Non altrettanto concreto è il più recente fascino esercitato dal movimento post-moderno. Charles Jencks, che ha scritto la sua tesi di dottorato con la supervisione di Banham, ha pubblicato The Language of Post Modern Architecture, la sua critica al modernismo, undici anni dopo New Brutalism di Banham. All’epoca, il movimento postmoderno era considerato un vero e proprio attacco al Brutalismo. Ai suoi esordi il Brutalismo era apprezzato nella cerchia dei professionisti e ignorato dal grande pubblico che a questo stile non si è mai appassionato.
Il movimento postmoderno, invece, è stato presentato come populista. Jencks non è stato il primo postmoderno. La Biennale di Architettura di Venezia del 1980 diretta da Paolo Portoghesi, The Presence of the Past, presagiva che cosa sarebbe accaduto, e i suoi precursori sono stati Robert Venturi e Denise Scott Brown. Ma è stato Jencks a dettare l’agenda del decennio. La sua posizione è stata poi compromessa dall’apostasia dei grandi studi architettonici commerciali come KPF e SOM, che hanno cominciato a elaborare versioni proprie del movimento postmoderno. E gli eroi di Jencks – Michael Graves e Aldo Rossi – si sono ritrovati così a ricevere incarichi dalla Walt Disney. Graves ha costruito così tanto che ha finito per perdere la buona reputazione che si era costruito grazie a invenzioni delicate e sensibili con riferimenti a precedenti classici, per progettare enormi complessi turistici considerati sgradevoli e sovradimensionati. Ed è stato proprio questo a provocare l’eclissi del movimento, finito per essere considerato troppo legato al neoliberismo. Alcuni architetti, tra cui Kengo Kuma, hanno poi abbandonato l’iniziale interesse per questo tipo di interpretazione