Per le giovani generazioni, abituate alla semantica immateriale delle nuove tecnologie, la riscoperta del senso fisico degli oggetti rappresenta un’esperienza inedita, che apre a uno scenario materiale dolce e soffuso

Da quando il mondo è entrato nell’epoca digitale sono diventati sempre più frequenti i richiami al valore della concretezza ‘analogica’ del progetto. La grana materica, le vibrazioni dei sensi, il sapore tangibile del prodotto hanno assunto una centralità sempre maggiore nella narrazione contemporanea. Occorre però chiedersi se questa insistenza sull’importanza della fisicità degli oggetti, puntualmente contrapposta alla freddezza del digitale, non sia dovuta a un’emorragia sottocutanea che, surrettiziamente ma inesorabilmente, sta drenando dal corpo del prodotto il tradizionale valore oggettuale.

Il dubbio è lecito: la risposta, tuttavia, è negativa. La centralità della dimensione fisica dell’arredo non sta affatto venendo meno. Vero è che l’ubriacatura da digitale ha portato negli ultimi anni alla rincorsa dell’ultima trovata neo-tech. Ma mentre le generazioni predigitali erano impegnate a metabolizzare un’evoluzione tecnologica che non avrebbe risparmiato nessun aspetto della vita quotidiana, la prima vera generazione di nativi digitali cresceva fino a diventare uno specifico target di riferimento, che si presenta oggi con un proprio profilo psicografico e, più prosaicamente, con un proprio potere d’acquisto. Soprattutto, quello che per le generazioni predigitali costituiva un punto d’arrivo – la convergenza compiuta tra reale e digitale – rappresenta per i più giovani un punto di partenza, una situazione di fatto sulla quale crescere e alimentare la propria idea di futuro.

Gli appartenenti alla generazione Z (i nati cioè dalla seconda metà degli anni Novanta alla fine degli anni Zero) non hanno memoria di un mondo senza internet e smartphone. La loro persona sociale si è interamente sviluppata attraverso l’infrastruttura digitale, condizione unica che li ha portati a maturare un approccio molto più laico verso le nuove tecnologie di quanto non abbiano saputo fare i loro genitori. Per i ventenni di oggi, le nuove tecnologie non sono né qualcosa da temere né da idolatrare, fanno ‘naturalmente’ parte del mondo come il legno degli alberi e il cemento delle città.

Il design neo-reale deve saper calibrare con precisione millimetrica la forma di questa che, per loro, è una nuova valorizzazione estetico-sensoriale, impastando con cura le fasi reali e quelle digitali per dare il giusto risalto a entrambe, esalatene però – ecco l’elemento di novità – le unicità e le differenze."

Al punto che ai loro occhi la recente ripresa di vigore della dimensione fisico-analogica del design, intensificata dal periodo di incertezza sanitaria ed economica che stiamo vivendo, rappresenta non un nostalgico ritorno al passato, ma un’accelerazione verso un futuro nuovo e inedito, il dischiudersi di un’esperienza che va ‘guadagnata’ attraverso un’attiva (e progettata) perimetrazione del digitale. Per usare un’espressione presa in prestito dall’ambito dei media, in cui si fa distinzione fra paid media (canali a pagamento), owned media (canali di proprietà) e earned media (canali guadagnati attraverso la reputazione e il passaparola), possiamo parlare qui di earned reality, di una neo-realtà che agli occhi di chi è abituato a valutare le cose attraverso un filtro retroilluminato appare, nella sua inconsueta fisicità, fresca e corroborante.

Ciò non vuol dire che i giovani respingano la dimensione digitale in toto. La generazione Z è estremamente consapevole della propria dipendenza dalla tecnologia, e proprio per questo può apprezzare più di altri il valore della neo-realtà analogica. Allo stesso tempo però soffre di una profonda incapacità di immaginare una vita che sia monda dal digitale. Ecco perché il design neo-reale deve saper calibrare con precisione millimetrica la forma di questa che, per loro, è una nuova valorizzazione estetico-sensoriale, impastando con cura le fasi reali e quelle digitali per dare il giusto risalto a entrambe, esalatene però – ecco l’elemento di novità – le unicità e le differenze.

Gli appartenenti alla generazione Z (i nati cioè dalla seconda metà degli anni Novanta alla fine degli anni Zero) non hanno memoria di un mondo senza internet e smartphone. La loro persona sociale si è interamente sviluppata attraverso l’infrastruttura digitale."

In questo senso, il macrotrend degli ultimi mesi che ha visto la diffusione di rendering artistici dal sapore solido ma virtuale, fisico ma metafisico, indica con chiarezza la via ai linguaggi del design. La via di una materialità morbida, dolce e soffusa, soffice all’occhio e innocua al tocco, perfettamente in sintonia con il palato di un pubblico cresciuto tra le tenere pareti delle echo chambers. Ma che allo stesso tempo è già avviata a un massiccio processo di trasfusione all’interno, e all’esterno, del corpo solido del prodotto, che ne risulta trasfigurato nel senso e nell’aspetto.