Indossa caschetto e gilet giallo e si muove fra scavi e ponteggi come se fosse a casa sua. Matthias Sauerbruch, che con Louisa Hutton condivide dal 1989 lo studio internazionale Sauerbruch Hutton con sede a Berlino, controlla con scrupolosa attenzione lo stato dell’arte del cantiere di M9.

La sigla sta per Museo del Novecento, la nuova realtà culturale che aprirà i battenti a Mestre nel 2017. Obiettivo: rivitalizzare un pezzo di città per oltre un secolo inaccessibile al pubblico (vi sorgeva una caserma militare).

Il progetto, nato da un concorso internazionale vinto dallo studio berlinese, è stato fortemente voluto dalla Fondazione Venezia, ente privato senza scopo di lucro, che opera sul territorio veneziano per arricchirne l’offerta sociale e culturale. Ecco l’intervista che abbiamo raccolto con il progettista tedesco.

Un grande storico latino, Tito Livio (59 a.C. – 17 d.C.), cita nei suoi scritti un proverbio molto in voga ai suoi tempi: ‘magna civitas, magna solitudo’, una grande citta’, una grande solitudine. Più di 2.000 anni fa il tema del macro sviluppo urbano destava già grandissimo interesse, quasi quanto oggi, a riprova che forse non si è fatta molta strada. Lei con il suo studio si occupa di pianificazione urbana da quasi trent’anni. come e con quali strumenti si può migliorare la qualità di vita nelle metropoli di oggi?
Non conoscevo questa frase di Tito Livio, ma penso sia una citazione piuttosto pertinente. È questo forse uno degli aspetti contradditori e nello stesso tempo più interessanti della città: si può godere di un certo livello di anonimato, quindi d’indipendenza e anche, se vogliamo, di solitudine, ma d’altro lato, la città offre una gamma molto più ampia di scelte.
Ed è questo che tradizionalmente distingue la città dalla campagna. Per me, proprio la combinazione di anonimato e di un’offerta diversificata ha una valenza positiva. Resta il fatto che la ‘magna solitudo’ – parafrasando la sua citazione – è un problema su larga scala (che non limiterei al solo contesto urbano), perché sempre più persone vivono senza una famiglia alle spalle. Per questo c’è sempre più bisogno di luoghi di aggregazione sociale.

Come M9 per esempio: vuole spiegarci quali sono i suoi punti di forza?
Il museo M9 ha sicuramente lo scopo di raccontare i grandi cambiamenti avvenuti nel XX secolo, ma contemporaneamente vuole essere occasione di incontro per chi desidera conoscere la propria storia. Quasi tutti gli spazi pubblici delle nostre città hanno in qualche misura una valenza, diciamo, commerciale.
Ecco, poter disporre di un luogo dove usufruire liberamente di spazi espositivi, di aree per le attività didattiche, di mediateche, di archivi, rappresenta un contributo prezioso al miglioramento della qualità di vita di Mestre e della sua comunità. Anche il fatto che M9 si trovi vicino a ristoranti, bar e negozi ne aumenta l’attrattività: si può decidere di visitare una mostra, piuttosto che ascoltare una conferenza o, ancora, guardare un film, ma anche incontrarsi con un amico per pranzare insieme.
In questo senso il nuovo museo diventa un esperimento per cambiare, in meglio, le dinamiche del centro di Mestre, creando una proficua relazione fra attività culturali e spazi commerciali.

