“La grande avventura, iniziata nel 2011, è stata quella di partire da una collezione straordinaria di arte americana, stimata in 22 mila pezzi, che non aveva più spazio per essere esposta su Madison Avenue, e di costruire un edificio degno di divenirne la dimora” ha spiegato Renzo Piano che, con RPBW, firma il progetto del nuovo Whitney Museum of American Art, nel Meatpacking District. Nonché il trasloco della sua sede dall’upper East Side a lower Manhattan.

“Raccoglie l’eredità del celebre museo fondato da Gertrude Vanderbilt Whitney nel 1930 nel Greenwich village, poi trasferitosi nel 1966 nell’edificio progettato da Marcel Breuer ed Hamilton P.Smith, tra la 75esima strada e Madison Avenue”.

Questo, nuovo, è ubicato all’angolo tra Gansevoort Street e Washington Street: un edificio di 20.500 mq di superficie totale, nove piani di altezza, dal livello 5 all’ottavo spazio espositivo con 4500 mq al coperto più 1200 all’aperto di gallerie esterne e terrazze, ma anche laboratorio, centro studi e teatro, ristorante, caffetteria, negozio, uffici e aree deposito.

Segni particolari: presenta sottili tiranti high tech in facciata con funzione di sostegno, pavimentazioni in legno di recupero e luci a Led negli spazi interni che ne alimentano la sostenibilità, apparecchi tecnici a vista, sei lucernari ad ali allineate in copertura orientate verso la luce proveniente da sud, e anche una mega terrazza ricavata sul tetto del principale spazio espositivo, dove lo sguardo può spaziare a 360° sui bagliori argentei del panorama.

Perché questo prezioso scrigno dell’American Art ha ricercato, nella totale permeabilità degli spazi espositivi, soprattutto un innesto con il contesto della High Line e del tessuto urbano del Meatpacking District da una parte e con la rete formata da 10th Avenue e Hudson River Greenway, dall’altra: ovvero, un incontro con l’arte che potesse diventare esperienza più intensa di osmosi con l’ambiente.

Lo restituisce attraverso il disegno di “una forma dinamica e asimmetrica”, distesa da est a ovest, sollevata da terra e “in primis poggiante su un prisma vetrato che conserva un’altezza uguale a quella della High Line cui si addossa” e con cui resta in rapporto visivo diretto.

Come fosse una porta simbolica al recinto museale, Piano ha infatti utilizzato in modo strategico il lembo meridionale della vecchia ferrovia trasformata in un parco sopraelevato su progetto del paesaggista James Comer e degli architetti Diller, Scofidio + Renfro a partire dal 2006, riportandolo nella figura di un cannocchiale sfaccettato di vetro e acciaio proteso a catturare le viste e le luci migliori della città.

Così visto da sud, dal fronte più ampio su Gansevoort Street, l’edificio risulta composto da una serie di volumi sovrapposti slittati tra loro, in modo che lo sbalzo crei un’estesa area pubblica adiacente all’ingresso del museo.

“A mio parere, è uno dei messaggi più forti di questo luogo: si propone come una piazza condivisibile, perché la cultura deve albergare in una dimensione aperta” ha spiegato l’autore. Da questa sorta di ‘camera’ di decompressione con la strada, si raggiunge la porzione di volume vetrato trasparente che accoglie la hall d’ingresso e la caffetteria.

In sezione esso risulta arretrato rispetto a quello sovrastante in aggetto che ospita gli spazi espositivi dedicati alle opere d’arte; dentro un corpo cieco, segnato da superfici di rivestimento in alluminio ricoperte all’esterno da lunghi fogli di acciaio, alla stregua di quello piramidale più alto coronato dai sei lucernari.

Totalmente differente, è invece l’altro fronte più ampio della costruzione, quello a nord, che appare chiuso e introverso, ma sempre caratterizzato dalla costante della doppia pelle metallica a pannelli grigi-blu realizzata dalla Josef Gartner del Gruppo Permasteelisa.

Questo elemento di continuità dell’involucro, nel prospetto orientato ad ovest verso l’Hudson, si mostra interrotto da due generose superfici trasparenti che concludono e celano rispettivamente l’auditorium per le performances e la galleria principale. Infine, ad est, la vista verso Washington Street, dove si trova la testata della High Line.

