PROGETTO DI ALBERTO BIAGETTI & LAURA BALDASSARI
FOTO DI ALICE FIORILLI
TESTO DI ANTONELLA BOISI

"Disegnare la propria casa è un esercizio che dovrebbero fare tutti, perché solo pensando al proprio spazio abitato si può capire qual è la qualità della nostra vita, come vogliamo relazionarci alle persone che ci stanno vicine o anche ospitare – è come progettare il proprio abito che è di per sé il primo luogo dove abitiamo.

Curare la tua casa è come curare te stesso”. Alberto Biagetti, origini professionali che appartengono all’avanguardia del design italiano (Alchimia prima e Memphis dopo), dal 2003 deus ex machina di Atelier Biagetti, una fabbrica estetica che si occupa in modo trasversale di design, architettura e design interattivo (tra i suoi lavori più conosciuti, l’immagine di Yoox di cui è stato per 12 anni direttore creativo e le collaborazioni con Memphis Milano, Venini, De Vecchi) non ha dubbi: “È un esercizio bello ma è anche il più difficile perché restituisce paure, insicurezze, spontaneità trattenute – farlo con qualcun altro diventa più facile perché rende possibile il confronto”. Così quando il suo sguardo ha intrecciato quello della moglie Laura Baldassari, musicista e pittrice – autrice di una serie di ritratti enigmatici-liquidi e di paesaggi-frammenti di natura interpretati con “occhio botanico” in suggestivi oli su tavola, anche lei romagnola (di Ravenna) e ottima cuoca – la storia di questa casa in zona Navigli a Milano ha avuto il privilegio di conoscere un’evoluzione diversa. Lontana anni luce da certe esibizioni muscolose dell’architettura e dal gusto ‘coordinato’ del product design serializzato. Al di là della nuova e dovuta rispondenza ai dati funzionali – al piano terra, il living comunicante con la cucina (il luogo elettivo più importante per dna degli ospiti), nel soppalco l’area relax con bagno dedicato, al piano superiore lo spazio notte e lo studio di Laura – è infatti diventata una visione, lo scenario condiviso di una coppia di creativi: “Una sorta di foresta che cambia in continuazione (anche perché per certi aspetti è un luogo di lavoro) o, se vogliamo, una specie di diario – dove gli oggetti sono i nostri appunti” spiega Biagetti. “Infatti tra il nostro corpo e la nostra casa ci sono gli oggetti che compongono lo spazio abitato – una ‘mappa’ che se costruita con passione è sempre una sorta di teatro reale di sé stessi. Perché l’oggetto è un’estensione del corpo. Abbiamo preso possesso di questo palcoscenico, scoperto qualche anno fa, in modo graduale e questo è un dato interessante. La casa aveva già sue potenzialità, una scansione aperta, fluida e luminosa degli ambienti. Abbiamo iniziato a lavorare sul piano terra e sul soppalco sottolineati dal ritmo di un aulico colonnato ad archi a tutta altezza, poi abbiamo acquisito lo spazio superiore dedicato alla zona notte, ma ci siamo misurati con una dimensione vissuta dall’interno che già ci apparteneva. E per me e per Laura la casa resta ancora un fondale bianco, un foglio di scrittura, un luogo privilegiato di confronto: ragioniamo continuamente sul come sistemare gli oggetti e i quadri nelle loro relazioni, sul calore e l’umanità dei materiali adottati, sulle dimensioni degli spazi già costruiti o da costruire”. Le sensibilità sono però differenti, riconosce Alberto: “Ho vissuto per tanti anni in 45 mq, il problema non era lo spazio, era dove mettere tutto quanto avevo accumulato. Io tendo infatti a disegnare, comporre e ridisegnare lo spazio partendo dal presupposto degli oggetti che lo popolano. Mi anima lo spirito del collezionista di immagini, situazioni, ricordi di incontri e viaggi, che mi servono per costruire un possibile progetto. Non necessariamente mi affeziono a un pezzo, ma mi appartiene. È una presenza densa: esprime la ricerca di una profondità formale e sentimentale, in grado di ricondurla a un funzionamento simbolico nel quotidiano, perché muove una tensione estetica. Certe memorie poi restano indelebili. Un oggetto molto bello, quale la poltrona di Charles Eames, ad esempio, protagonista nel living, una forma archetipa, porta in sé valori etici, antropologici, culturali, sociali insuperabili – perché restituisce un modo davvero innovativo di sedersi. Laura invece ha un atteggiamento diverso – per lei viene prima la casa e tende a capire l’oggetto muovendo dallo spazio e dal filo conduttore dei materiali impiegati per connessioni di qualità estetiche e intrinseche”. Sono due sguardi complementari di una riuscita sintesi compositiva corpo-quadro: se gli oggetti prevalgono infatti sull’architettura della casa, negli spazi si percepisce chiaramente anche il fil rouge dei materiali selezionati che legano la visione globale con il frammento: il legno di rovere – preesistente, ma anche nuovo e posato a spina di pesce, di sopra; il teak con cui è stato foderato interamente il piccolo bagno del mezzanino con l’oblò; l’onice scelto per oscurare la finestra della zona doccia nel bagno principale. Un punto forte della casa, quest’ultimo, prodotto da una suggestione: “Laura stava dipingendo dei quadri su onice, un materiale già di per sé straordinario”, ricorda Alberto. “Abbiamo pensato alle chiese di Ravenna con le piccole finestre di alabastro che buie di notte si illuminano magicamente durante il giorno – e alla luce che trasforma la materia, rendendola trasparente, penetrabile, altro”. Come dire, che in questo scenario non esiste una stanza fine a se stessa confinata alla funzionalità: “Sarebbe una casa priva di vita. ‘Usa e getta’. Ci piace invece vederla unica e preziosa come un’opera d’arte. Il rinnovamento della cultura del progetto abitativo parte da qui. La domanda fondamentale infatti è: cosa è stato prodotto ad oggi e di cosa abbiamo veramente bisogno? Ecco perché il design resta così prorompente – con l’oggetto si instaura una sorta di legame psicologico, come per gli abiti, soltanto che questi si consumano più velocemente, mentre la casa sopravviverà a te stesso: è l’idea di un’estetica contemporanea fatta di innesti”.