Nel 1990 la prima edizione del Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino istituito dalla Fondazione Benetton Studi e Ricerche, premiava all’unanimità il Sítio Santo Antônio da Bica (a Barra de Guaratiba, poco lontano da Rio de Janeiro); si trattava di un riconoscimento a un luogo di lavoro, di vita e sperimentazione botanica, dove Roberto Burle Marx ha vissuto e lavorato dal 1949 al 1994, e che oggi è parte della cultura brasiliana e dell’offerta museale del Paese.

Tra le motivazioni della giuria si sottolineava il carattere del luogo quale “verde disegnato che coniuga e compone in un’unità d’immagine, sapienza botanica rigorosa e cultura figurativa spregiudicata. […] Ricerca scientifica e invenzione artistica sono, in Burle Marx, indistinguibili. Indagine sul patrimonio botanico brasiliano, identificazione delle sue peculiarità, lotta per la sua conservazione, uso di questo patrimonio come alfabeto compositivo: tutto ciò corre parallelo lungo più di mezzo secolo di inesauribile operosità”.

Il Sìtio comprende il giardino, la residenza, una piccola cappella del XVI secolo e il vastissimo orto botanico/laboratorio dedicato alla flora brasiliana. Una sommatoria di spazi e di colori, di forme e odori, che ne fanno una sorta di complesso e significativo ‘autoritratto paesaggistico e culturale’ del suo artefice, in cui la passione e la conoscenza della botanica, assunta come valore della cultura del proprio Paese, si unisce alla sensibilità per le arti visive e alla propensione dell’essere ‘moderno’.

Burle Marx traduce nel progetto del paesaggio lo spirito innovatore del Movimento Moderno, filtrato però, e in modo significativo, dal colorato occhio carioca. Storia e modernità si miscelano in un serrato dialogo nel Sítio; qui Burle Marx costruisce la sua casa rimontando i resti di un edificio urbano inutilizzato, cui affianca una vasca d’acqua composta ancora da frammenti dei vecchi palazzi costruiti dai portoghesi nei secoli passati, trasformati in elementi da costruzione per uno strabiliante collage froebeliano, calato in una personale foresta artificiale.

Il montaggio architettonico si miscela ai rivestimenti ceramici astratti che ne colorano il portico, ai soffitti affrescati di alcuni interni, alle collezioni di arte e artigianato. Al suo intorno, quale elemento connettivo tra interno ed esterno, si pone la vasca di pietra scandita da una geometria a conci orizzontali posti su vari piani in aggetto, che fanno dell’opera una sorta di magistrale lezione di scultura ambientale.

Si trovano nel Sítio due dei caratteri dominanti dell’opera di Burle Marx: il montaggio compositivo e l’idea della foresta. La scoperta dello splendore plastico-artistico della selva brasiliana avviene per Burle Marx non tanto in Brasile (dove la foresta-giungla era sinonimo di paura, rifugio di indios selvaggi e di bestie feroci), ma proprio nel vecchio continente.

È a Berlino (Paese natio della madre), dove a diciotto anni si reca per curarsi una malattia agli occhi, che il giovane ‘scopre’  il valore estetico della foresta davanti a una serra di piante tropicali brasiliane nel Giardino Botanico della città. L’incontro rivelatore che segnerà per sempre il suo percorso di ricerca, che si arricchirà anche di valori etici e di orgoglio nazionale (“difendere, con tutti i mezzi a mia disposizione la nostra flora” diventerà un imperativo categorico presente in tutti i suoi progetti), è affiancato dall’influenza della novità rivoluzionaria delle avanguardie artistiche dell’Europa della seconda metà degli anni Venti.

Così la foresta, quasi con un atteggiamento dadaista, in un nuovo esplosivo rapporto tra arte, natura e progetto, è affiancata all’architettura moderna (ville e palazzi pubblici) ed è portata in modo surreale nel contesto urbano; nel giardino privato e nel parco pubblico attraverso un procedimento di montaggio che è stato giustamente definito da Manolo De Giorgi come “l’unica opera completa che il Movimento Moderno ha prodotto con il verde”.

Una pratica compositiva scandita da una vegetazione assunta come tessuto di connessione orizzontale, su cui si inserisce il secondo livello di alberature ed elementi verticali, per poi concludersi con una vegetazione pensata quale decorazione tettonica.

Una serialità di tipo architettonico (pavimentazione, pilastri e copertura) aperta a variazioni continue nel dosaggio delle percentuali tra le tre componenti sempre comunque presenti, quali elementi di base per la garanzia della costruzione del giardino.

La foresta come artificio è poi tradotta in sintesi programmatica nel disegno multimaterico dell’insieme, dove accanto alla sensibilità artistica (“io dipingo i miei giardini” affermava Burle Marx) è sempre presente la profonda conoscenza della natura, che unisce all’esaltazione delle qualità plastiche e pittoriche, olfattive e cromatiche, di piante e fiori, la consapevolezza strutturale delle esigenze ambientali di ogni elemento vegetale impiegato.  Come nel Sítio Santo Antônio da Bica.

Foto di Filippo Poli – Testo di Matteo Vercelloni