Qui l’edificio restituisce la coinvolgente potenza narrativa di uno sviluppo degradante e articolato da una serie di scale in acciaio (le iconiche fire escapes degli edifici newyorkesi) che connettono le terrazze ai diversi livelli, dilatando all’esterno gli spazi espositivi. Conserva ancora il sapore ruvido del Meatpacking District, quando era sede di macelli. Un contraltare alle rotaie dimenticate della High Line.

 

in collaborazione con Cooper Robertson (New York)
foto courtesy RPBW architects – testo di Antonella Boisi

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Il sole del tramonto ridisegna e incide le ombre delle terrazze ai diversi livelli sul fronte caratterizzato dalla doppia pelle metallica (superficiin alluminio ricoperte all’esterno da lunghi pannelli di acciaio) realizzata dalla Josef Gartner del Gruppo Permasteelisa.
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Veduta aerea a nord dell’edificio in costruzione. (foto di Nic Lehoux)
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Scorcio al tramonto del museo all’incrocio tra Washington Street e Gansevoort Street; in primo piano la testata della High Line (foto di Ed Lederman).
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Schizzo di studio.
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Vista delle terrazze-gallerie e delle sale esterne che caratterizzano il fronte est (foto di Nic Lehoux).
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“La grande avventura, iniziata nel 2011, è stata quella di partire da una collezione straordinaria di arte americana, stimata in 22 mila pezzi, che non aveva più spazio per essere esposta su Madison Avenue, e di costruire un edificio degno di divenirne la dimora” ha spiegato Renzo Piano che, con RPBW, firma il progetto del nuovo Whitney Museum of American Art, nel Meatpacking District. Nonché il trasloco della sua sede dall’upper East Side a lower Manhattan. “Raccoglie l’eredità del celebre museo fondato da Gertrude Vanderbilt Whitney nel 1930 nel Greenwich village, poi trasferitosi nel 1966 nell’edificio progettato da Marcel Breuer ed Hamilton P.Smith, tra la 75esima strada e Madison Avenue”. Questo, nuovo, è ubicato all’angolo tra Gansevoort Street e Washington Street: un edificio di 20.500 mq di superficie totale, nove piani di altezza, dal livello 5 all’ottavo spazio espositivo con 4500 mq al coperto più 1200 all’aperto di gallerie esterne e terrazze, ma anche laboratorio, centro studi e teatro, ristorante, caffetteria, negozio, uffici e aree deposito. Segni particolari: presenta sottili tiranti high tech in facciata con funzione di sostegno, pavimentazioni in legno di recupero e luci a Led negli spazi interni che ne alimentano la sostenibilità, apparecchi tecnici a vista, sei lucernari ad ali allineate in copertura orientate verso la luce proveniente da sud, e anche una mega terrazza ricavata sul tetto del principale spazio espositivo, dove lo sguardo può spaziare a 360° sui bagliori argentei del panorama. Perché questo prezioso scrigno dell’American Art ha ricercato, nella totale permeabilità degli spazi espositivi, soprattutto un innesto con il contesto della High Line e del tessuto urbano del Meatpacking District da una parte e con la rete formata da 10th Avenue e Hudson River Greenway, dall’altra: ovvero, un incontro con l’arte che potesse diventare esperienza più intensa di osmosi con l’ambiente. Lo restituisce attraverso il disegno di “una forma dinamica e asimmetrica”, distesa da est a ovest, sollevata da terra e “in primis poggiante su un prisma vetrato che conserva un’altezza uguale a quella della High Line cui si addossa” e con cui resta in rapporto visivo diretto. Come fosse una porta simbolica al recinto museale, Piano ha infatti utilizzato in modo strategico il lembo meridionale della vecchia ferrovia trasformata in un parco sopraelevato su progetto del paesaggista James Comer e degli architetti Diller, Scofidio + Renfro a partire dal 2006, riportandolo nella figura di un cannocchiale sfaccettato di vetro e acciaio proteso a catturare le viste e le luci migliori della città. Così visto da sud, dal fronte più ampio su Gansevoort Street, l’edificio risulta composto da una serie di volumi sovrapposti slittati tra loro, in modo che lo sbalzo crei un’estesa area pubblica adiacente all’ingresso del museo. “A mio parere, è uno dei messaggi più forti di questo luogo: si propone come una piazza condivisibile, perché la cultura deve albergare in una dimensione aperta” ha spiegato l’autore. Da questa sorta di ‘camera’ di decompressione con la strada, si raggiunge la porzione di volume vetrato trasparente che accoglie la hall d’ingresso e la caffetteria. In sezione