Trentatré anni ma cittadino del mondo già a venti (ha studiato a Vienna e in California, negli Stati Uniti); nato a Bolzano, Alto Adige, ma con un’esperienza professionale maturata rigorosamente all’estero (è stato ‘allievo’ dell’archistar Zaha Hadid, con la quale ha lavorato alcuni anni); uno studio tutto suo, recentemente inaugurato a Milano, nel cuore dei Navigli, che però già vanta ‘design competition’ vincenti (l’ultima, prevede la realizzazione di un hotel extra lusso a 5 stelle, nelle Dolomiti) e diversi edifici (super ‘cliccati’ sul web come le Mirror Houses qui pubblicate).

Parliamo di Peter Pichler, che in questa intervista ci racconta di sè e del suo mestiere di architetto.

Architetto, come si è trovato a lavorare nello studio di Zaha Hadid?

Bene. È stata la mia professoressa quando studiavo all’Università a Vienna e dopo la tesi mi ha chiesto se volevo far parte del suo studio, che condivide con Patrick Schumacher: ho naturalmente accettato e sono stato prima a Londra e poi ad Amburgo. Mi interessava soprattutto fare esperienza in un grande team internazionale, ricco di talenti e di progettualità d’altissimo livello, che mi dava occasione di realizzare importanti lavori in tutto il mondo. Ma soprattutto ero interessato a un aspetto dello studio Hadid che volevo fare mio.

Quale?

Quello dell’hi-tech research. Come ‘giovane’ progettista penso che oggi non si possa prescindere dall’uso degli strumenti che la tecnologia ci mette a disposizione: mi riferisco ai più avanzati software di progettazione.

E i vantaggi?

Poter affrontare lavori su larga scala senza rinunciare alla qualità, all’eccellenza e cura del dettaglio, e anche al contenimento dei costi. Tutte cose inimmaginabili qualche anno fa per uno studio di piccole dimensioni. Certo, resta il fatto che la scintilla, l’idea creativa che dà sostanza al progetto, nasce sempre dalla testa.

E, aggiungerei, dalla capacità che l’architetto dimostra nel sapersi adattare al contesto, al luogo dove è chiamato a lavorare. Non solo dal punto di vista delle caratteristiche paesaggistiche, ma anche culturali e sociali. Insomma, integrare il dialogo fra architettura e sito è per me una priorità.

Come nelle ‘mirror houses’?

Certamente. Il progetto è partito dalla ‘location’, e cioè da un contesto naturale di grande impatto visivo da preservare e valorizzare, e dalla esigenze di privacy della committenza e degli ospiti (le ‘Mirror Houses’ sono due edifici monofamiliari a destinazione ricettiva, ndr).

In quale modo?

Annullando gli edifici nel paesaggio grazie a una super tecnologica facciata a specchio, che riflette, raddoppiandole, le bellissime montagne. Questo succede sul lato Ovest, dove le due case si affacciano sulla proprietà del committente, che voleva mantenere la sua privacy e la sua autonomia visiva; sul lato opposto, invece, a Est, i due volumi si aprono totalmente su un giardino privato e sul paesaggio con un’ampia facciata vetrata.

Il tutto nel segno della massima sostenibilità: dalla struttura lignea rivestita da un involucro in alluminio nero alle soluzioni impiantische che privilegiano fonti di energia rinnovabili.

 

Testo di Laura Ragazzola

Foto di Oskar Da Riz e Nicolò Degiorgis

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L’involucro in alluminio nero si trasforma sul lato Ovest in un’ampia vetrata specchiata, che cattura il panorama circostante. La struttura è poi sospesa su una base al di sopra del terreno: una soluzione che conferisce al volume ulteriore leggerezza.
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La facciata sul lato Est si apre sul paesaggio coltivato a vigneti con un’ampia vetrata.
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Ogni unità (nella sezione) è composta da cucina/soggiorno abitabile, una camera da letto e un bagno.
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L’arredo-design (tavoli e sedie di Plank; luci di Artemide, carrello di Kartell) è risolto con soluzioni ispirate alla massima funzionalità.
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Ogni unità (nella sezione) è composta da cucina/soggiorno abitabile, una camera da letto e un bagno.
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Cucina/soggiorno abitabile, camera da letto e bagno possono contare anche su ampi lucernari ritagliati nel tetto per regalare luce e ventilazione naturali.
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Uno scorcio della zona bagno.
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Un’ampia vetrata si raccorda con un profilo curvilineo all’involucro in alluminio nero.