Progetto di Jakob + MacFarlane Architects
Intervento artistico di Electronic Shadow
Foto di Roland Halbe
Testo di Antonella Boisi

Dominque Jakob e Brendan MacFarlane sono una coppia di architetti che, sperimentando tecnologie digitali e nuovi materiali con approccio metodologico, non disdegnano ibridazione disciplinare ed ‘effetti speciali’ in architettura; espressi con un’eloquenza del segno che restituisce sempre una spinta alla modernizzazione dei contesti in cui operano.

Così è stato per il progetto dei Docks di Parigi, Città della moda e del design, nel 2008 e, ancora prima, per il Restaurant Georges al Pompidou Centre (Paris, 2000), solo per ricordare due dei loro interventi più noti.   Così è per il nuovo FRAC a Orléans, il centro per l’arte contemporanea, che è la 12esima sede aperta in Francia a breve distanza da quella di Marsiglia firmata da Kengo Kuma dei 23 Fonds regionaux d’art contemporain (30 anni di vita celebrati quest’anno, all’insegna di un’interessante politica di circolazione di opere e cultura).   Il loro intervento si esprime in una copertura che riconosce il valore della texture strutturaleall’interno di un luogo che presentava il problema di preesistenze ambientali storiche. Si declina infatti con una pelle fatta di una struttura tubolare prefabbricata rivestita di alluminio anodizzato che si integra in un complesso caratterizzato da palazzi del XIX secolo.   L’ampliamento è stato, in chiave metaforica, denominato The turbulencesin virtù dei volumi in movimento che definiscono il nuovo landmark-segnale urbano, enfatizzato dagli artisti di Electronic Shadow (Niziha Mestaoui e Yacine Ait Kaci) che hanno parzialmente coperto la struttura con un velo di luce interattivo, programmato in tempo reale.   È la materia che riflette la fusione dell’architettura con l’arte, mission del museo che ospita una collezione di 15.000 disegni di architettura sperimentale, 800 modelli e 600 opere di artisti, secondo una composizione che prevede uno spazio di circa 370 mq dedicato all’esposizione permanente, 1.000 mq per le mostre temporanee, 180 mq per il laboratorio pedagogico;  una caffetteria, un bookshop, un auditorium e un centro di documentazione.   All’interno di un edificio sviluppato su due livelli, che vive di spazi bianchi e immacolati, infilate di finestre ad arco a tutto tondo, tubi degli impianti a vista, pilastri inclinati che attraversano gli ambienti, espositori bianchi come isole monolitiche di geometrie varie sospesi con cavi d’acciaio.   L’inaugurazione del nuovo FRAC, lo scorso settembre, ha coinciso con l’opening della nona edizione di Archilab, laboratorio internazionale ubicato in città che raccoglie gli studi più avanzati di ricerca architettonica. Tema di quest’anno Naturalizing Architecture, modo di esplorare i progetti attraverso strumenti digitali, secondo principi esistenti in natura: “perché l’architettura può essere assimilata a un organismo in grado di evolversi e adattarsi all’ambiente”.   Incipit coerente all’impostazione del progetto di Jakob + MacFarlane: “Abbiamo spostato il centro di gravità verso il cuore del sito, la corte interna” spiegano, del vecchio deposito dell’esercito 800esco che accoglieva, in ultima istanza, il FRAC e da cui è nato il rinnovamento museografico distillato dall’interpretazione della copertura.   “Il nuovo segnale urbano – la turbolenza –  emerge come modulo dinamico sulla base della deformazione parametricaed estrusione delle matrici geometriche dei palazzi esistenti. Coinvolge l’intero sito a forma di U e si autogenera proprio a partire dal loro incontro/convergenza e dall’interpretazione delle forze che vi agiscono.   Dentro la corte quadrata concepita come una piazza pubblica, luogo di scambio materiale e immateriale, una superficie topografica, seguendo le differenze di quota verso l’ingresso del museo, configura il collegamento dei corpi di fabbrica e il programma del centro, veicolando il flusso dei visitatori verso gli spazi espositivi”.   La turbolenza più alta inquadra la galleria delle esposizioni temporanee, la più bassa una galleria audiovisiva e la terza una zona lobby, con appendici retail e sosta, quest’ultima prolungata all’esterno nel giardino progettato dallo studio ruedurepos (Christophe Ponceau e Mélanie Drevet).   La demolizione di un edificio preesistente e del muro che costeggiavano il Boulevard Rocheplatte hanno consentito di aprire il nuovo complesso verso la città, con un gioco di contrasti tra leggerezze e masse, luci e ombre.   Le porzioni sfaccettate di vetro e metallo rafforzano le dinamiche visive delle turbolenze, che, nella parte inferiore, sono in pannelli di calcestruzzo, a sottolineare la continuità degli edifici con il cortile, mentre nella parte terminale, come un cannocchiale dalla figura impropria, diventano due occhi puntati verso il cielo generati da spinte della terra.   Nell’incontro con la pelle interattiva di luce messa a punto dagli artisti di Electronic Shadow si rivela l’essenza del genius loci: un luogo dedicato alla sperimentazionein ogni sua forma.   Perché le centinaia di diodi, che utilizzano le linee di costruzione delle turbolenze per passare da punto a linea, da superficie a volume, da immagine a media-facciata secondo una griglia reticolare, definiscono una pelle traspirante per il pubblico e per i passanti.  Una forma dinamica di architettura delle informazioni.