Di Danilo Signorello

Il distretto della ceramica sanitaria di Civita Castellana, nel Viterbese, affonda le radici in una storia antichissima che ha lasciato tracce nei reperti di arte vascolare rinvenuti nella zona di Falerii Veteres (nome latino della cittadina laziale) risalenti al IV secolo a.C. Più di duemila anni fa, questa era già terra dove si lavorava la ceramica, anche se le prime fabbriche per la lavorazione di stoviglierie e pezzi artistici risalgono alla fine del 700, mentre agli inizi del 900 nascono le prime industrie di stoviglie, piastrelle e sanitari.

In questa realtà affonda le sue radici Ceramica Flaminia, azienda specializzata in idrosanitari in ceramica nata nel 1954, che ancor oggi conserva l’intera filiera produttiva (prototipazione, modellazione, colaggio, smaltatura e cottura in forno) completamente al suo interno, negli stabilimenti di Civita Castellana e di Fabrica di Roma. Processi produttivi che integrano la meccanizzazione più evoluta con interventi ancora manuali e artigianali. Tutto all’insegna del più rigoroso made in Italy.

Un’azienda che ha puntato sul design per esplorare le valenze espressive della ceramica, determinare nuove tendenze e inventare nuovi linguaggi. Sul finire degli anni 90 il lavabo “Acquagrande”, disegnato da Giulio Cappellini (che nel 2004 ha assunto la direzione artistica in azienda), rappresentò una vera rivoluzione, diventando protagonista dello spazio bagno grazie alla forte presenza scenica e alle importanti dimensioni architettoniche.

Da allora, i prodotti caratterizzati da un design immediatamente riconoscibile si sono moltiplicati e alcuni progetti sono diventati vere e proprie icone: da “Tatami” (Ludovica+ Roberto Palomba) sottilissimo tappeto di ceramica a filo pavimento che attinge alla cultura orientale dell’abitare, a “Link” (Giulio Cappellini e Roberto Palomba) wc e bidet versatili da accostare liberamente ai tanti modelli del catalogo Flaminia, da “Twin Column” (Ludovica+ Roberto Palomba) il lavabo inteso come scultura, alle sperimentazioni materiche della linea “Mono ” (Patrick Norguet), dalla creatività eclettica e geniale del lavabo “Roll” (Nendo) ai pezzi unici della collezione “Como” (Rodolfo Dordoni) ispirati ai bacini naturali d’acqua.

Come numerosi sono diventati i designer di fama internazionale entrati a far parte del team Flaminia: Paola Navone, Jasper Morrison, King&Roselli, Angeletti e Ruzza, Alessandro Mendini, Nendo, Fabio Novembre, i cui pezzi sono esposti nello showroom di via Solferino 18 a Milano, inaugurato nel 2005. Il design come sperimentazione, innovazione, emozione è andato in scena anche durante l’ultimo Salone del Mobile a Milano con nuovi progetti, tra inediti e ampliamenti di gamma, come il vaso e il bidet sospesi “Bonola” di Jasper Morrison, i lavabi d’appoggio e incasso “Nile” di Patrick Norguet, il vaso e il bidet “App” di Flaminia Design Team, e “Rocchetto Colors”, lo sgabello-tavolino in ceramica disegnato da Alessandro Mendini con cui Flaminia è entrata nell’interior design.

Augusto Ciarrocchi, oggi presidente di Flaminia, rappresenta la seconda generazione alla guida dell’azienda (è figlio di uno dei soci fondatori): con lui abbiamo chiacchierato sulle origini, sul presente e sul futuro di un brand che ha in catalogo anche rubinetteria, oggetti e complementi per un progetto bagno sempre più a 360 gradi.

Ci racconta, innanzitutto, come nasce Ceramica Flaminia?
L’azienda nacque nel 1954, durante un periodo di scioperi di rivendicazione salariale, quando 23 giovani operai di Civita Castellana decisero di dare vita a Ceramica Flaminia, che nel gennaio dell’anno successivo iniziò a produrre sanitari. La lavorazione avveniva con sistemi artigianali, tutte le fasi produttive erano svolte manualmente e la cottura veniva eseguita in una fornace a legna. Ora siamo alle seconde e terze generazioni, e l’azienda conta circa 150 dipendenti distribuiti tra gli stabilimenti di Civita e di Fabrica di Roma dotati dei più moderni impianti industriali.

