L’architettura ripensa ai luoghi-simbolo dell’haute couture. Succede a Parigi, nell’VIII arrondissement, dove Dior, la carismatica maison che da 70 anni rende omaggio all’universo femminile, custodisce la storia e i segreti del suo successo: l’atelier pret-à-porter al 17 di Rue Jean Goujon e l’atelier haute-couture, al 30 di avenue Montaigne, storica sede della maison.

Qui, infatti, Ivana Barbarito e Benjamin Bancel, due giovani ma lanciatissimi architetti che dal 2011 hanno fondato uno studio tutto loro – Barbarito Bancel Architects con base a Parigi – hanno  completamente ridisegnato gli spazi di lavoro degli atelier Dior. Ecco la loro testimonianza in esclusiva per Interni.

Come è nata la vostra collaborazione con Dior?
Benjamin Bancel. Abbiamo iniziato come local architects a Parigi per le boutique Dior ma poi il nostro coinvolgimento è diventato sempre più importante sino a quando nel 2016 siamo stati chiamati da ‘monsieur’ Toledano (presidente e ceo di Christian Dior Couture, ndr), per rifare il look al Dior Flagship a Miami (il progetto è gia pluripremiato, ndr) sino ad arrivare al ridisegno dei due atelier parigini.

Siete rimasti sorpresi di aver conquistato un ‘committente’ così famoso nonostante la vostra giovane età?
BB. Certo. Ma d’altro canto, la storia di Dior è sempre stata una storia di grandi cambiamenti. Basti pensare che oggi per la prima volta c’è una donna, Maria Grazia Chiuri, a reggere le sorti della maison…

Che cosa vi ha chiesto Dior?
Ivana Barbarito. Di portare luce e ariosità negli spazi di lavoro, rendendoli flessibili, confortevoli ma soprattutto moderni. Un progetto non semplice, perchè qui si creano vestiti e accessori di altissima qualità, edizioni preziose, limitate, uniche.
Per questo abbiamo pensato a una nuova organizzazione degli atelier, in piena sintonia con le esigenze di chi vi lavora: in particolare delle abili ma anche molto temute sarte, le famose ‘Petites Mains’ di Dior.
È stata preziosa per il progetto, la mediazione di ‘monsieur’ Toledano (ceo del gruppo, ndr) e di Maurizio Liotti, direttore degli atelier Prêt-à-Porter/Alta Moda/Uomo, con  i quali abbiamo lavorato fianco a fianco per molti mesi. Uno scambio ininterrotto di informazioni per comprendere al meglio cosa doveva essere migliorato e in quale modo.

Ci fate qualche esempio…
B.B. Be’, si è passati dal comprendere quando grandi dovessero essere i tavoli per agevolare l’attività delle sarte a come doveva cadere la luce sul tessuto, senza modificarne colore e volume… Insomma, abbiamo dovuto pensare a una serie di soluzioni che migliorassero il lavoro, rendendolo funzionale, ben organizzato e performante dal punto di vista dell’ergonomia. Pensi che ci siamo anche inventati delle luci per i ‘tavoli del taglio’ in grado di riprodurre una qualità luminosa e cromatica pari a quella naturale.

Il  vostro progetto ha riguardato due spazi: quali sono state le differenze?
I.B. L’edificio del prêt-à-porter è relativamente recente: ospita gli uffici, lo showroom e i laboratori di cucito, dove siamo intervenuti per riorganizzare il layout sia dal punto di vista degli spazi sia del progetto d’arredo.
Il secondo intervento, invece, ha riguardato il cuore di Dior, e cioè l’hotel particulier al 30 di avenue Montaigne, il leggendario indirizzo cha affascinò monsieur Christian ancor prima di diventare stilista. Qui ci sono i famosi atelier haute-couture, il santuario del savoir-faire firmato Dior, dove il lavoro manuale, incontrastato protagonista, ci ha stimolato a trovare soluzioni ergonomiche e illuminotecniche molto performanti.
Senza, però rinunciare al gusto del dettaglio. Per esempio, fa la sua comparsa il legno: ci piaceva che corresse lungo i bordi dei tavoli da lavoro, come un ricamo, per creare un segno prezioso, nobile, quasi un richiamo alla storia e alla patina del tempo…
Inoltre, abbiamo dovuto riorganizzare anche spazi e percorsi, perché all’hotel particulier si sono affiancati altri edifici a mano a mano che la maison cresceva. È stato quindi necessario pensare a una nuova mappatura per creare una gerarchia di spazi razionale e funzionale.

C’è un fil rouge che lega i due interventi
B.B  L’eleganza, che è poi la parola chiave del mondo-Dior, quella che dà carisma alla maison, al suo spirito inimitabile e senza tempo. Noi l’abbiamo tradotta in purezza, equilibrio di linee e forme, luce, ariosità.
I.B. Mi viene subito in mente la grande scala bianca che accoglie gli ospiti nell’atelier prêt-à-porter, un segno dolce, morbido, ma anche contemporaneo, pragmatico, insomma di oggi. Che ricorda la donna Dior salita sulla passerella nelle ultime collezioni firmate da Maria Grazia Chiuri.

Che cosa vi ha reso maggiormente contenti  del vostro progetto?
I.B. La soddisfazione delle persone. Quando siamo andati a fare il nostro sopralluogo, una volta terminato il lavoro, abbiamo capito di avere raggiunto il nostro obiettivo: le famose sarte di Dior erano felici e innamorate del loro nuovo posto di lavoro.
Certo, occuparci degli atelier di una maison così famosa, è stata una bella responsabilità: ma per noi è stato come disegnare una nuova casa per una grande famiglia. E credo che siamo riusciti a entrare nell’intimità, a capire e interpretare i segreti di un mondo così affascinante.

Qual è il segno forte dei vostri lavori?
B.B. Ma l’eleganza, naturalmente, come insegna Dior. E speriamo che si veda…

di Laura Ragazzola – Foto di Alessandra Chemollo

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La corte centrale dell’edificio che ospita l’atelier prêt-à-porter di Dior a Parigi: la luce entra copiosa dal soffitto vetrato, schermato dal gioco di candide tensostrutture.
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Schizzo del prospetto.
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L’ingresso con la scala, che serve i cinque livelli dell’edificio (al secondo piano si trovano gli atelier).
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L’atelier Haute-Couture di Dior, sempre a Parigi. Si trova nella sede storica della maison, e cioé l’hotel particulier al 30 di avenue Montaigne. Il nuovo progetto ha ridisegnato il layout degli spazi-lavoro, regalando luce e ariosità.
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Grande attenzione anche agli elementi d’arredo: i tavoli delle sarte (foto Slow Photo) sono stati ripensati per aumentare le perfomance ergonomiche.
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I tavoli delle sarte (foto Slow Photo) non rinunciano all’estetica, come testimonia il raffinato bordo ligneo che ‘ricama’ il profilo dei tavoli.
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Schizzi di progetto.