Foto di Cosmo Laera
Testo di Antonella Boisi
Siamo nel basso Salento, nei dintorni di Salve, a pochi chilometri da Santa Maria di Leuca e dal mare, nel buen retiro di Massimo Iosa Ghini, architetto e designer di primo piano nel panorama del progetto internazionale. Abbastanza distanti per sentirsi in campagna e in mezzo alla natura: vita, silenzi e venti salmastri.
Nel suo essere globetrotter, Iosa Ghini ha scelto quest’angolo di Puglia come luogo di vacanza per sé e famiglia “Milena (Mussi, ndr) ha contribuito, partecipando attivamente al progetto” spiega “perché, abbracciando l’idea albertiana secondo la quale prima di costruire è necessario stare almeno un giorno intero in un luogo (in realtà, per noi sono stati più di uno), ho interiorizzato la consapevolezza che questa terra rossa, con le sue pietre chiare, gli ulivi secolari, la cucina, ha un suo metabolismo e un respiro non affannoso, a prescindere.
Una dimensione archetipaideale per rigenerarsi e facile da raggiungere, anche durante i fine settimana. Volevo che l’ambientazione creata da me ne fosse parte: integrata e figlia delle stesse rocce su cui poggia, acquattata in modo discreto tra le alberature esistenti, i tronchi contorti e attorcigliati su se stessi di antichi ulivi, estroversa e aperta a un rapporto osmotico autentico”.
Detto fatto. L’architettura della casa, ex novo, si distende su un unico livello, su un terreno di oltre un ettaro, ricco di maestosi ulivi e pini marittimi, la tipica vegetazione del posto. È bella, perché essenziale: precisa nei tagli, di sapore modernista, incisiva nella figura leggera, sapiente nell’ordine e proporzione tra volumi e spazi, fatta di una matericità grezza che recupera tradizioni costruttive e manodopera locale.
Ma è anche buona, perché contraddistinta da un cuore eco di ultima generazione, pensato per ottimizzare risorse e costi, grazie all’impiego sia di tecniche di controllo passivo (brise-soleil, vetri basso emissivi, pergolati verdi, sfruttamento dell’ombra naturale delle essenze presenti) che di controllo attivo (come i pannelli fotovoltaici collocati in zone non accessibili della copertura).
E questo è il dato più sorprendente: come se, anche in un contesto rilassato, il maestro della corrente bolidista non potesse rinunciare alla sperimentazione che è nel suo dna, bilanciando con equilibrio rispetto del genius-loci e modernità d’intervento. “Deformazione professionale” dice.
“Ho studiato con attenzione il percorso del sole e come si muove la terra che, in marzo-aprile, è coperta di arbusti in crescita esponenziale nella parte degradante verso il mare visibile all’orizzonte, la sua ciclicità e la forte escursione termica di cui è oggetto: molto secca d’estate, altrettanto umida d’inverno. Ho ascoltato i suggerimenti di architetti e maestranze locali che mi hanno spiegato tecniche di lavorazione e caratteristiche dei materiali autoctoni”.
Le scelte progettuali sono state una derivazione di quest’accurata analisi. Il disegno della planimetria, ispirato dall’immagine delle masserie salentine, è stato ragionato proprio per integrare le radici degli alberi preesistenti. La copertura piana, parzialmente destinata a solarium, cui si accede da una scala esterna, è diventata il privilegiato belvedere panoramico sulla campagna e sul mare.
Il rapporto costante tra spazi interni ed esterni enfatizzato dall’adozione di ampie partizioni vetrate con sottili infissi metallici: sei metri quella del generoso living, esposto a sud e collocato in posizione centrale, su cui attestano quattro camere da letto con relativi vestiboli e servizi.
Si integra, sulla sinistra, con un hortus conclusus aperto alle zone da vivere en plein air. E si collega, con un sentiero, in cemento levigato, all’unico volume autonomo preesistente: una pajara, oggetto di restauro conservativo, prestata alla funzione di dèpendance per gli ospiti.
Le scelte materico-cromatiche hanno privilegiato per la pavimentazione esterna la locale pietra Chianca, fatta di polvere lapidea e malta ad effetto resina lucida, nelle cromie di riferimento, chiare quasi bianche; per quella interna, invece, dei grandi pannelli in gres porcellanato rettangolari, complanari e privi di fuga, nelle medesime nuance.
“Non volevo correre rischi di infiltrazioni dentro casa: la pietra Chianca è affascinante, ma fessura” spiega Iosa Ghini. Per le pareti perimetrali, in certe zone trattate a secco o finite a calce, è stato adottato intensivamente il modello del ‘muro a sacco’ che, in virtù della notevole profondità, rappresenta una buona schermatura anche rispetto al calore: all’interno è tufo di Acquarica di misura standard (35×70 cm), nel mezzo un pannello coibente in feltro, sull’esterno ancora tufo, ma tagliato a metà, ad ottenere una sorta di elegante dogatura di reminiscenza wrightiana.
Le zone dei pergolati sono state risolte con strutture lignee acidate a risultare quasi bianche e corredate di cannucciati che filtrano la luce accecante del giorno. Amalgamati da quel bianco-guida non omogeneo accostato a tonalità corda e grigie, i medesimi materiali e colori ritornano negli spazi interni. Tutte grigie sono ad esempio le cornici delle porte in legno laccato, di fattura locale.
In pietra leccese, il camino del living, figura catalizzante ed emblematica per essenzialità. Per il resto, quasi azzerate le concessioni decorative: pochi oggetti di selezionato artigianato e qualche arredo di design d’affezione. Come il tavolo disegnato per Bonaldo che introduce un elemento di forte contrasto distonico nell’insieme, con lo ‘scarabocchio’ tridimensionale della sua base, accompagnato dalle sedute in legno di rovere acidato di produzione friulana, o il divano di Moroso.
“Protagonista assoluta del palcoscenico domestico resta infatti quella luce tagliente che, sia dentro che fuori, ridisegna ogni geometria con le sue ombre nette e precise” ha riconosciuto Iosa Ghini. Più di così…
Antonella Boisi





