Sicilia, patria di matematici, filosofi, pittori, drammaturghi. Non si può fare a meno di pensare a questo, dialogando con Francesco Librizzi, architetto originario delle Madonie (il massiccio montuoso del nord della Sicilia), formatosi a Palermo, adottato in giovane età da Milano e subito indicato dalla critica come una delle firme più interessanti del progetto italiano contemporaneo.

Pensatore colto e sofisticato, oggi, che ha raggiunto 39 anni di età e 14 di attività autonoma costellata da importanti realizzazioni (tra queste, il Padiglione Italia alla XII Biennale di Architettura di Venezia nel 2010 e il Padiglione del Bahrain per la Biennale del 2012), Librizzi riconosce di avere nei confronti della sua isola un doppio debito, formativo e culturale.

“Lavorando nei Paesi del bacino mediterraneo mi sono accorto che una parte del mio pensiero logico-speculativo appartiene alla cultura greca. Il mio approccio compositivo, basato sull’idea di creare spazi, funzioni e significati attorno a un vuoto centrale, si lega alla concezione greca e romana della città e dell’architettura. E da una visione geometrico-matematica dipende anche la mia idea dell’abitare”.

Come queste influenze si riflettano nella pratica progettuale è dimostrato dai prodotti che segnano il debutto ufficiale di Francesco nel mondo del design, avvenuto quest’anno con due marchi di grande rilievo: Driade e FontanaArte.

Dalla collaborazione con il primo è nata Still Life, una serie di contenitori, tavoli bassi, piccole teche, che interpretano un’idea cara al progettista: quella che all’interno degli spazi in cui viviamo c’è la possibilità di ricavare altri spazi.

“Questi elementi”, spiega Librizzi, “traggono vita e identità dall’immagine di ciò che contengono e ospitano. Sono contenitori che ci inducono a selezionare gli oggetti che più ci rappresentano e che vogliamo tenerci accanto; diventano così scenari di meraviglie in cui ogni cosa viene messa in scena e moltiplicata. Si chiamano Still Life perché, in questo senso, fissano e rappresentano quello che c’è nella nostra casa d’oggi, scattano un ritratto delle persone che la abitano”.

Da un punto di vista tipologico, Still Life è una piccola libreria a torre quadrata che consente di poggiare libri, dischi o altro grazie a una serie di scomparti, concepiti in realtà come quinte teatrali in grado di isolare e creare uno sfondo agli oggetti che ospitano.

Il riferimento va ad Antonello da Messina e al suo “San Gerolamo nello studio”, un’opera emblematica per Librizzi, perché esprime una visione compositiva rintracciabile in tutti i suoi lavori: “La capacità di dare potenza a uno spazio minore perché può assorbire lo spazio maggiore che lo contiene”.

E sul progetto dello spazio si basa anche la famiglia di lampade Setareh disegnate per FontanaArte. “Una sfida più difficile, perché la luce non ha corpo, non ha massa, non ha dimensioni. Non può quindi relazionarsi allo spazio come un arredo fa normalmente. Allora ho pensato a una serie di telai (ne ho disegnati circa 500 per arrivare ai cinque che sono stati presentati) che, anziché ingabbiare la luce, mettessero in evidenza il campo che genera la sorgente luminosa”.

La lampada è composta da una sfera in vetro satinato bianco soffiato a bocca magicamente sospesa all’interno di una struttura metallica sottile, che disegna attorno alla sorgente un sistema di orbite e di traiettorie circolari.

Il gioco di dinamiche gravitazionali che visivamente si crea è enfatizzato dai riflessi del telaio in metallo: attraverso la sua aura impalpabile ma geometricamente definita, la luce arriva così a creare un campo luminoso e a dare forma allo spazio che la circonda.

Con modalità diverse, Francesco Librizzi applica a scala dell’oggetto un principio architettonico ben espresso nella sua installazione D1, ideata per la XXI Triennale di Milano nell’ambito della mostra “Stanze. Altre filosofie dell’abitare”, a cura di Beppe Finessi.

Il tema del progetto era l’origine dello spazio domestico secondo la cultura dell’abitare mediterraneo, rappresentato da un ambiente vuoto, posizionato al centro, che faceva da cardine a una serie di spazi satellite che gli orbitavano attorno.

Così il progettista aveva spiegato il suo intervento: “La presenza di elementi strutturali a vista mette in luce l’influenza che gli oggetti hanno nel determinare i campi di esercizio delle nostre azioni. Recinti concentrici compongono la dialettica tra interno ed esterno, da cui si generano una molteplicità di spazi possibili”.

Con la serie Still Life per Driade e con le lampade Setareh per FontanaArte, Librizzi ribadisce che non è necessario occupare lo spazio per fare architettura e per disegnare il nostro habitat domestico: basta renderlo visibile.

Testo di Maddalena Padovani

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Una sezione prospettica di Casa G a Cefalù, uno dei progetti più noti di Francesco Librizzi, che fa della scala l’elemento principale della costruzione dello spazio.
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Casa G a Cefalù fa della scala l’elemento principale della costruzione dello spazio.
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Il progettista ritratto da Giacomo Giannini con un tavolino della serie Still Life disegnata per Driade.
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La famiglia di lampade da tavolo e a sospensione Setareh, è stata disegnata da Francesco Librizzi per FontanaArte. La struttura in metallo dorato, oppure cromato, disegna attorno alla sorgente, composta da una sfera in vetro soffiato bianco satinato, un campo luminoso che dà forma alla lampada senza l’utilizzo di materia e di spazio.
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Lampada della collezione Setareh, disegnata da Francesco Librizzi per FontanaArte.
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Lampada della collezione Setareh, disegnata da Francesco Librizzi per FontanaArte.
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Lampada della collezione Setareh, disegnata da Francesco Librizzi per FontanaArte.
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L’installazione D1 ideata per la mostra “Stanze. Altre filosofie dell’abitare”, XXI Triennale di Milano (foto Andrea Martiradonna).
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Elemento della serie Still Life di Driade, composta da nove tavolini che Librizzi ha concepito non come oggetti, ma come spazi per mettere in scena elementi d’arredo (foto in alto Giacomo Giannini).
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Elemento della serie Still Life di Driade, composta da nove tavolini che Librizzi ha concepito non come oggetti, ma come spazi per mettere in scena elementi d’arredo (foto in alto Giacomo Giannini).