Di Stefano Caggiano

Compito del design, e più in generale della cultura del progetto, è provvedere uno spartito oggettuale che tenga insieme le istanze contraddittorie, ma ugualmente esigenti, della tecnica e della poesia, evitando di appiattire l’una sull’altra e facendo anzi in modo che si ‘destabilizzino’ a vicenda, contribuendo con il senso che le forme comunicano alla comprensione della cultura di riferimento.

Un’interessante proposta di linguaggio viene da questo punto di vista avanzata da una serie di progetti, tra cui le lampade-scultura in legno di John Procario e Anisha disegnata dal trio Lievore Altherr Molina per Foscarini, nei cui corpi è rinvenibile la metafora concreta di una condizione di vita, quella contemporanea, in cui la dislocazione tra dentro e fuori ha perso la sua abituale nettezza per ibridarsi in un flusso ininterrotto di configurazioni trans-topologiche. Lampade come queste, e come anche Solium di Karim Rashid per Artemide e Foop del giapponese Kenji Fukushima, sembrano essere ottenute per variazioni locali di una pura ‘esteriorità’ senza interiorità, flussioni scultoree di una pelle fibrosa che coinvolge lo spazio circostante in rapporti di mescolanza del tutto peculiari.

In questa direzione anche le lampade Kino di Emmanuel Gardin (Studio Krizalid) e Gamete.MGX di Xavier Lust per MGX Materialise, ma anche una seduta in legno come Pipo disegnata da Alejandro Estrada per Piegatto, sembrano il frutto di un design sorto su un altro pianeta, i complementi d’arredo di un mondo altro rispetto al nostro, sul quale non vige come da noi la distinzione tra dentro e fuori, polpa e pelle, e su cui nemmeno vegetale e artificiale hanno seguito vie disgiunte, incanalandosi invece in un percorso evolutivo unico che si manifesta oggi nei corpi fungosi di oggetti come, oltre a quelli menzionati, la seduta Enigmum III dell’irlandese Joseph Walsh e la lampada a sospensione Alya disegnata da Gabriele Rosa per Nemo Cassina.

Già Goethe, nelle Metamorfosi della piante, sottolineava come la forma di una pianta possa essere ricavata dalle trasformazioni del seme seguendo una linea ‘metamorfica’ diversa da quella tassonomica, accettando il principio generatore della natura che è quello di fare e disfare forme di continuo. Si tratta di una concezione diametralmente opposta a quella seguita dal mondo moderno, e che rimanda in tempi più recenti al film Avatar di James Cameron in cui viene presentato un mondo popolato da alieni ominidi, piante luminose, rocce volanti e oggetti che crescono come vegetazione, tutti collegati a una grande rete sinaptica coincidente con l’ecosistema dell’intero pianeta.

Progetti come quelli citati, con l’interessante anticipazione anni fa della lampada Inner Light di Yves Behar, evocano un tratto caratteristico del nostro tempo, fatto di connessioni digitali che per quanto ‘interne’ alla dimensione privata ci mantengono sempre ‘fuori’, proiettati verso l’esterno, facendo di ognuno di noi il nodo sinaptico di una rete planetaria che cresce e si intreccia come un albero, o come un cervello.

Grazie alla sensibilità di linguaggi come questi il design tiene insieme non solo le dicotomie tradizionali che caratterizzano la cultura del progetto (tecnica e poesia, funzione e forma), ma anche le nuove dicotomie specifiche della nostra epoca, come quella tra dentro/fuori, nodo/rete, organico/inorganico, evitando che le loro tensioni giungano al punto di lacerare il tessuto antropologico rispetto al quale vengono invece messe a progetto, per generare nuovi mondi all’interno del nostro mondo.

 

Di Stefano Caggiano

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Dinamismo unito a leggerezza nella confluenza dei tre bracci senza peso della lampada Alya di Gabriele Rosa per Nemo Cassina. I LED forniscono una fonte di luce indiretta e delicata.
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La lampada Anisha disegnata dallo studio spagnolo Lievore Altherr Molina per Foscarini assume la forma di una cornice fluida che avvolge un vuoto riempiendolo di luce.
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La seduta scultorea Enigmum III è realizzata da Joseph Walsh manipolando il legno strato dopo strato e intagliando infine la forma finale.
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La lampada Foop del giapponese Kenjy Fukushima è formata dalla sovrapposizione di due LED piegati. Realizzata in acciaio e acrilico, viene prodotta dal marchio Y.S.M Co.
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Le lampade di John Procario sono realizzate curvando il legno “come un osso o un muscolo”, fino al punto limite di tensione, generando una forma armonica diversamente elegante.
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Kino è una lampada disegnata da Emmanuel Gardin dello studio Krizalid a partire da un unico foglio di betulla. Attualmente in fase di messa in produzione da parte del marchio belga Linadura.
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“Ho immaginato Solium come il negativo della luce”, spiega Karim Rashid. Sintesi tra struttura e ottica, la lampada è prodotta da Artemide in fibra di vetro e acciaio verniciato.