Attrezzature sportive, zone ginniche, arredi per la cura della bellezza. Anche i grandi maestri del Novecento avevano ipotizzato di realizzare spazi per il benessere all'interno della casa. Tra reali esigenze fisiche e desiderio di esibizione. Il tema torna oggi d'attualità con una prospettiva tutta nuova

Cultura e culturismo, ginnasio e ginnastica: l’etimologia delle parole condensa un’associazione che nella cultura occidentale riunisce attività fisica e mentale in un equilibrio considerato vitale per il benessere dell’essere umano. Una lettura sociale del design non può non notare quanto, nella costruzione degli spazi dell’abitare, la dedizione al benessere del corpo vada di pari passo con l’affermazione della cultura borghese. Se all’inizio del Novecento la massima ambizione è quella di un bagno individuale e non condiviso, già a partire dagli anni Trenta subentrano nuove tipologie di arredo che ne estendono le funzioni.

È il caso, per esempio, di zone dedicate alle attività ginniche con attrezzi a vista che dialogano senza difficoltà con arredi più tradizionali. Già nel 1923 in Verso una architettura Le Corbusier inizia a parlare di attrezzi ginnici a completamento della salle de bains e nel 1927 Marcel Breuer introduce nei suoi interni zone dedicate alla ginnastica. Spesso la presenza di questi oggetti tecnici è legata più a una rappresentazione di vanitas alla moda che a un reale bisogno fisico, trattandosi di quella che lo stesso Breuer chiamerà la “healthy body culture".

Nel suo appartamento berlinese per il regista teatrale Erwin Piscator si nota, infatti, che “avere una tale attrezzatura a casa era abbastanza in voga, anche fra coloro che non ne avrebbero mai fatto uso”. Singolare è il fatto che questo genere di abitazione attrezzata sia spesso dedicato a “giovani uomini”, dandy dediti alla “mens sana in corpore sano”, come accade nel 1931 con la casa per “l’uomo sportivo” dello stesso Breuer, che inaugura un vero e proprio leitmotiv del razionalismo architettonico. In queste case il soggiorno diventa un ampio living, che anticipa di qualche decennio l’avvento dell’open space, dove lo zoning funzionale è definito dalla presenza di attrezzature specifiche, come appunto quelle sportive.

Anche l’Italia non è da meno, quando trova nella Stanza per un uomo di Franco Albini alla Triennale del 1936 la versione tricolore di questa tendenza. Si tratta di un mini alloggio per un single, dove a dominare è la marcata trasparenza delle strutture, con diaframmi che lasciano lo sguardo e la luce fluire il più liberamente possibile. Sotto al letto sospeso a due metri dal terreno è posto un vogatore, quasi a dichiarare che l’attività fisica è centrale nella gerarchia delle funzioni.

Più recente è un altro fenomeno, quello della trasformazione di tipologie di arredo classiche in forme che richiamano la funzione sportiva solo visivamente."

Anche la triade Le Corbusier, Perriand e Jeanneret nel 1935 progetta insieme a René Herbst la Maison du Jeune Homme per l’Expo di Bruxelles, dove mente e corpo sembrano abitare un ‘duplex’: da un lato lo studio dedicato all’attività intellettuale con scrivania e libreria; dall’altro, separata da una rete da campo da basket all’aperto, una zona ginnica con tanto di anelli sospesi dal soffitto.

Mancano totalmente, negli stessi anni, le case per donne single: la società benpensante non riesce ancora a superare il tabù dell’indipendenza femminile. Solo una rivoluzionaria come la stessa Charlotte Perriand pone nel soggiorno del suo appartamento a Montmartre gli anelli per la ginnastica aerea, simbolo mascolino di autonomia e forza. Ma l’uso dell’epoca, al contrario, vede la presenza femminile solo nelle case per coppie sposate. Negli interni alto-borghesi l’angolo riservato alla donna non si esplicita tanto nella cucina – luogo per il personale di servizio – quanto nella ‘toilette’, dove la signora si dedica alla cura del corpo intesa come cura della bellezza

Ecco allora fare la comparsa nell’antibagno e poi, nelle camere da letto, del cosiddetto vanity table o dressing table, o ancora ‘toeletta’, un mobile pensato per spazzolare i capelli, conservare gioielli, truccarsi e prendersi cura della pelle con creme e profumi. Negli anni ’40 e ’50 saranno infatti i designer dell’alta borghesia a firmare bellissimi vanity table: Osvaldo Borsani per la sua clientela ma anche per la villa familiare a Varedo (MB), Gio Ponti con pezzi unici e con le serie per il Parco dei Principi di Roma e Sorrento, Carlo Mollino per gli appartamenti dei professionisti sabaudi. Tra nostalgia ed edonismo di ritorno è dai primi anni ’90 che sia l’attrezzatura ginnica che il mobile da toeletta riprendono la scena, ma con caratteristiche decisamente aggiornate agli stereotipi culturali del nostro tempo.

Da un lato il vanity table diventa sempre più compatto, barcamenandosi tra l’effetto stupore della sua comparsa-scomparsa, grazie ai meccanismi a chiusura, e l’esibizione di materiali e cromie sempre più raffinati. Dall’altro il mondo dell’hi-tech condiziona il formalismo degli attrezzi ginnici, che dalla palestra migrano nello spazio domestico. Più recente è invece un altro fenomeno, quello della trasformazione di tipologie di arredo classiche in forme che richiamano la funzione sportiva solo visivamente.

Se all’inizio del Novecento la massima ambizione è quella di un bagno individuale e non condiviso, già a partire dagli anni Trenta subentrano nuove tipologie di arredo che ne estendono le funzioni."

Collezioni come Body Building di Atelier Biagetti (2015) o Game On di Jaime Hayon (2014) testimoniano una riflessione più ampia sulla vanità della società contemporanea e sul culto della prestanza fisica. Un modo per meditare sul concetto di ‘apparenza vs sostanza’ che ormai attraversa i generi sessuali, accomunati da un obiettivo di estetica omologata. Quasi che lo stereotipo fisico sia diventato una sorta di superamento della differenza di genere, sempre che questo possa definirsi una conquista.

Tale status symbol sembra oggi più che mai lontano da esigenze di benessere che mutano nella sostanza i nostri parametri, all’indomani della clausura forzata imposta dalla pandemia. Se il desiderio proibito ora è quello della libertà di espressione del corpo, possibilmente in spazi aperti e condivisi, anche l’intimità domestica poco ha potuto godere del mantenimento della forma fisica fine a se stessa. Forse il benessere psico-fisico indoor richiede una riflessione più complessa che il progetto contemporaneo può oggi cogliere con un’attenzione e una consapevolezza del tutto inedite.