esso risulta arretrato rispetto a quello sovrastante in aggetto che ospita gli spazi espositivi dedicati alle opere d’arte; dentro un corpo cieco, segnato da superfici di rivestimento in alluminio ricoperte all’esterno da lunghi fogli di acciaio, alla stregua di quello piramidale più alto coronato dai sei lucernari. Totalmente differente, è invece l’altro fronte più ampio della costruzione, quello a nord, che appare chiuso e introverso, ma sempre caratterizzato dalla costante della doppia pelle metallica a pannelli grigi-blu realizzata dalla Josef Gartner del Gruppo Permasteelisa. Questo elemento di continuità dell’involucro, nel prospetto orientato ad ovest verso l’Hudson, si mostra interrotto da due generose superfici trasparenti che concludono e celano rispettivamente l’auditorium per le performances e la galleria principale. Infine, ad est, la vista verso Washington Street, dove si trova la testata della High Line. Qui l’edificio restituisce la coinvolgente potenza narrativa di uno sviluppo degradante e articolato da una serie di scale in acciaio (le iconiche fire escapes degli edifici newyorkesi) che connettono le terrazze ai diversi livelli, dilatando all’esterno gli spazi espositivi. Conserva ancora il sapore ruvido del Meatpacking District, quando era sede di macelli. Un contraltare alle rotaie dimenticate della High Line.   in collaborazione con Cooper Robertson (New York) foto courtesy RPBW architects - testo di Antonella Boisi
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Il sole del tramonto ridisegna e incide le ombre delle terrazze ai diversi livelli sul fronte caratterizzato dalla doppia pelle metallica (superficiin alluminio ricoperte all’esterno da lunghi pannelli di acciaio) realizzata dalla Josef Gartner del Gruppo Permasteelisa.
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Veduta aerea a nord dell’edificio in costruzione. (foto di Nic Lehoux)
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Scorcio al tramonto del museo all’incrocio tra Washington Street e Gansevoort Street; in primo piano la testata della High Line (foto di Ed Lederman).
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Schizzo di studio.
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Vista delle terrazze-gallerie e delle sale esterne che caratterizzano il fronte est (foto di Nic Lehoux).
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“La grande avventura, iniziata nel 2011, è stata quella di partire da una collezione straordinaria di arte americana, stimata in 22 mila pezzi, che non aveva più spazio per essere esposta su Madison Avenue, e di costruire un edificio degno di divenirne la dimora” ha spiegato Renzo Piano che, con RPBW, firma il progetto del nuovo Whitney Museum of American Art, nel Meatpacking District. Nonché il trasloco della sua sede dall’upper East Side a lower Manhattan. “Raccoglie l’eredità del celebre museo fondato da Gertrude Vanderbilt Whitney nel 1930 nel Greenwich village, poi trasferitosi nel 1966 nell’edificio progettato da Marcel Breuer ed Hamilton P.Smith, tra la 75esima strada e Madison Avenue”. Questo, nuovo, è ubicato all’angolo tra Gansevoort Street e Washington Street: un edificio di 20.500 mq di superficie totale, nove piani di altezza, dal livello 5 all’ottavo spazio espositivo con 4500 mq al coperto più 1200 all’aperto di gallerie esterne e terrazze, ma anche laboratorio, centro studi e teatro, ristorante, caffetteria, negozio, uffici e aree deposito. Segni particolari: presenta sottili tiranti high tech in facciata con funzione di sostegno, pavimentazioni in legno di recupero e luci a Led negli spazi interni che ne alimentano la sostenibilità, apparecchi tecnici a vista, sei lucernari ad ali allineate in copertura orientate verso la luce proveniente da sud, e anche una mega terrazza ricavata sul tetto del principale spazio espositivo, dove lo sguardo può spaziare a 360° sui bagliori argentei del panorama. Perché questo prezioso scrigno dell’American Art ha ricercato, nella totale permeabilità degli spazi espositivi, soprattutto un innesto con il contesto della High Line e del tessuto urbano del Meatpacking District da una parte e con la rete formata da 10th Avenue e Hudson River Greenway, dall’altra: ovvero, un incontro con l’arte che potesse diventare esperienza più intensa di osmosi con l’ambiente. Lo restituisce attraverso il disegno di “una forma dinamica e asimmetrica”, distesa da est a ovest, sollevata da terra e “in primis poggiante su un prisma vetrato che conserva un’altezza uguale a quella della High Line cui si addossa” e con cui resta in rapporto visivo diretto. Come fosse una porta simbolica al recinto museale, Piano ha infatti utilizzato