Chissà se la scrittrice Marguerite Duras che tanto amava il Vietnam, ex colonia francese, l’avrebbe apprezzata questa casa ad Hanoi. Una penthouse al 25°-26°-27° piano di un esclusivo grattacielo affacciato sul West Lake della città tra i due fiumi, capitale del Paese dell’Asia sud-orientale che, insieme a Saigon, è da sempre crocevia della cultura indiana e cinese e bandiera di un artigianato di estrema bellezza che ne rispecchia la storia millenaria.

Il progetto porta la firma di uno studio italiano che, da quando è stato fondato, nel 1993, ‘mastica’ l’internazionalità architettonica con una sensibilità e un talento di cui danno atto ad oggi oltre 140 realizzazioni in tutto il mondo. Parliamo di CLS Architetti – all’anagrafe Massimiliano Locatelli, Giovanna Cornelio, Annamaria Scevola, Davide Agrati – studio in San Paolo Converso a Milano e sede anche a New York, un team di 53 collaboratori e uno sguardo in 3D che spazia dal residenziale al retail, dagli uffici al product-design (quest’ultimo tutto made in Italy).

Noi troviamo la realizzazione particolarmente interessante in quanto sposa, in modo autentico, due anime e due piani narrativi, gusto europeo e artigianalità vietnamita ad altissimi livelli. Una cifra progettuale che avevamo già avuto modo di apprezzare nel luxury store Runway Vincom Center ad Ho Chi Minh City del 2010, una ‘prima volta’ dello studio in Vietnam e un ‘biglietto da visita’ di estremo prestigio. Ci accompagna Massimiliano Locatelli nella scoperta dei ‘segreti’ di questo recente lavoro.

“Volevamo rappresentare come la casa può essere in Vietnam, disponendo di un grande potere d’acquisto. La committente è infatti figlia del Primo ministro, una donna giovane e illuminata, attiva in politica e negli affari, che ci ha lasciato carta bianca, precisandoci, in modo principesco, che voleva entrare in casa soltanto con la valigia” spiega.

“Devo riconoscere che è stato un intervento davvero stimolante e anche divertente: l’incontro di due mondi, nonostante le difficoltà di governare la manodopera locale, meravigliosa nelle finiture ma molto approssimativa nella realizzazione, perché priva di mentalità imprenditoriale. È stato difficile far comprendere l’amore per il dettaglio e il tempo dedicato ad esso. Noi volevamo usare le loro mani, ma con la nostra testa. Il cantiere è durato un anno e mezzo circa. Abbiamo disegnato e realizzato tutti i mobili in Italia che, spediti smontati, in compagnia di un falegname di fiducia, sono stati finiti in loco dalle migliori maestranze vietnamite, scovate durante una lunga e paziente ricerca nel Paese”.

C’è un cuore del progetto a livello architettonico?

“Senza dubbio, il grande prisma di cristallo con profili in acciaio lucido che taglia tutte le solette, diventando elemento di continuità dei tre livelli dell’abitazione, attraversato anche dalla luce zenitale creata mediante il taglio della copertura all’ultimo livello. È una grande ‘bolla di trasparenze’ che di notte di trasforma in una lanterna grazie alle luci dimmerate, regalando un doppio sguardo – interno ed esterno. Simbolicamente rappresenta il mondo, il potere, l’amore. Di fatto, nel livello centrale diventa la stanza della meditazione buddista della committente, che così può restare in contatto visivo con il resto della famiglia. Un luogo di incontro. Al piano inferiore fa invece capolino come un grande lampadario e al piano superiore è il tavolo della zona pranzo”.

Quali materiali della tradizione vietnamita sono stati reinterpretati ed espressi con un linguaggio contemporaneo ed internazionale?

“Partiamo dalla lacca, imprescindibile plus dei manufatti locali, con cui sono stati finiti tutti gli armadi. Abbiamo scoperto che i maestri vietnamiti adottano una tecnica di lavorazione molto lunga e complessa. Dall’incisione dei tronchi degli alberi di caucciù ricavano una resina nera che viene pennellata sul legno per renderlo impermeabile; si susseguono 17 strati di laccatura, e altrettanti fasi di asciugatura, finchè si realizzino un certo spessore e superfici perfettamente opache. Poi queste vengono immerse nell’acqua in modo da diventare lucide; infine, con varie carte vetrate si ottiene la levigatura desiderata.

