Mutevolezza, provvisorietà, versatilità d’uso sono temi che già tra gli anni ’50 e ’70 avevano ispirato i maestri del design nell’intento di assecondare i cambiamenti degli stili di vita. Ora sono tornati più che mai attuali: una casa resiliente e flessibile è infatti un’esigenza di quest’epoca; con arredi trasportabili, componibili, multifunzionali

Il periodo di lockdown ha portato ciascuno di noi a riflettere sugli spazi domestici, a cercare angoli nascosti da attrezzare per il lavoro, a vivere ogni affaccio verso l’esterno o, in generale, a utilizzare gli ambienti in modo diverso nei differenti momenti della giornata. Abbiamo sentito la necessità di una casa più flessibile e resiliente, da trasformare velocemente. Una casa ‘nomade’, nel senso di autosufficiente e attrezzata, capace di accompagnare la mutabilità delle abitudini e delle necessità con soluzioni componibili e trasformabili, facili da riporre o da trasportare.

Sono molti gli esempi recenti che aprono la strada a nuove tipologie d’arredo: come Altaquota, design Lorenzo Damiani per Fontanot, un sistema di panche, mensole e consolle che si snoda a partire da una scala per soluzioni multifunzione e salva spazio; Touch Down Unit di Studio Klass per Unifor, una postazione di lavoro domestica e autonoma, pensata per essere adattata ai continui cambiamenti di layout degli spazi; o la madia-libreria Geta di Baldessari e Baldessari per Bross, che unisce il richiamo alla sua funzione contenitiva originaria – la piattaia – alle esigenze dell’home working.

Come per altri aspetti della vita, la recente pandemia ha soltanto accelerato o messo in evidenza fenomeni esistenti. La cultura contemporanea è infatti intrisa di caratteri legati al nomadismo, visibili non solo nella pletora di oggetti che permettono di svolgere attività in movimento, ma anche negli ambienti domestici. A partire dalla fine degli anni Novanta del secolo scorso, accanto ai grandi flussi migratori dovuti ai mutamenti politici e all’emergenza sociale, si registrano movimenti di persone sempre più propense a cambiare città o nazione per motivi di lavoro e di studio, generando stili di vita all’insegna del “less is more”: del minore attaccamento agli oggetti, della scelta funzionale degli arredi e di case da abitare ‘a tempo’.

Analoghi cambiamenti sociali e valori attribuiti alla casa ‘nomade’ sono però precedenti a questo periodo storico. Da un lato, la ricostruzione dell’Italia negli anni Cinquanta, dall’altro l’emergere di nuove generazioni negli anni Sessanta, connesse alle istanze dei movimenti giovanili globali, portarono alla costruzione, o al riadattamento, di alloggi di piccole dimensioni, per i quali vennero studiati arredi ad hoc, trasformabili e mutevoli. Gli anni Sessanta furono anche quelli della conquista della Luna – il viaggio per eccellenza – inaugurando la cosiddetta la Space Age, raffigurata con bolle autonome capaci di accogliere unità abitative complete, fonti d’ispirazione per un nuovo concetto del vivere: habitat provvisori con oggetti compatti, modulari e smontabili. Le condizioni di trasportabilità, leggerezza, provvisorietà e multifunzionalità diventano, dalla fine degli anni Sessanta, nuovi presupposti progettuali – come ben si evince dai prototipi alla celeberrima mostra “Italy: The new domestic landscape”, al MoMa nel 1972.

La recente pandemia ha soltanto accelerato o messo in evidenza fenomeni esistenti. La cultura contemporanea è infatti intrisa di caratteri legati al nomadismo, visibili non solo nella pletora di oggetti che permettono di svolgere attività in movimento, ma anche negli ambienti domestici."

