Collaboratori Giada Mazzero, Eirini Giannakopoulou
Foto Carola Ripamonti
Testo Alessandro Rocca
Torino ha fama di città elegante, riservata e un po’ misteriosa, su cui aleggiano le memorie di due grandi architetti del passato recente, la figura composta e benevola di Roberto Gabetti e il profilo più sperimentale e inquietante, a tratti anche luciferino, del geniale Carlo Mollino.
In questo appartamento di circa 150 metri quadri, affacciato su piazza San Carlo e ridisegnato da Andrea Marcante e Adelaide Testa di Uda Architetti, queste due eredità si incontrano con uno terzo lascito storico importante, quello imposto dal governo mussoliniano negli anni Trenta con il progetto di rinnovamento urbano di via Roma tracciato da Marcello Piacentini, rappresentante ufficiale ed esecutore, in molti centri storici italiani, dell’architettura di regime.
Il lavoro di Uda, dietro alle due finestre termali di Piacentini, interpreta in modo originale questo impasto di memorie e tradizioni, che peraltro non sono per nulla omogenee, e ne ricava un taglio modernista che riecheggia l’eleganza aristocratica della città con i materiali preziosi ma non appariscenti, con la sensualità stilizzata delle diagonali, con la ricchezza di sfumature ton sur ton, con l’incorporare pezzi tipici dell’avanguardia, come le sedie Zig-zag di Gerrit Rietveld, stemperandone il concettualismo in un decoro borghese che resta accogliente, sì, ma sempre con misura, senza emozionarsi troppo.
Come dicono i progettisti, “è un appartamento realizzato al piano ammezzato di un palazzo affacciato sulla piazza simbolo di Torino, quella piazza San Carlo voluta dai duchi di Savoia e in particolare da Maria Cristina di Francia, che governò in reggenza come Madama Reale nella prima metà del Seicento. Diviene, tramite i suoi spazi e gli arredi, il teatro aggiornato di una rappresentazione di una certa idea della casa borghese, della casa del ceto medio professionale torinese, fatta di rassicurante precisione ingegneresca e sottili inquietudini”.
L’organizzazione degli spazi, a grandi linee, segue scelte piuttosto obbligate, con l’ingresso che accede direttamente nel soggiorno, rischiarato dalle due finestre piacentiniane, e che ricovera le tre stanze da letto e i servizi nelle parti di minor spessore del corpo di fabbrica. Uno spazio che, tolta la generosa estensione del soggiorno, non è abbondante, ma che cresce grazie all’accurato disegno di una serie di mobili-oggetto, o di micro-stanze, che popolano la casa, offrendo sobriamente i propri servizi e disegnando i colori e la percezione degli ambienti. Realizzati in legno fraké, questi microspazi diventano protagonisti della casa, ne dirottano scorci e riflessi luminosi, implementano le possibilità funzionali e delimitano le aree di influenza delle diverse attività.
Uno di questi totem, per esempio, si trova a segnalare la linea di confine tra il soggiorno e la zona della cucina irrompendo, con la sua massa alleggerita dalla trama del fraké e dal profondo intaglio diagonale, come il personaggio di una pièce metafisica. Un altro elemento analogo perimetra invece un percorso riservato che, dall’ingresso, può accedere direttamente alla zona delle camere da letto e, nello stesso tempo, può aprirsi, rivelando al proprio interno un piccolo ufficio segreto. Un lavoro di progettazione importante, e forse meno evidente, si trova nell’attenzione con cui è manipolata la percezione dello spazio anche attraverso l’uso dei materiali e delle loro texture.
Le doghe in rovere tinto in grigio scuro, le larghe venature marezzate del fraké e quelle strette e nervose del marmo nero, il riflesso spento del vetro grigio sottolineato dalla mensola in ferro brunito, sono tutti strumenti finalizzati a trasformare il volume disponibile in un’esperienza sensoriale complessa che amplifica l’importanza dello spazio, e lo smaterializza, introducendo vie di fuga, prospettive, tratteggi che si sfiorano.
Nel continuum visivo del movimento attraverso la casa, questa molteplicità di texture si intreccia e si sovrappone in un flusso di trame discrete che, nella sobrietà del loro non colore, trasforma la geometria degli ambienti in un paesaggio in movimento sempre interessante, sempre arricchito da un dettaglio, da un riflesso, da una sovrapposizione inedita. Questo effetto amplifica lo spazio, lo moltiplica come se fosse uno specchio che, anche senza luce, prosegue lo spazio reale attraverso una finestra virtuale.
Il grafismo dominante del pavimento e delle pareti trova poi una specie di ispessimento, quasi un render in 3D, nei soffitti, dove un piano volante, in bianco, si appende al soffitto tinteggiato in grigio raddoppiando, e quindi di nuovo smaterializzando, l’effetto volumetrico della stanza. Il controsoffitto, passando dal soggiorno al disimpegno, diventa uno strumento importante per trovare anche nella direzione verticale uno sfondamento illusorio e, nello stesso tempo, un apparato tecnico, con l’incasso della cappa e delle luci, e un sistema ornamentale che sottolinea l’unità e l’equilibrio dinamico che lega le diverse aree dell’appartamento.
Alessandro Rocca