progetto architettonico Arata Isozaki & Associates
progetto d’interni di KCA International
foto e testo di Sergio Pirrone

Chi c’è stato, ricorda il sibilo del vento gelido, il respiro affannoso, per la meraviglia e per i 5200 metri avari d’ossigeno.

Da Lhasa a Kathmandu, la Friendship Highway è l’unica via che collega il Tibet al resto del mondo. 800km di tornanti pericolosi e rettilinei infiniti, tra dirupi mozzafiato e laghi ghiacciati. L’Himalaya, letteralmente “casa della neve”, come un vecchio saggio dalla barba bianca, ti segue solenne, ti rassicura con le sue braccia aperte. Ad occhi chiusi, il sogno di Dai Zhikang, potentissimo presidente dello Shanghai Zendai Group, era quello di poterli aprire e trovarselo davanti, l’Himalaya. La dimensione infinito, ideale irraggiungibile, è una strada praticabile, a due carreggiate, quella funzionale e quella simbolica. La Cina è pioniera del sovra, tanto Shanghai, quanto Pudong, il suo quartiere rampante. Affacciato sulla riva orientale del fiume Yangtze, è la piattaforma della zona finanziaria Lujiazui e della feroce rivalità tra grattacieli ambiziosi. Tra i più alti al mondo, il Jin Mao Tower, l’Oriental Pearl Tower e lo Shanghai World Financial Center sgomitano per visibilità commerciale e attenzione mediatica, mentre in basso, restano avanzi di edifici fatiscenti divorati dallo smog. “Un punto di riferimento urbano deve diffondere nuova fiducia e dare la direzione attraverso un’epoca storica. Deve rappresentare la personalità della città”. Dai Zhikang è esperto e si tiene fuori da gare dimensionali, non ama i paragoni fisici, sa che prima o poi qualcuno più alto di lui arriverà. “Prevedo la fine dell’era dei grattacieli che lasceranno il posto ad una civilizzazione orientale più orizzontale, come modello d’integrazione mondiale”. Affarista e collezionista d’arte, apprezza l’architettura, soprattutto quando è strumento di crescita economica. Cerca il suo ideale simbolico, il volto inconfondibile di un’architettura ibrida dai lineamenti orientali, che sappia integrare la potenza del commercio e la poesia dell’arte. Fallirà innumerevoli tentativi, tra ricerche geometriche che integrano l’onnipotente al programma funzionale, il metaforico alla struttura. Molto forte, incredibilmente vicino, Arata Isozaki era la soluzione perfetta e una pagina della storia. 80 anni, un curriculum impressionante d’architetture culturali realizzate in Cina, Vietnam, Ucraina, Qatar, Kazakhstan, ecc. Il maestro geometrico garantiva eterogeneità, esperienza, e un marchio d’origine controllata. Nell’hub finanziario di Lujiazui, fronteggiato dallo Shanghai New International Expo Center e dall’Hotel Kerry Parkside, camminando su Fangdian Lu, l’Himalayas Center annichilisce l’ego dei passanti. Non lascia certezze, se non il rassicurante senso d’appartenenza ad un evento importante. Un oggetto architettonico non identificabile poggiato su un lotto di 29.000 mq specula su sagome ambigue e forti, su una piattaforma organica alta 31,5 metri, di cemento vivo. Respira attraverso grandi cavità ellittiche vetrate che conducono alle grotte voltate. Estrusa dalla stessa valle d’asfalto e deformata dalla compressione dei volumi ortogonali laterali, la Wuji Plaza a tripla altezza soffia di vento e parla con eco. È un cono d’ombra tra due viali assolati, è la grotta in cui ripararsi. Su piano stradale comunica il primo Jumeirah Hotel cinese e il complesso degli uffici; ai livelli superiori diventa un ponte aperto tra il DaGuan Theatre e l’Himalayas Art Museum. Il primo, dominio di performance artistiche, si espande su sagome arrotondate che seguono gli estradossi della piazza sottostante, mentre il secondo, più razionale, si sviluppa su cinque livelli d’arte contemporanea. Oriente e occidente, yin e yang, intelletto e passione, curva e linea, ossimori che si sfiorano per un solo istante, l’attrazione bipolare tra due opposti è una necessità capitale. Come una fisarmonica gigante, due casse armoniche cubiche laterali proteggono il mantice ondulato con reticolari tridimensionali incomprensibili. Arata confessa di essersi ispirato alle giade neolitiche di Liangzhu, altri intravedono uomini e donne cinesi arrampicarsi su una parete troppo alta. Oltre, l’elitario Jumeirah Hotel con le sue cinque stelle e i 67,5 metri sopra il livello stradale sul fronte settentrionale; e negozi al dettaglio, sale multifunzionali, centri polivalenti, su quello meridionale. Il centro è un tetto-giardino di verde ondulato, che contempla il bello e il brutto che lo circonda. La propria architettura, il quartiere e sullo sfonfo la fosca silhouette della metropoli.