in modo strategico il lembo meridionale della vecchia ferrovia trasformata in un parco sopraelevato su progetto del paesaggista James Comer e degli architetti Diller, Scofidio + Renfro a partire dal 2006, riportandolo nella figura di un cannocchiale sfaccettato di vetro e acciaio proteso a catturare le viste e le luci migliori della città. Così visto da sud, dal fronte più ampio su Gansevoort Street, l’edificio risulta composto da una serie di volumi sovrapposti slittati tra loro, in modo che lo sbalzo crei un’estesa area pubblica adiacente all’ingresso del museo. “A mio parere, è uno dei messaggi più forti di questo luogo: si propone come una piazza condivisibile, perché la cultura deve albergare in una dimensione aperta” ha spiegato l’autore. Da questa sorta di ‘camera’ di decompressione con la strada, si raggiunge la porzione di volume vetrato trasparente che accoglie la hall d’ingresso e la caffetteria. In sezione esso risulta arretrato rispetto a quello sovrastante in aggetto che ospita gli spazi espositivi dedicati alle opere d’arte; dentro un corpo cieco, segnato da superfici di rivestimento in alluminio ricoperte all’esterno da lunghi fogli di acciaio, alla stregua di quello piramidale più alto coronato dai sei lucernari. Totalmente differente, è invece l’altro fronte più ampio della costruzione, quello a nord, che appare chiuso e introverso, ma sempre caratterizzato dalla costante della doppia pelle metallica a pannelli grigi-blu realizzata dalla Josef Gartner del Gruppo Permasteelisa. Questo elemento di continuità dell’involucro, nel prospetto orientato ad ovest verso l’Hudson, si mostra interrotto da due generose superfici trasparenti che concludono e celano rispettivamente l’auditorium per le performances e la galleria principale. Infine, ad est, la vista verso Washington Street, dove si trova la testata della High Line. Qui l’edificio restituisce la coinvolgente potenza narrativa di uno sviluppo degradante e articolato da una serie di scale in acciaio (le iconiche fire escapes degli edifici newyorkesi) che connettono le terrazze ai diversi livelli, dilatando all’esterno gli spazi espositivi. Conserva ancora il sapore ruvido del Meatpacking District, quando era sede di macelli. Un contraltare alle rotaie dimenticate della High Line.   in collaborazione con Cooper Robertson (New York) foto courtesy RPBW architects - testo di Antonella Boisi [gallery ids="64380,64382,64384,64386,64388,64390,64392,64394,64396,64398,64400,64402,64404,64406,64408,64410"]
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Disegni di progetto, prospetto est
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Disegni di progetto, prospetto nord
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Disegni di progetto, prospetto sud (su Gansevoort Street)
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Disegni di progetto, prospetto ovest.
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Dettaglio della copertura ad ali vista verso l’Hudson. (foto di Nic Lehoux)
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Dettaglio della terrazza-galleria da sud-est. (foto di Nic Lehoux)
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Schizzo di studio del Whitney Museum nel Meatpacking District.
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Dettaglio del piano terra su 10th Avenue (foto di Nic Lehoux).
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Vista dello spazio per le performances con la grande vetrata belvedere sull’Hudson.
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Veduta della galleria espositiva all’ultimo piano illuminata dall’alto. (foto di Nic Lehoux)
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Disegni di progetto, prospetto est
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Disegni di progetto, prospetto nord
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Disegni di progetto, prospetto sud (su Gansevoort Street)
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Disegni di progetto, prospetto ovest.
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Dettaglio della copertura ad ali vista verso l’Hudson. (foto di Nic Lehoux)
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Dettaglio della terrazza-galleria da sud-est. (foto di Nic Lehoux)
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Schizzo di studio del Whitney Museum nel Meatpacking District.
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Dettaglio del piano terra su 10th Avenue (foto di Nic Lehoux).
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Vista dello spazio per le performances con la grande vetrata belvedere sull’Hudson.
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