Qual è oggi la situazione nel distretto ceramico di Civita Castellana. Le aziende tra loro fanno sistema? Quali le prospettive per il futuro?
Le circa 40 aziende che costituiscono il distretto risentono della crisi iniziata ormai nel 2008. Ma la crisi ha aiutato a fare sistema (esistono accordi comuni per lo smaltimento degli scarti di lavorazione, per l’organizzazione di corsi di formazione). La capacità di resistere alla crisi ha forgiato aziende coriacee e non ci sono state chiusure drammatiche di stabilimenti, anche grazie alle dimensioni medio piccole delle imprese. Da questo punto di vista, guardando al futuro non si può essere che ottimisti.

I valori di Flaminia sono qualità della materia prima, produzione interamente italiana, cura delle finiture e collaborazione con idesigner. Innanzitutto la materia prima: da dove arriva, come viene selezionata, quali caratteristiche deve avere e a quali risultati deve portare?
Argille, caolini, feldspati e quarzi li importiamo da Francia, Germania, Spagna e Regno Unito che garantiscono una qualità che in Italia non c’è. Flaminia, in particolare, acquista impasti pronti lavorati da aziende del territorio. Per quanto riguarda gli smalti, abbiamo una divisione colore dedicata che, come tutta l’azienda del resto, lavora nel pieno rispetto dell’ambiente essendo certificata ISO 14001. Il risultato finale deve essere un prodotto di qualità che garantisca perfezione delle superfici, resistenza e durata nel tempo.

Cosa significa oggi per Flaminia made in Italy, vale a dire puntare sul saper fare italiano?
La qualità italiana è unica, ai massimi livelli. Noi siamo produttori di nicchia che hanno fatto una scelta coraggiosa: puntare sulla qualità di un prodotto ottenuta “spingendo” sulle forme estreme attraverso il design. Purtroppo, a livello governativo, non esiste ancora un’etichetta che tuteli il sanitario ceramico made in Italy e anche la normativa europea latita. La nostra adesione al marchio Ceramics of Italy ha voluto colmare questa lacuna tutelando il nostro prodotto da migliaia di pezzi venduti e spacciati per italiani, ma privi di quelle caratteristiche che ne fanno veramente un prodotto made in Italy: design, qualità, stile, garanzia e serietà.

Come si conciliano abilità manuali artigianali e processi industriali tecnologicamente all’avanguardia?
L’abilità manuale artigiana è un valore aggiunto. Diverse fasi della lavorazione di ogni pezzo (che va dalla barbottina iniziale colata nello stampo al sanitario ultimato e dura circa sei giorni) richiedono l’intervento della mano dell’uomo oltre che della macchina. E qui, nel territorio di Civita Castellana, la ceramica è nel sangue, nel Dna di chi ci vive e lavora.

La scelta del design per Flaminia è stata determinante. Quale ruolo strategico gioca il design per lo sviluppo di un’azienda?
Puntare sul design alla metà degli anni 90 è stata la scelta che ci ha salvato. Senza quella scelta oggi probabilmente non saremmo sopravvissuti alla crisi. Fu, allora, una scelta forzata, per certi versi “scriteriata”, ma che ci ha aperto una strada, ci ha permesso di trovare un’alternativa. Oggi sarebbe difficile commercializzare un prodotto tradizionale che fanno tutti senza conferirgli il valore aggiunto rappresentato dal design. Il design consente di dare vita a oggetti in grado di rispondere a desideri e necessità di un pubblico sempre in cambiamento per il naturale evolversi della società, delle abitudini, dell’economia.

Per Flaminia il design è apertura alla sperimentazione: insieme con Giulio Cappellini, art director dal 2004, l’azienda si affida a designer di fama internazionale che non si sono mai cimentati con la ceramica e a giovani talenti e nomi non affermati. Perché queste scelte?
Dopo una fase di entusiasmo, un po’ pioneristica nell’approccio al design con il primo pezzo prodotto nel 1997 (“Acquagrande”, disegnato da Cappellini), è subentrato il metodo: insieme a Giulio si valuta quale sia il prodotto giusto da lanciare sul mercato in quel momento, quali caratteristiche debba avere. Su queste basi si individuano i designer. Spesso si verifica anche il processo inverso: giovani progettisti ci presentano le loro proposte che vengono valutate ed eventualmente messe in produzione. Anche questa è sperimentazione e apertura alle novità. La stessa scelta di Cappellini come art director fu una provocazione, una sfida da vincere e poi vinta alla grande.

