progetto di SPEECH Tchoban & Kuznetsov
foto courtesy di Speech Tchoban & Kuznetsov
testo di Matteo Vercelloni

I tre blocchi architettonici di quattro, sei e nove piani, appaiono in lontananza dei volumi precisi, scanditi da una griglia regolare di rapporti pieni e vuoti che evidenzia un disegno di facciata segnato da aperture verticali abbinate e sovrapposte che emergono da uno sfondo di pietra chiara.

Lo sforzo di creare un disegno urbano che superi la monotonia degli impersonali condomini residenziali che si trovano nella fascia che circonda la città, frutto degli anni della ‘quantità’ e della risposta a esigenze immediate di inurbamento, appare già nell’impianto microurbanistico e nella varietà delle altezze del planivolumetrico complessivo. Ma è avvicinandosi al complesso ed entrando nella corte centrale di riferimento che il riuscito tentativo di offrire un’architettura di altro tipo, un prodotto residenziale diverso da quelli presenti sul mercato immobiliare (caratterizzato da impacciate forme di revivals e da sprazzi modernisti ortodossi) emerge sia a livello materico, sia dal punto di vista figurativo nella definizione di una complessa e ricca pelle architettonica, definita da una sommatoria di pietra, ferro e vetro. L’idea di Sergei Tchoban e di Sergey Kuznestov è quella di unire alla necessità di un percorso progettuale esplicitamente contemporaneo il sapore di una tradizione ritrovata e reinventata, che superi la scorciatoia del revival stilistico o dei goffi tentativi di ‘stilizzazione’ di condomini privi di qualità. Non solo la ricchezza della palette materica, della tecnologia e dei servizi offerti dal complesso, il lucido disegno degli esclusivi appartamenti (non più di due per piano), i livelli di privacy, appaiono quali garanzia di un successo sul mercato, ma la carta in più, il surplus del progetto è proprio il gioco con la memoria, il fatto di richiamare gli antichi pattern decorativi a diventare parte integrante della realizzazione, sia per l’aspetto esterno, sia per quello degli spazi comuni degli edifici. La pietra chiara che ricopre i fronti, affiancata a brani di pietra scura, impiegati come marcapiani a interrompere in orizzontale la verticalità delle finestre binate, sono oggetto di un attento intervento di decorazione riccamente modulare che rende tridimensionale l’aspetto del rivestimento complessivo trasformando i tradizionali motivi intrecciati e a serpentina in un’efficace texture che assorbe la luce del giorno enfatizzando le ombre prodotte dal proprio rilievo scolpito. Alla lavorazione della pietra si uniscono le ringhiere di ferro brunito e le lastre di vetro serigrafato che seguono gli stessi motivi, disegnando la trama di facciata che si ritrova con convinzione negli interni. Come nella hall d’ingresso, in cui la ricca trama decorativa si ripete sui muri rivestiti di pietra e sul soffitto di metallo traforato, incorniciando gli ascensori e creando uno stretto legame tra esterno e interno. Un progetto che nell’intenzione dei suoi autori intende rileggere e proseguire la lezione di Andrej Konstantinovic Burov (1900-1957), l’architetto russo autore, tra gli altri numerosi edifici costruiti in città, della Central House of Architects (1941) caratterizzata da un imponente portale rinascimentale e poco distante da Granatny 6. L’eredità di Burov, nello sforzo compiuto all’inizio del 1940 di una sintesi compositiva tra architettura moderna e tradizione di un passato poco lontano e di lunga durata, ritorna in questa realizzazione contemporanea nello sforzo di dimostrare che non esiste contraddizione tra architettura moderna e consapevolezza della propria tradizione, uso della storia e delle sue figure come ‘materiale’ per il presente.