Cambia la prospettiva, ma non la sostanza. Anche se, quando abbiamo pubblicato il progetto della penthouse dell’imprenditore Vladislav Doronin (Interni 660, aprile 2016) a Mosca eravamo al top di una delle due torri di Capital Group che sorgono nel complesso del MIBC, firmate nell’architettonico dallo studio americano SOM/Skidmore, Owings & Merrill e, nel disegno d’interiors degli spazi comuni, da Massimo Iosa Ghini.

Ora, invece, siamo nel basement (6 piani) delle due torri Oko Buildings, come sono state denominate, 85 piani di uso residenziale e 49 di uffici rispettivamente che, con la loro silhouette scarna e argentea, contribuiscono a ridisegnare il paesaggio urbano moscovita contemporaneo. E proprio all’architetto bolognese, nel 1986 tra i fondatori del Bolidismo, abbiamo chiesto di spiegarci con quale approccio ha affrontato questo lavoro recentemente concluso.

Bandiera di un made in Italy – nel concept, nella realizzazione, nella scelta dei materiali tutti rigorosamente italiani per provenienza e lavorazione – che rivela una particolare attenzione al tema della superficie nello studio delle forme, affrontato guardando alla tradizione culturale abitativa e ai preziosi grafismi degli anni Cinquanta.

Architetto Iosa Ghini, gli spazi comuni rappresentano il primo biglietto da visita di un luogo. Sono importantissimi nel comunicare subito al fruitore che cosa troverà. Quale visual identity intendeva restituire nello spazio lobby e nelle parti comuni dei due buildings?
“Abbiamo progettato l’interior per due torri: una dedicata al mondo degli affari con uffici e business center e l’altra residenziale. La torre per uffici l’ho trattata all’insegna di una smaterializzazione austera e autorevole. La reception è ricavata da un massiccio fronte lapideo scavato con levità come fosse un unico gesto artistico. Il banco ha una leggera curva che si confronta con la concavità del retro e vi si unisce come in una grotta levigata, lasciando lo spazio per l’operatività. Dal vivo è un’opera abbastanza impressionante che ha richiesto tutta l’abilità di ingegneria di taglio robotizzato della pietra insieme alla genialità degli artigiani/industria italiani (Margraf Industria Marmi Vicentini) nel trovare soluzioni fattibili e sostenibili.
L’altro elemento principale”, prosegue, “è un percorso di immagini evocative, proiettate su pannelli trasparenti, che esprimono l’idea del continuo movimento iconografico, con un effetto urbano. Lo spazio nella torre residenziale, qui presentato, è meno contenutistico e senz’altro più incline a raccontare il calore di una casa.
Nella reception ho fatto un pieno di boiserie sulle pareti, spingendo sul disegno decorativo di cui ho cercato una finitura tra il legno e il metallo (un’evocazione Shou Sugi Ban). I mobili sono realizzati con un intreccio di barre metalliche di colori e finiture diverse per dare il senso della varietà. Il progetto dell’ingresso si sviluppa in altri tre grandi spazi comuni in cui mobili, librerie, boiserie, imbottiti diventano una sorta di preludio alle abitazioni vere e proprie.
È articolato in zone comuni flessibili  – quelle reading con grande libreria, l’art gallery, living, mail box che confina con il corpo ascensori – dentro un open space unitario nelle forme e nell’immagine. Per l’involucro, si è adottata una pietra installata a vena continua, onice stratos per le pareti e marmo corteccia per i pavimenti arricchiti da un disegno di inserti metallici. In sintesi, ho affrontato la composizione di una texture grafica declinata con particolare cura all’equilibrio tra gli spessori dei segni, che integrano la scenografia d’insieme, resa drammatica dall’illuminazione, non uniforme ma direzionata e modulata sulle differenti aree”.

A quale tradizione culturale e riferimento specifico ha guardato?
“Mi piace mettere insieme tecnologia e sfida per la realizzazione di cose speciali e uniche all’idea di elasticità intesa in senso moderno. Il senso di controllo dei maestri, insieme alla dematerializzazione degli spazi. Il finito, laccato, lucidato, prezioso insieme allo sbozzato, al non finito, michelangiolesco che rivela il gesto umano, il fare manuale. Questa eterogeneità nella palette concettuale e pratica è fattibile solo con maestranze artigianali e industriali italiane, altamente innamorate del loro lavoro e della innovazione che genera, creando quella differenza di qualità che riusciamo a fare apprezzare nel mondo”.

Progetto di Iosa Ghini Associati – Foto di Dmitry Chebanenko – Testo di Antonella Boisi

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La zona d’ingresso e lobby disegnata, come tutti gli spazi comuni dell’edificio residenziale, da Massimo Iosa Ghini. Luci fornite da iGuzzini Illuminazione.
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Vista delle due torri Oko Buildings di Capital Group, progetto architettonico dello studio americano SOM.
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Il banco reception in metallo e cristallo retroilluminato spicca nell’involucro monolitico dominato dal marmo corteccia dei pavimenti segnati da inserti metallici (Margraf Industria Marmi Vicentini) e dalla pietra onice stratos delle pareti. Dinamizzanola scena, le superfici lignee texturizzate e le forme ortogonali a barre metalliche che fungono da quinte spaziali.