Foto di Efrem Raimondi
Testo di Chiara Alessi

Michele Caniato vive a New York da vent’anni. Come ha visto cambiare la città in questo arco di tempo nel suo consumo di prodotti di design?
New York e gli Stati Uniti sono cambiati incredibilmente negli ultimi vent’anni. Un cambiamento, secondo il mio punto di vista, positivo. Il design, che nel passato era visto più come un ‘attributo’ dei prodotti di lusso, della moda o del settore auto, oggi è diventato parte della vita di tutti i giorni. Questo anche grazie ad aziende come Apple o Target o più recentemente Crate & Barrel. La scelta di assumere progettisti professionisti per disegnare oggetti per il mercato di massa ha creato un apprezzamento di prodotti ‘ben progettati’ – e il design è entrato a far parte del vocabolario di tutti i giorni. I ristoranti, gli alberghi, i negozi di vendita al dettaglio abbracciano il design come chiave del loro successo. La buona notizia è che questi brand cercano di differenziarsi dagli altri non solo grazie ai prezzi accessibili, ma anche per le collezioni di design uniche.

In Italia, succede che la crisi economica costringa spesso i designer nei paletti dei brief (oggetti vendibili, ‘giusti’, finiti), mentre la storia insegna che talvolta le cose migliori nascono nelle discontinuità, negli errori, nelle fratture. In America la crisi è affrontata come una possibilità per aguzzare l’ingegno, rischiare, sfidare l’incognita?
Beh, come italiani abbiamo sempre preso più rischi e ci siamo sempre mossi borderline: promuovere l’innovazione non solo per guidare le vendite e seguire l’istinto per la creazione di prodotti nuovi e unici. Gli Stati Uniti affrontano i rischi calcolati. La grande differenza è che l’America spinge sempre per un cambiamento, così le industrie sono sollecitate a migliorare un progetto precedente e a farlo nel minor tempo possibile. Il mio consiglio è quello di ‘ascoltare’ il mercato Usa e adattare i prodotti per questo mercato.

Secondo lei perché noi italiani viviamo con scetticismo le stesse cose che di solito gli americani vivono con entusiasmo e ottimismo?

Io sono italiano e sarò sempre italiano, anche se sono orgogliosamente un cittadino americano. Ma mi dispiace terribilmente sentire sempre da parte dei miei colleghi un senso di sfiducia per il futuro.  La mia idea è che il peggio è già successo e il futuro sta per essere un buon compromesso. Teniamo la fronte alta e guardiamo al business a livello globale e non solo a quello nazionale. Noi italiani, abbiamo un modo unico di trovare sempre una soluzione ed è quella dell’innovazione.

A sentire le aziende italiane di design, si ha l’impressione che, in molti casi, stiano faticando nel mercato americano, che sembra più rispondere a un modello di business-to-business o di progettazione taylor made dei prodotti, fatti su misura per le taglie, le case e i gusti americani. Qual è la sua opinione a riguardo?

Penso che il vero problema sia ascoltare e capire le esigenze di un mercato diverso e creare prodotti e prezzi che possano andare bene a quel mercato. I prodotti su misura sono quelli di maggior successo, in linea generale, ma va ricordato che l’etichetta del made in Italy e la sua sensibilità sono ancora molto apprezzati, almeno finché i prezzi e i tempi di consegna riescono a essere centrati.

L’Italia dev’essere ‘brandizzata’ per funzionare in America? Oppure siamo ancora storia attiva, pulsante e modello culturale?

In USA siamo molto attivi sul il fronte della moda, del cibo, dell’ospitalità e del design. Guardate Eataly e l’incredibile successo che ha avuto a New York, è uno dei luoghi più visitati nella Grande Mela. L’Italia è la parte fondamentale di quest’equazione per definire le tendenze: la settimana della moda e quella del design sono eventi irrinunciabili che informano la cultura e il business del design negli Usa. Il Salone è l’evento Oscar dell’industria del mobile: si deve partecipare se si vuole entrare a far parte del settore. Così le imprese italiane hanno bisogno di ascoltare il battito del cuore del mercato statunitense e adattare le loro offerte. Forza Italia, siamo ancora il numero uno al mondo!

 

Chiara Alessi

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Efrem Raimondi, View from Empire State Building, 2005.
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Un ritratto di Michele Caniato.