In questa visione design oriented, quale significato assume una linea classica come Flaminia Archivio?
Flaminia Archivio è un contenitore che raccoglie le tipologie storiche fondamentali nell’evoluzione aziendale e che rappresentano una parte importante della produzione. Al momento ne fanno parte le collezioni Efi e Fidia. Sono diversi i mercati che richiedono questa linea, dalla Cina alla Russia. In Italia, in particolare, è richiesta nelle ristrutturazioni di stabili d’epoca.

La sostenibilità è uno dei punti fermi che determina la qualità di un’azienda e dei suoi prodotti sul mercato. Flaminia in questo senso come si muove?
Lo stabilimento principale sorge in un’area di rilevante interesse naturalistico, lungo il fiume Treia. Quindi il nostro impatto ambientale è stato ridotto al minimo. Le acque di scarico vengono riciclate, depurate e rimesse in circolo; per quanto riguarda gli scarti di lavorazione, il prodotto non cotto viene riutilizzato, quello cotto viene rimacinato e riutilizzato; i fanghi di risulta vengono conferiti a produttori ceramici di minor pregio e riutilizzati; gli stampi in gesso vengono frantumati e ceduti ai cementifici della zona.

Può anticiparci progetti e prodotti in rampa di lancio?
A Cersaie, a settembre, abbiamo presentato l’ampliamento della collezione Nile di Patrick Norguet e Bonola di Jasper Morrison. App, collezione che nasce appositamente per il contract, si è arricchita del vaso sospeso con scarico rimless, cioè a bordo aperto, per una maggior igiene.

Ricerca e sperimentazione proseguono all’insegna di un design internazionale valorizzato dal radicamento nel territorio, tradizionalmente storico per la ceramica sanitaria, vero e proprio valore aggiunto di ogni prodotto Flaminia.

Sei domande a Giulio Cappellini
(art director di Flaminia)

Quando e come inizia la collaborazione con Flaminia?
È stato tutto casuale. Nel 1997 mi venne chiesto di realizzare un lavabo in ceramica per una mostra organizzata dalla Regione Lazio nell’ambito di Abitare il Tempo, fiera veronese dedicata all’arredo, al design, al progetto. Io pensai a un prototipo, progettandolo come tale, come un pezzo unico che non sarebbe mai entrato in produzione e realizzai “Acquagrande” per Flaminia, azienda alla quale ero stato “associato” in occasione di quella mostra. In quella circostanza è nata la prima collaborazione con l’azienda di Civita Castellana, di cui sono diventato poi art director.

Acquagrande ruppe gli schemi: il lavabo diventava oggetto di forte presenza scenica grazie alle dimensioni.
Esattamente. Come ho già detto, l’idea era che “Acquagrande” rimanesse un pezzo unico. Per cui esagerai nelle dimensioni (un metro di lunghezza per 56 cm di profondità), rivoluzionando il modello di lavabo tradizionale. Pensi che inizialmente, quando la rete commerciale dell’azienda lo vide, qualcuno disse, e non fu un complimento, che assomigliava a un abbeveratoio per gli animali. Non scostandosi poi molto dall’idea di fondo, che era quella di realizzare una sorta di lavatoio. Flaminia mi ha poi seguito nel progetto e il prodotto è stato realizzato su larga scala, in diverse misure. Ed è stato un successo. Grande merito va alla bravura degli artigiani presenti in azienda che hanno saputo realizzare un oggetto fortemente iconico e scultureo, non semplice da trattare nelle varie fasi di lavorazione.