Occorrono circa 3 mesi e mezzo, per realizzare un unico pezzo. Ma, il risultato è straordinario perché, con questo procedimento, si ottengono effetti morbidi, ondulati e riflessi, una preziosità percepibile a occhio nudo. C’è di più. Durante le nostre ricerche, abbiamo conosciuto degli artigiani che ancora oggi applicano una tecnica tramandatasi di generazione in generazione da antenati vicini alla famiglia imperiale della dinastia Lý: dopo il terzo strato di laccatura inseriscono un fior di loto, fissato con fili d’oro e d’argento, e poi coperto dagli altri 14 passaggi.

Così abbiamo reinterpretato questo simbolo di energia in differenti versioni, disegnandole al computer e riportandole sulla lacca, come da tradizione. Interessante è che il disegno affiorerà nel tempo, con l’uso degli oggetti: quelli più sollecitati, le superfici degli armadi nella fattispecie, perderanno progressivamente gli strati più superficiali fino ad arrivare all’essenza. È stato un modo per introdurre un concetto essenziale: come la bellezza si può rapportare all’invecchiamento come valore da rispettare”.

C’è anche molto marmo come materiale privilegiato di invenzione, oltre le superfici levigate in travertino beige dei pavimenti…

“Certo, marmo bianco, di produzione locale, estratto nei cluster delle White Marble Mountains, nella zona di Da Nang al centro del Paese, un equivalente delle nostre cave di Carrara. Con questo materiale abbiamo realizzato le cornici delle porte, le modanature delle finestre, lo zoccolo di raccordo tra pareti e pavimento.

Tutto di pietra, scolpita a mano, partendo dall’immagine del pizzo di un vestito di Prada molto amato dalla ‘nostra principessa’, che, rielaborato in 3D al computer, con diverse profondità, ha dato la possibilità a un maestro pietraio di ‘confezionare’ pezzi uno diverso dall’altro, di un metro ciascuno che, uniti tra loro, restituiscono effetti di leggerezza di memoria quasi michelangiolesca.

In pietra è stato rivestito anche un bagno, dove le lastre incise con squame di marmo scalpellate a mano rappresentano la pelle del drago, simbolo nell’immaginario orientale di fortuna e onnipotenza. In un altro bagno di ardesia nera (non locale) abbiamo invece ritagliato nella pietra delle pareti una fiaba vietnamita, scritta al computer e ricopiata a mano, che emerge in chiaro dallo sfondo scuro. La scrittura ritorna sulle scale di collegamento interno, con un’opera di Alexander May, che ha ‘affondato’ nei muri delle bacchette in marmo bianco a comporre un testo-omaggio spezzato”.

Anche il bambù è diventato oggetto di sperimentazione progettuale…

“C’è quello reale della terrazza piegato all’installazione creativa su progetto degli artisti americani gemelli Doug e Mike Starn: una struttura-scultura. C’è quello virtuale di un bagno degli ospiti, per il quale abbiamo appoggiato a terra una serie di canne di bambù, fotografate in stampe bianco e nero e così affidate a incredibili esecutori, perché potessero farne una rappresentazione nella pietra”.

Come presenza, un altro materiale ricorrente è il bronzo…

“Il bronzo caratterizza il grande paravento che divide la cucina dal pranzo; trattato come un pizzo, integra fili d’argento e di rame, grazie al know-how di una fonderia nella zona di Hue specializzata nella realizzazione di templi e luoghi di culto. Ma, nell’insieme, la ricerca è stata più ampia: si declina anche con le radici degli alberi utilizzate come lavabi o con la porcellana bianca dei ‘libri’ che riveste interamente le pareti di un bagno”.

Quanto contano l’arredo e l’arte nella mise en scene complessiva?

“Formano il completamento. Abbiamo popolato il paesaggio domestico di selezionati mobili provenienti da tutto il mondo. Ci sono un pezzo di Gaetano Pesce per Meritalia rivisitato, un tavolino di Emmanuel Babled in plexiglas, una serie di poltrone P40 di Osvaldo Borsani per Tecno rivestite con tessuti speciali ispirati alle tonache dei monaci buddisti, in velluto di seta e cashmere Loro Piana.

Tutto è stato pensato nella disposizione, per dialogare con le vetrate belvedere sul lago e per essere facilmente riconfigurabile secondo esigenze d’uso più pubbliche o private. Anche il tavolo in fusione di bronzo disegnato da me assume differenti configurazioni: può diventare tavolino d’appoggio, consolle, piano da pranzo quando i pezzi sono riuniti, ma non sarà mai un tavolo fisso. Riproduce il West Lake in mezzo al living…la matrice da cui ha preso avvio il progetto di product-design, poi presentato alla Galleria Nilufar di Milano. In quanto all’arte, diventa elemento fondamentale nella rappresentazione di un’unione delle culture.

