Raymundo Sesma è un artista che lavora in grande. La scala della sua pittura è, letteralmente, architettonica. Attivo dagli anni Ottanta tra Milano e il Messico, suo Paese d’origine, ha da sempre lavorato sull’idea di architettura sociale, dedicandosi, soprattutto negli ultimi vent’anni, alla trasformazione di strutture urbane dimenticate in ‘opere aperte’ destinate alla fruizione fisica e intellettuale da parte della società.

Lettore di filosofie labirintiche, borgesiane come quella di Gilles Deleuze e Félix Guattari, e di riflessioni sul colore vertiginosamente ‘angolate’ come quelle di Wolfgang Goethe e di Ludwig Wittgenstein, Sesma è da lungo tempo abituato a operare a cavallo tra i due versanti dell’oceano Atlantico, dislocazione professionale dal respiro ampio che gli ha permesso di definire il senso e la direzione di un percorso creativo del tutto peculiare.

Come spiega lui stesso, “il prodotto di ogni artista è sempre autobiografico, nella misura in cui noi siamo quello che abbiamo vissuto, visto, imparato e processato. Nel mio caso ciò vale per il colore nell’architettura di Le Corbusier, per la pittura di Édouard Louis Dubufe, per l’architettura precolombiana, per i murales della cultura maya, per i pittori e muralisti messicani come Diego Rivera, José Clemente Orozco e David Alfaro Siqueiros, in particolare per la teoria della multi-angolarità. Parlando poi dell’Italia, non posso dimenticare la Cappella Sistina con le sue prospettive, il colore e il contesto, o l’intervento di Corrado Cagli alla Triennale di Milano del 1951, e potrei nominarne tanti altri che ho visto e analizzato. Ognuno di loro ha una sua ricerca e una specifica intenzione; nel lavoro di uno si evidenzia la religione, in quello di un altro l’aspetto decorativo, in quello di un altro ancora il carattere funzionale”.

Sono proprio questi riferimenti ‘multi-angolari’ a nutrire un segno architettonico composito, sfaccettato, prismatico. Intagliatore di colore e regista di geometrie diffrante, Sesma lavora come un alchimista dell’architettura, la cui capacità di gestione cromatica per frammenti, che definiscono e al tempo stesso aprono lo spazio, ricorda la policromia adamantina dei maestri italiani dello studio Alchimia, Alessandro Mendini e Alessandro Guerriero. E tuttavia nel lavoro di Sesma c’è anche dell’altro, il senso di un’urbanità densa, calda, dendritica, in cui la concretezza architettonica del cemento fa tutt’uno con l’astrattezza grafica del colore.

Architettura e pittura si tengono infatti insieme perché “l’artista lavora non per imposizione ma per analogia, facendo una lettura a priori del contesto su cui intervenire dal punto di vista della struttura, del disegno e della scala, oltre che del paesaggio. Una volta prodotta la lettura di tutti questi elementi, incluso il colore, si ridefinisce il disegno in quanto contesto, senza dimenticare la destinazione d’uso dell’edificio, inteso come opera aperta di cui lo spettatore è parte integrante.”

Ancorché meramente accessorio, il colore edificato ha quindi un ruolo sostanziale nel definire l’economia estetica del progetto. Proprio Sesma cita a questo proposito Giulio Carlo Argan, secondo il quale “non è possibile rappresentare visivamente lo spazio senza la percezione della realtà coloristica. Questo concetto di Argan è importantissimo, perché definisce la centralità del colore applicato all’architettura in senso paesaggistico, concezione in conflitto con quella dell’architetto che non sa di operare attraverso il colore e lo considera semplicemente un elemento decorativo. In realtà, il colore è il solo modo per restituire una dimensione ‘naturale’ a un contesto urbano, dal momento che il cemento copre la natura mentre il colore la restituisce”.

Non c’è prima il fabbricato e poi il decoro, ma l’edificio stesso, le sue interiora prospettiche, la triangolazione grafica dei suoi piani, trasversale tra l’interno e l’esterno, assumono la consistenza di una vera e propria ‘pittura paesaggistica’, che scompone l’edificio secondo logiche architettoniche e lo ricompone seguendo logiche grafico-cromatiche. In tal modo, il progetto coloristico assume un autentico valore terapeutico nei confronti del sociale, incombenza di cui l’architettura, data la scala e l’ambito di applicazione del suo intervento, può e deve farsi carico: “Credo che l’artista contemporaneo debba oggi più che mai scendere in campo, sul territorio del suo intervento diretto e di sperimentazione con il mondo. Questo per me è prioritario. Il degrado urbano delle grandi città è un tema di cui tener conto e da analizzare pensando a un ipotetico intervento urbano orientato alla sua riqualificazione, per restituire alla società un possibile futuro lontano dal degrado estetico e funzionale”.

Se, dunque, l’arte è un “cordone ombelicale che permette di comprendere il processo culturale dell’uomo come società e come pensiero”, allora l’architettura cromatica si configura “come una specie di arte pubblica in cui è la società intera ad attivare l’opera e ad appropriarsene”. Un’opera che sarà aperta, policromatica, multi-angolare, “multidisciplinarmente costituita e percepita”, proprio come il corpo sociale a cui è rivolta.

Testo di Stefano Caggiano

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Raymundo Sesma, Campo Expandido XLII, interni del Museo di Arte Contemporanea di Monterrey, Messico. Pareti in legno dipinte. Coordinamento: Gonzalo Ortega, Elisa Téllez, Leslie Alférez, Rebeca Hernández.
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Raymundo Sesma, Campo Expandido XLII, interni dell’edificio Fortuni, Prado Norte 135, Col. Lomas de Chapultepec, Del. Miguel Hidalgo, Città del Messico. Vista interna, vernice su pareti. Arredamento: Silvino Lópeztovar. Coordinamento: Mónica Urbán. Credits: Ana Gaby Peralta.
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Raymundo Sesma, Noción Transversal Fortuni 02014, edificio Fortuni, Prado Norte 135, Col. Lomas de Chapultepec, Del. Miguel Hidalgo, Città del Messico. Taglio di vinile su cristallo. Coordinamento: Bonifacio Jimenez. Credits: Ana Gaby Peralta.
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Raymundo Sesma, Campo Expandido XLII, interni edificio Fortuni, Prado Norte 135, Col. Lomas de Chapultepec, Del. Miguel Hidalgo, Città del Messico. Vista esterna, vernice su pareti. Coordinamento: Mónica Urbán. Credits: Ana Gaby Peralta.