Dall’11 settembre al primo novembre 2015, il Botanique Museum di Bruxelles ha omaggiato Xavier Lust con l’esposizione delle sua produzione: ben 81 pezzi cronologici, dalla panca Le Banc esposta al Salone Satellite di Milano nel 2000 che lo rivelò nuova promessa, sino alle ultime creazioni, accompagnata dal volume monografico “Design stories” corredato da testi critici.

“I pezzi sono stati scelti con ragione” afferma Xavier “affinché documentino come il mio percorso sia stato, sin dagli esordi, un lavorare sodo, anche con le mani. Questa mostra non intende essere una retrospettiva, ma è il punto di partenza di un progetto dinamico”.

Un progetto esclusivo, che non ha parentele nel mondo del design. Xavier è una figura ibrida: un designer industriale ortodosso che si compiace di veder realizzate e moltiplicate le proprie idee e che lavora da artigiano, non per dare ai suoi pezzi il valore aggiunto dell’esecuzione virtuosa, della decorazione superficiale, degli effetti speciali, quanto per sottrarre, smussare e lisciare. Non per complicare, ma per semplificare e per dare alle sue forme, modellate a mano, la fluidità, le curve e le rotondità che la tecnologia a stampo ha reso accessibili.

È paradossale che ricorra al fare con le mani, che modelli personalmente con un suo artigiano di fiducia per produrre un risultato che pare ottenuto dallo stampaggio in 3D. Non appartiene a scuole di pensiero, non è assimilabile ai makers, ma giganteggia (e non è un iperbole, data la sua altezza) solitario, impegnato, anche fisicamente, a costruire le sue forme. Più simile a uno scultore, anche se si considera al cento per cento un designer industriale.

Al di là di un indiscusso talento personale, la sua arte risiede nel fare con le mani, in laboratorio con fatica fisica, quelle sagome ardite che le macchine realizzano, asetticamente, senza difficoltà, per regalare ai pezzi quelle imperfezioni e disomogeneità che restituiscono il senso dell’unicità.

Sebbene si dedichi alla creazione di pezzi unici o in serie limitata, coltivando il circuito delle gallerie e delle case d’aste (la parigina Piasa ha recentemente venduto all’asta tutti i suoi prototipi), corteggia le aziende industriali per misurarsi con la serie e con altri materiali, come il Cristalplant o il vetro, senza perdere la sua speciale impronta.

Si premura di sottolineare come la sua tecnica di piegatura dei metalli sia ancora manuale. A osservarle con attenzione, le sue curve rivelano il tocco della mano, di una mano che non vuole lasciare impronte, ma che si adopera a esaltare la fluidità delle materie.

Ha scelto il metallo perché è un materiale che pone dei vincoli con i quali confrontarsi, una materia da domare, che regala a chi lo sa maneggiare, con forza e delicatezza, la sorpresa d’imprevisti bagliori e di specchi di luce. Lo ha scelto perché è un materiale industriale, nitido ed esatto, eppure duttile, che riesce a plasmare in forme dotate della plasticità che contraddistingue quelle naturali e di una grande eleganza, quasi femminile.

Molti dei suoi pezzi hanno il dinamismo di una figura snella. Nel suo modellare non c’è indugio ma velocità, per regalare alle sagome il guizzo del segno estemporaneo e per donare naturalezza a quanto crea con impegno e fatica.

 

testo di Cristina Morozzi

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Uno scorcio della mostra “Design stories” al Botanique Museum di Bruxelles che ha celebrato il lavoro di Xavier Lust.
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La Lust Chair per MDF Italia, 2015.
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L’ingresso alla mostra.
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Un ritratto di Xavier Lust.
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In una sala dell’esposizione, da sinistra, tavolino Source, Driade, 2008; specchio Blob IV, Carpenters Workshop Gallery, 2007; seduta Archiduchaise Bleue, Pierre Passebon, 2014; contenitore Meuble d’Appui, Pierre Passebon, 2014; portariviste Meteorite, 1999.
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La libreria Oxymore in acciaio acidato, effetto ferro, produzione De Castelli, 2014.
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S. Table, in bronzo con piano in vetro, Galleria Pierre Passebon, 2014.
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Un’altra veduta della mostra. In primo piano, La Petite Bibliothèque, in bronzo brunito e alluminio, 2010 e il tavolo Confluence, Pianca, 2014.
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La seduta-consolle Oudjat in ottone brunito, Pierre Passebon, 2015.