vintage non hanno necessariamente mercati diversi: chi richiede il pezzo unico può comprare anche riedizioni. C’è però differenza tra il collezionista in senso stretto e ‘l’amateur’ che compra gli oggetti per decorazione d’interni”.

 

Valentina Croci

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L’allestimento della galleria Ulrike Fiedler a Design Miami\ Basel 2014, specializzata in pezzi unici del modernismo europeo.
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La sedia di Rietveld del 1924 (galleria Ulrike Fiedler).
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Uno specchio autoportante di Joseph-André Motte della collezione Charron, 1959 (Galerie Pascal Cusinier).
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La poltrona Mod. 820 di Gio Ponti (1953), realizzata per l’Hotel Royal di Napoli e poi prodotta da Cassina (entrambi di Galleria O. Roma).
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Due consolle di GioPonti del 1951/52 realizzate da Giordano Chiesa (galleria Nilufar).
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‘Salotto è il nome dell’allestimento della galleria Nilufar a Design Miami/Basel 2014. Sopra il grande tappeto disegnato da Martino Gamper, una selezione di pezzi unici e storici di Carlo Scarpa, Gio Ponti, Max Ingrand, Ico Parisi e Angelo Lelli.
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Una serie di arredi inediti di Ettore Sottsass del 1954-56, realizzati da Abet Laminati Plastici in occasione della Formica-Domus Competition del 1954, vincendo il secondo posto (Erastudio Apartment-Gallery).
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Tavolo n. 512 di Jean Prouvé, 1953 (Galerie Patrick Seguin).
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Tavolo di Marcel Breuer, 1923 (Ulrike Fiedler).
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Poltrona di Janine Abraham & Dirk Jan Rol, 1959-60, edita da Sièges Témoins (Galerie Pascal Cusinier).
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Libreria Antony di Jean Prouvé, 1955 (Galerie Patrick Seguin).
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Specchio di Max Ingrand per FontanaArte, 1957 c.a (Galleria O. Roma).
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Poltrona mod. 593 di Gio Ponti, 1950, realizzata da Cassina (Nilufar).
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Scrivania Stadera di Franco Albini e Franca Helg, 1950 (Galleria Colombari).
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Cassettiera Evelyne di Joseph-André Motte, 1959 (Pascal Cusinier).
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Carrello per il tè di Marcel Breuer, 1932 (Ulrike Fiedler).