Con The Mangiarotti Collection, Agapecasa raccoglie l’eredità di Angelo Mangiarotti e diventa interprete della sua genialità costruttiva. Che nel celebre giunto a incastro della serie Eros trova la sua più emblematica espressione tecnico-formale

Uno dei più grandi maestri dell’architettura e del design italiani: Angelo Mangiarotti è stato senz’altro questo, nonostante il suo nome non compaia in maniera automatica nel novero dei protagonisti della sua generazione. Non a caso François Burkhardt nella sua monografia lo definisce un “combattente solitario” e comincia proprio dall’analisi delle cause che ne hanno determinato la marginalizzazione da parte della critica. Motivazioni che diventano paradossalmente le ragioni per cui oggi, al contrario, viene riletto come figura centrale del nostro tempo.

Innanzitutto, fondamentale è la sua non appartenenza a una cordata stilistica e l’apertura mentale derivata dalle esperienze internazionali. Mangiarotti, infatti, dopo una prima formazione tra Politecnico di Milano e Accademia di Brera, sceglie la via partigiana e si rifugia in Svizzera, dove incontra Ernesto Nathan Rogers. Sarà quest’ultimo a presentarlo a Max Bill, che lo introduce a sua volta come visiting professor all’IIT di Chicago dove, tra il 1953 e il ’55, conosce da vicino il lavoro di Mies van der Rohe e tutti i membri del New Bauhaus.

Chicago è per Mangiarotti il crocevia d’influenze determinanti: ovviamente quella organicista della scuola di Sullivan e di Wright; ma anche quella ‘ingegneristica’ di Wachsmann, pioniere dello studio sulle architetture prefabbricate. Organicismo e prefabbricazione sono due delle polarità entro le quali il progettista si muoverà tutta la vita. La sua sfida, infatti, sarà quella di unire il funzionalismo organico con quello razionale delle logiche industriali.

Chicago è per Mangiarotti il crocevia d’influenze determinanti: ovviamente quella organicista della scuola di Sullivan e di Wright; ma anche quella ‘ingegneristica’ di Wachsmann, pioniere dello studio sulle architetture prefabbricate."

E sarà in Giappone che Mangiarotti scoprirà l’elemento mancante per ottenere la perfetta sintesi di forma, funzione, modularità e unione delle parti: il giunto. Nell’architettura tanto quanto nella carpenteria giapponese il giunto ha un ruolo protagonista, non viene occultato, ma anzi reso centrale, risolto sia funzionalmente che esteticamente. Giuntare, quindi, è un’arte che Mangiarotti pone al centro della sua ricerca, che si apre ad ampio spettro: a volte una soluzione trovata in una scultura confluisce in un’architettura e poi da qui migrerà in un elemento di arredo.

La specializzazione che vincola tanti suoi contemporanei alla singola area disciplinare e a una sola scala spaziale (Nervi e Morandi, per esempio, non progetteranno mai oggetti o arredi) è per Mangiarotti un patrimonio da sfruttare in più ambiti possibili. Così il perno sul quale fare leva è quello di un sistema che funziona al punto da poter essere declinato in famiglie, ovvero in serie che hanno una matrice comune; oppure in variazioni di dimensione scalare sullo stesso tema.

Questo è esattamente ciò che oggi ritroviamo in tutti gli arredi disegnati dal progettista e oggi realizzati da Agapecasa, brand che conserva un’eccellenza delle tecniche costruttive, in grado di gestire finiture artigianali complesse su pezzi seriali. Risale al 2010 la presentazione di The Mangiarotti Collection, costituita da 13 progetti realizzati secondo i disegni elaborati dal maestro e basandosi sul rilievo e lo studio dei modelli originariamente prodotti.

Si farebbe un torto analizzare il lavoro di questo grande autore ragionando per tipologie d’uso o per settori disciplinari. Al contrario, risulta spontaneo assumere uno sguardo trasversale dove a fare da filo conduttore sono le soluzioni trovate per risolvere una questione costruttiva. È infatti immediato individuare il giunto a incastro  – simbolo identificativo della sua ricerca – sia nelle strutture in cemento per le coperture (vedi il sistema Facep) sia nei mobili in legno (Cavalletto, componibili Junior e Senior, Cub8) o nel sistema di ganci in vetro (V+V). Inoltre, il giunto a incastro si arricchisce di un ulteriore elemento: la gravità.

La forza gravitazionale, che nella statica costruttiva è di solito vista come principio sfidante col quale fare i conti, nella visione mangiarottiana viene virata a vantaggio totale della struttura. In tal senso il suo capolavoro di sintesi formale-estetica è la serie Eros e le sue successive derivazioni, Incas ed Eccentrico. In questa famiglia di tavoli il piano col suo peso orizzontale si appoggia sull’elemento verticale e il loro incontro genera la coesione e la tenuta statica complessiva, per sola tangenza e gravità.

Il tutto grazie all’incastro perfetto di un giunto maschio-femmina (di qui il nome Eros), dove un elemento completa l’altro. Esso è reso possibile solo da una profonda conoscenza delle caratteristiche meccaniche del marmo e della sua tornitura. Logica conseguenza che ne deriva è la declinabilità in basi e piani di differenti misure e forme. E, al variare del materiale, cambia anche la forma, pur rimanendo identico il principio statico: nei tavoli Incas (da incastro), infatti, la pietra serena viene tagliata in linee ortogonali che rispondono alla stessa logica, ma che sono più adatte alla lavorazione di questo materiale, rispetto alla tornitura in forme curve usata col marmo.

Andare nella direzione della natura delle cose è un aspetto fondamentale nel lavoro di Mangiarotti. Remare a favore della fisica della materia è una delle lezioni più preziose lasciateci dal maestro. Una lezione raccolta da Agapecasa nel produrre oggi i suoi capolavori in accordo con le mutate logiche di mercato – con adeguamento dei materiali e delle finiture – grazie alla riedizione filologica realizzata da Agape in stretta collaborazione con la Fondazione Mangiarotti e ingegnerizzata dallo studio Benedini Associati.

La forza gravitazionale, che nella statica costruttiva è di solito vista come principio sfidante col quale fare i conti, nella visione mangiarottiana viene virata a vantaggio totale della struttura."

Dietro la perfezione del prodotto c’è un immenso lavoro di ingegnerizzazione, fatto di concerto tra tecnici, macchinari avanzati e mani artigiane. Ogni desiderio di variazione del materiale ha dovuto, infatti, non solo rientrare nel rispetto del disegno originario, ma subire quella trasformazione della materia che nasconde, dietro la semplicità di quel giunto geniale, la complessità dell’allineamento di pesi e forme che lo rendono funzionale.

Questo vuol dire non solo fare, ma anche comprendere e assimilare la visione integrale dell’autore sulle connessioni tra le cose. E tutto ciò ci riporta a un modo di pensare l’estetica delle cose, che nasce da un più ampio sguardo etico del fare, dove congiungere – materie, uomini, pensieri – resta un vanto da mostrare con orgoglio.