In molti suoi progetti, cito l’ultimo in ordine di tempo dedicato alla città di Helsinki, auspica il ‘sustainable living’: ci vuole spiegare cosa significa?
Helsinki è un caso particolare: il progetto  raccoglie la sfida di rendere un intero quartiere ‘carbon zero’, un esperimento valido certamente, ma futuribile, non di immediata realizzazione.  Detto ciò, in generale, penso che tutti dovremmo modificare il nostro modo di vivere per ridurre le emissioni di CO2 e per proteggere le nostre risorse.
Si può ottenere questo risultato, per esempio, riducendo il numero di spostamenti, rendendo le nostre vite meno frenetiche e, quindi, più attraenti. M9 va in questa direzione: nasce nel cuore del centro storico di Mestre e agisce su piccola scala. Non è, infatti, pensato per i turisti (che certo sono sempre benvenuti…), ma per la terraferma veneziana.
Questa nuova realtà culturale farà in modo che i cittadini di Mestre pensino alla loro città come a un luogo dove vivono e lavorano, ma anche dove hanno occasione di passare il proprio tempo libero, di condividere attività sociali e culturali. Ovviamente, parlando di questioni più tecniche legate al risparmio energetico, stiamo pensando a edifici performanti, che riducano i consumi, cercando di sfruttare energie sostenibili e soluzioni innovative dal punto di vista tecnologico. Ma senza mai esasperane l’uso.
Abbiamo notato che i progetti davvero vincenti sono quelli che hanno semplicemente seguito i principi base dell’architettura (orientamento, forma dell’edificio progetto accurato delle superfici finestrate…) Insomma la buona riuscita di un progetto dipende da un equilibrato mix di buon senso e di innovazione tecnologica.

M9 è un modello replicabile ?
Penso di sì. Ci sono molti (forse troppi) musei del tutto decontestualizzati dalla città. M9 va in una direzione opposta, e cioé, si ancora alla comunità sia dal punto di vista territoriale, occupando uno spazio all’interno della città (peraltro negato alla fruizione dei cittadini per anni perchè, ricordo, qui aveva sede una caserma militare), sia dal punto di vista architettonico, nel senso che si lega formalmente ed esteticamente alla città preesistente.
C’e necessità di interventi che  mettano in relazione i musei con tutte le realtà sociali e culturali di una collettività, a iniziare dalle scuole. Siamo ormai nel periodo post-Bilbao. Certo, si può essere iconici, ‘impressive’, spettacolari, ma penso che oggi ci sia bisogno di più: di un dialogo vero, solido, aperto con la comunità. Ecco, questa è la chiave!

In quale modo pensa di realizzare questo obiettivo?
Attraverso un approccio sostenibile, visto però non solo dal punto di vista tecnico ma soprattutto sociale. La città deve essere fatta di luoghi vivi e vitali, deve attirare le persone, conquistarle, invogliarle a restare e non ad andare via.
Che significa offrire servizi, comfort, occasioni… ma anche edifici che sappiano coinvolgerci emotivamente. Usando il colore, per esempio: si può dare ‘atmosfera’ a un luogo, creare una dimensione particolare, emblematica o, addirittura risollevare una situazione esteticamente infelice e socialmente degradata. Aggiungerei che il colore gioca un ruolo determinante non solo dal punto di vista architettonico ma anche percettivo perchè è in grado di modulare lo spazio su basi ottiche e non solo fisiche.
Nel progetto di M9 lo abbiamo ampiamente usato: l’esterno infatti è coloratissimo grazie a una texture di ceramica, che cambia con la luce grazie all’impiego di differenti tonalità cromatiche. Del resto è stata anche una scelta legata alla storia e alla cultura del vostro Paese. Dove ceramica e colore sono di casa!

 

Foto di Alessandra Chemollo e Sauerbruch Hutton – Testo di Laura Ragazzola

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Matthias Sauerbruch ritratto nel cantiere del nuovo centro culturale M9 che sorgerà a Mestre nel 2017.
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Dettaglio della facciata policroma in ceramica del Museum Brandhorst a Monaco di Baviera, in Germania, opera dello stesso studio berlinese.
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Plastico del Museo del Novecento.
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Il progetto prevede la ristrutturazione di un convento della fine del 500 con un chiostro coperto per eventi culturali (si riconosce la nuova copertura vetrata). Inoltre, è prevista la riqualificazione di un edificio degli anni ’60 (è l’edificio con il tetto green) destinato ad attività amministrative e direzionali.
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Plastico della zona dove sorgerà il Museo del Novecento.
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Rendering del progetto Low2No per la città di Helsinki, in Finlandia: si tratta di un quartiere sostenibile con case, uffici e spazi culturali, già premiato nel 2012 con l’Holcim Award for Sustainable Construction.
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Rendering del progetto M9: la ‘piazzetta’ del museo, un nuovo spazio che migliora la rete pedonale di collegamento fra il nuovo polo e la città.
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Rendering del progetto M9: una delle sale espositive del museo.