Fondata nel 2015 a Filadelfia, Biorealize è un’azienda di progettazione biologica che produce strumenti di biofabbricazione, tecnologie hardware e software e prodotti da microorganismi come lieviti, alghe o batteri per realizzare probiotici, nuovi materiali o biosensori. L’azienda ha recentemente collaborato con Puma e il MIT Design Lab al progetto Puma Biodesign, che esplora le possibili applicazioni della fabbricazione biologica nella vita quotidiana attraverso i prodotti sportivi.
Ne sono nati una maglia da calcio ricavata dalla seta di ragno, una scatola da scarpe cresciuta dal micelio e suole di nuova generazione (Deep Learning Insoles) in grado di migliorare le prestazioni dell’atleta attraverso feedback in tempo reale. I microorganismi contenuti fungono da biosensori che reagiscono a determinate molecole chimiche capaci di indicare lo stato di affaticamento o benessere dell’utilizzatore. Interessante notare quanto utente, ambiente e tecnologie siano in uno stato di simbiosi, in cui il prodotto non è una sommatoria di componenti ma un sistema vivente.
Oltre ai nonwoven di sintesi compaiono nuovi filati che possono ridisegnare non solo la produzione tessile ma anche la conformazione di prodotti che impiegano il tessile, come le scarpe sportive. Già sono note le Adidas che impiegano una suola dalla struttura a rete, realizzata in stampa 3D con plastica riciclata da rifiuti marini. Ma l’inglese Jen Keane, master in Material Futures al Central Saint Martins di Londra, ha sviluppato una tomaia in un unico pezzo e senza cuciture, manipolando il processo di crescita dei k. rhaeticus bacteria.
È una sorta di tessitura microbica che utilizza un telaio su cui sono messi in posizione dei fili, a loro volta tenuti insieme dalla nanocellulosa sviluppata dai batteri, otto volte più forte dell’acciaio e più rigida del Kevlar. La tomaia è estremamente leggera e impiega il filo solo dove è necessario, riducendone la quantità utilizzata ed eliminando virtualmente gli sprechi. Il processo è in attesa di brevetto.
I biomateriali possono evolvere la produzione sostenibile e l’economia circolare per il limitato impatto ambientale in termini di risorse impiegate e una produzione a ciclo chiuso, in cui gli scarti ritornano nell’ecosistema senza generare inquinamento (potenzialmente). Con dei filati derivanti dall’alga kelp, la newyorkese Algiknit ha creato un prodotto iper compostabile e biodegradabile. Le macroalghe kelp sono coltivate nelle fredde acque costiere dell’emisfero settentrionale e sono uno degli organismi di più rapida crescita al mondo, nonché capaci di catturare efficientemente la Co2 filtrando l’acqua circostante.
I filati bioderivati sono destinati al settore della moda con gli utilizzi più diversi e hanno recentemente conquistato un finanziamento di 2,2 milioni di dollari da Horizons Ventures per l’implementazione di prodotto. Sono composti stabili che degradano solo se esposti ad ambienti umidi e ricchi di funghi per un periodo prolungato di tempo.