Nel suo appartamento-manifesto di Milano, trasformabile sia nella planimetria sia negli arredi multifunzionali, Joe Colombo mette in atto molti concetti legati alla casa ‘nomade’. Tra questi, tuttora in produzione, la Multichair (Sormani, 1970, oggi B-Line): una seduta composta da due elementi che, diversamente accostati e sovrapposti, consentono una molteplicità di usi: dalla poltrona per conversazione alla dormeuse per il relax informale. Perché un divano non è solo un posto su cui sedersi, ma un ‘luogo’ ampio e confortevole da vivere, su cui dormire, mangiare o rilassarsi (oggi anche lavorare), accogliendo perfino degli ospiti in una zona living che si trasfigura dal giorno alla notte.

In questo periodo nascono prodotti come il celebre sistema modulare Strips di Cini Boeri (Arflex, 1968): “fagotti morbidi sui quali arrangiarsi, nei quali infilarsi; lavabili, disfabili, rifacibili e snodati”, per usare le parole dell’architetto. Il sistema, di cui faceva parte anche il letto, consente di conformare isole per usi e metrature diverse. La componibilità e la modularità degli arredi è un tema di quegli anni, in risposta a nuove esigenze d’uso e alla possibilità di utilizzare gli oggetti in più ambienti della casa. Paradigmatico è il sistema Componibili di Anna Castelli Ferrieri per Kartell (1967), che aggiunge la caratteristica delle ruote per essere più leggero e facilmente trasportabile.

Nel 1970 compare Anfibio, design Alessandro Becchi per Giovannetti, un divano che diventa letto in pochi gesti, slacciando il rullo continuo dello schienale – la forma richiama la zattera o il gommone, a sottolineare la sua natura di provvisorietà e di emergenza. Un’eredità raccolta negli anni da altri arredi ‘trasformisti’ quale Trix, disegnato da Piero Lissoni per Kartell (2006): una seduta composta da tre elementi collegati da un sistema di lacci che la rendono pouf per due persone, letto, poltrona o chaise longue.

O ancora Dynamic Life (Campeggi, 2011), il divano di Matali Crasset, che si trasforma in seduta, dormeuse o letto destrutturato. “Il divano”, spiega la designer francese che ha affrontato più volte il tema del nomadismo domestico, “si è via via imborghesito fino ad assumere valenza di oggetto fossile; una sorta di cetaceo arenato nell’universo domestico che porta via molto spazio offrendo in cambio un servizio esiguo. Da qui l’idea di pretendere da lui un po’ più di generosità e di immedesimazione nel vivere moderno”.

Una casa ‘nomade’, nel senso di autosufficiente e attrezzata, capace di accompagnare la mutabilità delle abitudini e delle necessità con soluzioni componibili e trasformabili, facili da riporre o da trasportare."

La ‘vita da campo’ è stata foriera di suggerimenti progettuali e adattamenti tipologici negli interni. Per esempio la Tripolina, sedia pieghevole dalla struttura in legno e rivestimento in tessuto, nacque nella seconda metà dell’Ottocento e fece parte dell’equipaggiamento delle truppe inglesi nelle campagne di guerra del periodo. È stata portata nelle case grazie a numerose interpretazioni, tra cui quella raffinata di Franco Albini, introdotta nell’allestimento per Palazzo Bianco a Genova (1950), oggi rieditata da Eligo Milano. L’essere pieghevole, unito alla possibilità di essere riposto per salvare spazio, è un tema a lungo investigato. Tra gli oggetti più paradigmatici, il tavolo Cumano di Achille e Pier Giacomo Castiglioni (Zanotta, 1978) che non soltanto è pieghevole, ma presenta anche un foro sul ripiano che consente di attaccarlo e perfino impilarlo a muro.

La semantica dell’oggetto da campo è ripresa inoltre dalla celebre lampada May day (design Konstantin Grcic per Flos, 2000), dotata di manico per essere trasportata, gancio per essere appesa e passanti per avvolgere il cavo. E arriva fino a progetti più recenti, come Tense del duo di designer svizzeri Panter&Tourron, una serie di arredi pensata proprio per uno stile di vita nomade: gli oggetti sono leggeri e smontabili al pari di una tenda da campeggio, per essere trasportati da una casa all’altra. Il progetto di ricerca, in questi mesi rivisto e arricchito, diventerà una collezione per Cappellini nel 2021.