Ci voleva una grande e rivoluzionaria mostra per riportare Paola Antonelli a Milano. Ed esattamente nel luogo in cui, 29 anni fa, ha iniziato una carriera che l’ha portata a essere Senior Curator del Dipartimento di architettura e design del MoMA di New York, nonché uno dei nomi di eccellenza dell’Italia nel mondo.

La nota curatrice firmerà infatti la XXII Esposizione Internazionale della Triennale di Milano dal titolo Broken Nature: Design Takes on Human Survival, in programma dall’1 marzo all’1 settembre 2019.

Una mostra che punta a proporre una visione più ampia e contemporanea del design rispetto a quella che gli italiani associano abitualmente al mondo della casa. E a posizionare la storica manifestazione della Triennale, ripresa nel 2016 dopo vent’anni di silenzio, su un piano veramente internazionale.

Ne parla Paola Antonelli. “La considerazione di base è che abbiamo torturato e torto il nostro rapporto con la natura. Nel processo di monitoraggio e recupero dei legami che definiscono questo rapporto, il design potrebbe giocare un ruolo fondamentale, ma purtroppo viene quasi sempre escluso dai processi decisionali più importanti che riguardano il nostro futuro.

La Triennale del 2019 potrà costituire una grande occasione per spiegare che cosa il design può offrire al mondo. C’è un nuovo tipo di creatività che integra tutte le scale del progetto, rappresentato da un ciclo metabolico in cui design, arte, architettura, ingegneria, scienza si alimentano, si contaminano e si informano a vicenda creando una nuova modalità di progettazione.

Non c’è più una distinzione verticale delle discipline ma una grande collaborazione, ed è proprio quella che vorremmo rappresentare con la mostra “Broken Nature”, basata sull’idea che solo riunendo tutte le forme del sapere in un’unica forma di sapere plenaria potremo veramente influenzare le mentalità e i comportamenti degli essere umani”.

Hai già fatto una riflessione sulla formula espositiva della mostra? Quali innovazioni ti piacerebbe portare a Milano, mettendo a frutto la tua esperienza newyorkese?
Vorremmo che il processo progettuale della mostra fosse aperto a tutti. Per questo creeremo una piattaforma on line dove presenteremo pubblicamente i nostri ragionamenti e daremo l’opportunità al pubblico di esprimere i loro.
Il compito dei curatori non è più dire cosa è giusto e cosa è sbagliato, ma fornire stimoli per aiutare le persone a giudicare autonomamente e a capire in quale direzione bisogna progettare. Credo che il design, in tutte le sue accezioni, abbia questo potere: quello di far sentire le persone partecipi e di stimolare i comportamenti quotidiani, anche quelli più minuti, in modo che tutti possano lavorare per un futuro migliore.
L’esperienza maturata al MoMA mi ha permesso di capire che al pubblico interessa molto di più conoscere come si arriva alla definizione di una mostra che non visitare la mostra ultimata.

Oggi si parla di design nell’era dell’Antropocene, ovvero di progetti post industriali che inglobano geneticamente i processi naturali e artificiali generati dall’azione dell’uomo sull’ambiente. È quanto intendi proporre con la tua mostra?
Il mio punto di vista è proprio questo. Io credo che, in termini biologici e comportamentali, il genere umano sia destinato all’estinzione. E penso che il design possa aiutarci a progettare una fine più elegante in modo che la prossima specie dominante ci ricordi con un minimo di rispetto, quanto meno per la nostra dignità e premura.

Saresti tornata a lavorare a Milano se Milano non fosse la città che è diventata in questi ultimi anni?
Sì, se la Triennale mi avesse fatto la stessa proposta. Anche perché io sono pur sempre milanese. Tuttavia, questo progetto è nato in un momento particolarmente favorevole: il MoMA ha messo in atto un programma di espansione, per cui ha colto positivamente la possibilità di creare a Milano un laboratorio sulla sostenibilità per l’incubazione di idee da sviluppare poi a New York. Per questo mi ha data volentieri in prestito alla Triennale per un anno e mezzo.

Da sempre sostieni che il design è tutto e ovunque. In Italia, però, si continua a pensare al design in termini di arredo. Pensi che questa mostra possa cambiare il nostro punto di vista?
È inutile fare grandi proclami e cercare di convincere ‘a freddo’. L’unico modo per innescare il cambiamento è iniziare a proporre degli esempi che possano poi avere un seguito.

Secondo te l’italianità ha ancora un valore in termini di design?
Quando sono arrivata a New York e ho iniziato a lavorare per il MoMA, il solo fatto di essere italiana suscitava un grande rispetto nei miei confronti. Per quanto le cose siano profondamente cambiate in questi anni, credo che gli americani continuino ad apprezzare e ammirare la ‘vulnerabilità’ della cultura del design italiana.
Soprattutto, il suo connaturato senso della bellezza. La prossima Triennale Internazionale consentirà a Milano di spaziare nel mondo e di portare il mondo a Milano. Anche se siamo in debito con la natura (e con la natura umana), non dobbiamo sentirci costretti a una mortificazione estetica e sensuale. Siamo italiani e vogliamo dimostrare al mondo che l’etica si può sposare con l’estetica.

di Maddalena Padovani

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Un ritratto di Paola Antonelli, curatrice della XXII Esposizione Internazionale della Triennale di Milano.