Un esclusivo incontro con l’architetto Liu Yichun diventa l’occasione per fare il punto sui recenti progetti di Atelier Deshaus, che stanno segnando una svolta per l’architettura e l’identità della Shanghai contemporanea. Nel segno di una tutela sistematica delle sue tracce storiche

Da circa un decennio, sulla scia dell’Expo del 2010, Shanghai ha avviato una fase di poderosa trasformazione del territorio urbano che prevede la rigenerazione di numerose aree industriali abbandonate. Alcuni cantieri sorgono vicini al centro e ne aggiornano lo skyline di continuo. Altri lambiscono le rive del fiume che attraversa la città per alcune decine di chilometri e andranno a riempire gli spazi vuoti disegnati dalla nuova rete stradale già pronta per accoglierli.

Grandi affissioni portano in trionfo le fotografie (virtuali) di quello che vedremo tra qualche anno. Per ora non c’è molto traffico. Si muovono solo bracci meccanici, gru ed escavatori oltre le recinzioni che nascondono i cantieri, ma non fermano il rumore di sottofondo continuo e assordante, a tutte le ore. Può capitare di attraversare lunghissimi tratti urbani in costruzione per raggiungere i nuovi spazi per l’arte contemporanea che, da alcuni anni, aprono anch’essi numerosi.


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Fondato a Shanghai nel 2001 e attivo in Cina, l'Atelier Deshaus è costituito dai partner Liu Yichun e Chen Yifen, laureati entrambi alla Facoltà di Architettura dell'Università di Tongji. I progettisti hanno realizzato soprattutto edifici pubblici e abitazioni, con i quali si sono distinti nel panorama internazionale e hanno ricevuto numerosi riconoscimenti (Business Weeks/Architectural Record China Awards, WA Chinese Architecture Awards e Far East Architecture Awards). La conoscenza del luogo e il suo sedimentarsi nella memoria è un elemento chiave del loro processo progettuale. Nei progetti dello studio, molti dei quali realizzati a Shangai, il passato e la storia dell’architettura cinese si legano infatti al presente, nella ricerca della migliore comprensione del linguaggio della contemporaneità.

Molti occupano vecchie strutture industriali, ideali per questa nuova destinazione d’uso. Silo Hall of Minsheng Wharf è uno dei più straordinari: un imponente edificio in cemento composto da trenta silos di otto piani, un tempo il più grande in Asia. Di recente è stato trasformato dallo studio di architettura Atelier Deshaus in uno spazio espositivo molto suggestivo e al momento viene utilizzato per mostre ed eventi temporanei (informazione indispensabile se si cerca di visitarlo). Nel maggio scorso è stato la location della sfilata primavera-estate 2020 di Prada, con uno spettacolare allestimento di luci di OMA/AMO.

Dall’esterno la riconversione dei silos si riconosce oggi per un solo grande elemento, il volume vetrato a sbalzo della scala che attraversa in diagonale tutta la facciata e si inerpica fino agli spazi espositivi superiori. Liu Yichun, socio fondatore dello studio, spiega questa scelta in termini di esperienza per il visitatore che, dalla sommità, può ammirare una splendida vista del fiume e della città. La linea spezzata del volume trasparente è un segno importante poiché la sistemazione complessiva del sito, ancora circondato da polverosi cantieri, è in fase di realizzazione. Nondimeno, il senso di incompiutezza del complesso rende il luogo affascinante e le vestigia dei silos originali restituiscono una sensazione di autenticità difficile da trovare in altre parti nuove della città.

Silo Hall non è il primo intervento di questo genere. Molti altri sono stati realizzati nelle vicinanze del fiume Huangpu. Il più noto è il Long Museum dello stesso Atelier Deshaus (ne abbiamo parlato sulle pagine di Interni 619 del 2016), preceduto per alcuni aspetti dal restauro dell’ex Mattatoio, un edificio in cemento intricato e possente, oggi noto come “1933” e descritto sulle guide come singolare esempio di brutalismo art déco. Sono progetti che hanno segnato una svolta per l’architettura della città.

All’inizio timidamente, ora in modo sistematico, la tutela delle tracce delle epoche passate sopravvissute alle varie distruzioni contribuisce in modo significativo alla costruzione (e ricostruzione) dell’identità della Shanghai contemporanea; dunque, non solo le celebri architetture eclettiche del Bund e delle Concessioni straniere, ma anche ciò che rimane dei vecchi quartieri, come le stradine di Tianzifang, meta dello shopping alternativo ben nota ai visitatori stranieri.

Questa tendenza è ancora più evidente nel lungofiume dove un’estesa rete di parchi lineari, spazi pubblici e percorsi ciclo-pedonali collega satelliti e piccole galassie di musei e spazi dedicati all’arte, quasi tutti ex edifici industriali, veri e propri avamposti del rinnovamento urbano.

L’architetto Liu Yichun mi accoglie nella sede dello studio che si trova proprio nei pressi di uno di questi poli espositivi. Inizia a raccontare i progetti recenti e mi spiega che la sensibilità per la storia dei luoghi e per le loro rovine è una scelta consapevole dello studio, ma che non può mai prescindere dal soddisfare le esigenze e i vincoli del programma.

La sensibilità per la storia dei luoghi e per le loro rovine è una scelta consapevole dello studio, ma che non può mai prescindere dal soddisfare le esigenze e i vincoli del programma. "

Ogni progetto di recupero nasce da un’idea architettonica che individua una strategia di riutilizzo delle strutture esistenti come elementi integrati e funzionali alla costruzione del nuovo edificio, un modus operandi efficace per spiegare ai committenti i vantaggi del progetto e aprire il dialogo con l’amministrazione pubblica che, dopo il successo del Long Museum, è diventato più facile.