Insieme alla committente, abbiamo individuato i protagonisti di una ricerca tuttora in fieri. Ad esempio Julian Schnabel sta realizzando un ritratto con ceramiche rotte, Vik Muniz ne sta facendo una serie con le foglie del tè, Candida Höfer firma le fotografie a corredo della biblioteca.

Fino a che punto si è spinto il disegno del dettaglio?

“Abbiamo pensato ogni cosa, dalle grucce alle lenzuola, dai piatti ai bicchieri. Tutto customizzato e adeguato ad esigenze d’uso quotidiane diverse dalle nostre. Una curiosità: le lenzuola sono state fatte in Italia e ricamate in Vietnam. I ricami sulla seta delle donne di Hanoi sono molto apprezzati, anche nell’Europa dei luxury fashion brand. Impreziosiscono un’intera parete dietro il letto matrimoniale e decorano un divano di sapore retrò (modello appartenuto alla famiglia reale) con motivi floreali appositamente selezionati. Di questi, sulla base di un disegno super preciso, abbiamo fatto i carta-modelli che affidati a mani d’oro hanno restituito un’esecuzione perfetta nel dettaglio”.

 

Antonella Boisi
Foto di Hugo Tillman

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Il grande prisma di cristallo con profili in acciaio lucido che taglia tutte le solette, diventando elemento di continuità dei tre livelli dell’abitazione e fonte di luce zenitale. Nel livello centrale rappresenta la stanza della meditazione buddista e un belvedere privilegiato sul West Lake. Poltrona Egg Chair di Arne Jacobsen (1958) per Fritz Hansen in pelle nera.
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Nell’area living al livello inferiore, comunicante con l’ingresso (celato da armadiature a tutta altezza finite a lacca), il prisma di cristallo (nel disegno un esploso assonometrico) fa capolino come un grande lampadario. Sulle superfici levigate in travertino beige del pavimento, spiccano le poltrone P40 e il tavolino di Osvaldo Borsani per Tecno, accanto ai tavoli in bronzo West Lake su disegno di Massimiliano Locatelli per la casa.
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Nella foto: tavolino di Emmanuel Babled in plexiglas, poltrona Montanara di Gaetano Pesce per Meritalia, seduta Mamava di Andrea Salvetti in fusione di alluminio, applique di Carlo Scarpa per Venini.
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Un portale in marmo bianco locale scolpito a mano, sulla base di un disegno rielaborato al computer, disimpegna due zone del living. Nella foto: tavolo Less di Jean Nouvel per Molteni & C, libreria su disegno, lampada Giraffa di Angelo Brotto.
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Vista della grande ‘bolla di trasparenze’ che forma il cuore del progetto architettonico, al 26° livello della penthouse, fungendo da snodo distributivo degli ambienti notte con relativi servizi. Tavolino Rosalinda di Gio Ponti e poltroncine di Otto Schultz (1940) in velluto di seta blu, prodotte da Boet.
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Le planimetrie dei tre livelli dell’abitazione.
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Le planimetrie dei tre livelli dell’abitazione.
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Le planimetrie dei tre livelli dell’abitazione.
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La master suite con la parete retrostante il letto impreziosita dai ricami in seta delle donne di Hanoi realizzati sulla base di un disegno dei progettisti che rappresenta i pesci del West Lake.
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Scorcio del bagno rivestito in lacca lucida marrone e travertino; i due lavabi sono ricavati scavando due blocchi di pietra. Specchi anni Cinquanta della collezione Seguso.
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La sperimentazione della porcellana bianca nei ‘libri’ che rivestono i muri di un bagno si accompagna alla ricerca artistica di Alexander May che ha ‘affondato’ bacchette in marmo bianco sulla parete della scala interna, che compongono un testo omaggio spezzato. Nel vuoto della scala, tre grandi lampade a cilindro orientabili sono state realizzate su disegno.
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In primo piano, il divano Raffles di De Padova in cashmere blu Loro Piana e il tavolino vintage di Fornasetti.
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La terrazza, con la struttura-scultura in bambù su progetto degli artisti americani gemelli Doug e Mike Starn. Divano su disegno in ferro e tessuto nero, sedie di Harry Bertoia per Knoll International. Lo sgabello è stato ricavato dalla radice di una pianta vietnamita.