Nella direzione artistica di Flaminia, quali sono le linee guida nella scelta dei designer e nello sviluppo di un progetto?
A me piace lavorare su progetti corali, chiamando personaggi diversi per storia, cultura, tradizione a misurarsi per la prima volta con la ceramica: da Rodolfo Dordoni a Jasper Morrison, da Fabio Novembre a Patrick Norguet, ma anche designer meno noti e famosi. Con ognuno lavoro sulle forme, sulle texture, sui colori. Ma insieme dobbiamo anche fare i conti con caratteristiche tecniche e prestazionali che il sanitario in ceramica deve rispettare: e questo non è un limite ma uno stimolo, spesso diventa motivo di sfida.

Qual è il suo approccio a un materiale come la ceramica?
Non ho preclusioni per nessun materiale. Detto questo, preferisco lavorare con i materiali naturali e la ceramica mi interessa per le forme espressive che consente di ottenere. Inoltre, il lavoro di ricerca condotto insieme al team Flaminia ci ha permesso di lavorare sulle finiture e di raggiungere buoni risultati nella risoluzione dei problemi legati  all’opacizzazione dovuta ad acqua e calcare. L’azienda è all’avanguradia in innovazione e ricerca, e l’elevata tecnologia si coniuga con una abilità artigianale che spesso mi ricorda quella delle botteghe rinascimentali. Per fare un esempio, quando realizzammo Monowash e Miniwash gli spessori sottili richiesero l’ausilio della moderna tecnologia industriale, ma anche un lavoro manuale di precisione nel ridurre gli spessori.

Quali progetti in cantiere per il futuro?
I progetti sono sempre tanti. L’importante è che dietro ognuno ci sia un’idea, un contenuto. In ogni caso, al momento con Flaminia ci stiamo muovendo in due direzioni. Da un lato, concentrarci sulla giusta scala del prodotto: è una scelta importante, permette di lavorare meglio sul dettaglio e risponde alle esigenze di abitazioni che, soprattutto nei grandi centri abitati, hanno ambienti più ridotti, compreso il bagno. Dall’altro lato, affrontare nuove sfide su materiali e innovazione tecnologica.

Un’ultima domanda, cosa fa di un prodotto un buon prodotto?
Un buon prodotto deve rispondere a esigenze specifiche. Deve essere funzionale e bello. Questo vale soprattutto nel caso del bagno che da stanza di servizio è diventato luogo del benessere. Oggi i sanitari in ceramica devono far sognare e allo stesso tempo garantire elevati livelli prestazionali. Questo si raggiunge solo investendo in innovazione e ricerca, difendendo tutto quel patrimonio ricco di creativita e qualità rappresentato dal made in Italy.

 

Danilo Signorello

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Schizzi preparatori del progetto Nile di Patrick Norguet.
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Una foto storica che ritrae alcuni dei soci fondatori di Ceramica Flaminia, nata nel 1954 a Civita Castellana.
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Nile è il nuovo progetto di Patrick Norguet in cui le forme geometriche sono addolcite da dettagli morbidi in grado di interpretare la plasticità della ceramica.
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L’impatto fortemente architettonico contraddistingue il lavabo Acquagrande, disegnato da Giulio Cappellini nel 1997.
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Un altro pezzo icona disegnato da Giulio Cappellini e Roberto Palomba: Link caratterizzato da un design puro e neutrale.
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Una foto panoramica dello stabilimento di Civita Castellana con i prodotti durante le varie fasi di lavorazione.
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Una fase del lavoro di finitura a mano: un equilibrato mix di moderna tecnologia industriale e manualità artigianale tradizionale.
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Il forno per la cottura.
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Monoroll (design Nendo) ricorda un foglio di carta arrotolato su stesso. Una creatività eclettica e geniale al servizio della funzionalità.
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Forme piene, spessori importanti e linee arrotondate per Mono’, collezione disegnata da Patrick Norguet.
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App (Flaminia Design Team) è una collezione versatile, formata da vaso e bidet dal tratto tondeggiante, che risponde a diverse esigenze: da quelle residenziali al contract.
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La collezione Bonola è costituita da una serie di lavabi, sia a colonna sia da appoggio, che raccontano la purezza e la precisione stilistica del segno di Jasper Morrison.
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Rocchetto è lo sgabello-tavolino in ceramica disegnato da Alessandro Mendini con cui Flaminia è entrata nell’interior design. È disponibile in tre diversi decori, nella versione nero e champagne e nelle nuove monocromie in rosso, verde, arancio, blu e giallo.