Nel più recente Shanghai Modern Art Museum, per esempio, i 9000 metri quadrati di spazio espositivo richiesti sono stati ricavati da una struttura che ne copriva solo un terzo. Con questo obiettivo ben chiaro, lo scheletro in cemento del vecchio deposito di carbone è diventato l’impalcatura che sostiene le nuove travi in acciaio del tetto, alle quali sono a loro volta stati appesi i solai con una sottile struttura a vista in longheroni metallici che ricorda in alcuni dettagli l’architettura delle navi e degli edifici portuali.

Gli spazi espositivi sono quindi stati organizzati negli interstizi tra i due sistemi e spesso le strutture più vecchie appaiono a sorpresa nel nuovo come frammenti di un ritrovamento archeologico emerso durante la ricostruzione. Il visitatore si trova a distanza insolitamente ravvicinata dagli scivoli del carbone, che ora sono un soffitto o un dettaglio delle pareti.

Dall’esterno la struttura preesistente è seminascosta dallo sviluppo orizzontale molto pronunciato dei nuovi solai, frammezzati solo dalle scale che s’intravedono tra i parapetti. Il medesimo principio è stato adottato per le strutture di servizio, una striscia di caffè e negozi che formano una sequenza di volumi, anche in questo caso appesi al traliccio preesistente in cemento armato. Il complesso si affaccia sul fiume e al tramonto, quando la luce del sole si riflette sulle vetrate del museo in chiusura, la vita notturna continua all’esterno nelle aree pedonali, dove le barche attraccate alla banchina evocano l’atmosfera marina di una località turistica.

I progetti di Atelier Deshaus si intrecciano in modo profondo con l’identità culturale che hanno contribuito a delineare e la sede stessa dello studio è sorta nel flusso delle trasformazioni urbane e della sperimentazione. Attualmente si trova in un complesso di piccole costruzioni adiacenti al West Bund Artistic Center, un vasto sistema di spazi espositivi per l’arte e loft sviluppati a grappolo intorno all’hangar di una precedente fabbrica di aerei. Si tratta di un villaggio creativo, una comunità di studi di architettura, moda, fotografia e arte, autofinanziati e autocostruiti dai residenti su un terreno ottenuto in concessione per cinque anni dall’amministrazione.

La sensibilità per i rapporti percettivi e di scala è un tema caro all’atelier; le radici di questo interesse risalgono agli studi per un asilo, uno dei primi edifici importanti dello studio. "

Gli edifici sono stati fabbricati con attenzione ai costi di realizzazione, ma proprio per questo godono di maggiore libertà dai consueti vincoli speculativi. Al momento, la scadenza è vicina e l’intero complesso potrebbe essere demolito per lasciare spazio a un albergo. Mentre l’architetto Yichun ne parla, sento già un po’ di nostalgia per la perdita irrimediabile di un luogo dall’anima culturale giovane e forte, in cui abita il genius loci; la singolarità dell’area non sfugge ai numerosi fotografi amatoriali e professionisti che si aggirano per le stradine.

Al tempo stesso si percepiscono nelle parole e nello sguardo sereno di Yichun la fiducia e il desiderio di affrontare questa nuova sfida come occasione di crescita dello studio, che oggi avrebbe bisognoso di una sede più grande. Si intuisce che un nuovo progetto potrebbe ancora riguardare tutta la comunità, un nuovo esperimento, chissà.

Mentre Zheng Yi, collaboratrice dello studio, mi accompagna a visitare le aree esterne, mi spiega che alcune pavimentazioni e alcuni muri del quartiere appartengono al precedente complesso aeroportuale che lì si trovava e che ora sopravvive nel grande spazio espositivo dell’hangar principale. Il rapporto dimensionale ricorda lo schema della grande cattedrale e del villaggio tutt’attorno. Dallo studio ci spostiamo in un vicino atelier di moda con annessa Tea House, sempre su progetto di Atelier Deshaus. Oltre l’ingresso uno spazio a doppia altezza si apre con una vetrata verso un giardino interno cintato, ombreggiato da un grande albero già presente sul luogo.

La Tea House è una micro architettura progettata in ogni dettaglio, che integra pochi arredi fissi in una composizione calibrata sulla percezione dello spazio interno e del giardino che dal suo interno appare più grande. Il tutto è inserito nel frame di una struttura in tubolare quadrato verniciato di nero, con inserti in legno naturale, vetro trasparente nella parte bassa delle pareti e vetro stampato in alto per diffondere la luce e contenere lo sguardo.

L’effetto è intimo e molto luminoso al tempo stesso. La sensibilità per i rapporti percettivi e di scala è un tema caro all’atelier, già esplorato nella rampa a gradoni del Long Museum che riporta lo spazio delle maestose sale espositive a una dimensione più vicina alla persona; le radici di questo interesse risalgono agli studi per un asilo, uno dei primi edifici importanti dello studio.

Sul finire dell’incontro l’architetto Yichun mi mostra come anche nei progetti in corso il rapporto persona-spazio ritornerà in nuove declinazioni sia alla scala del paesaggio che negli interni domestici. Si tratta di lavori molto diversi tra loro per linguaggio e funzioni, dove affiora la riscoperta dell’antica concezione cinese della costruzione dello spazio: l’argomento è molto stimolante e ci auguriamo di poterlo trattare, e presentare ai lettori, nei nuovi progetti di imminente realizzazione.