Rifiutano ogni verità precostituita e sono lontani dal perseguire uno stile; alle ‘esibizioni muscolari’ di architetture spettacolari e autoreferenziali preferiscono l’ascolto delle storie dei diversi luoghi e contesti cui rispondere con un linguaggio libero e contemporaneo, deciso e a volte surreale. perché pensano all’architettura come “strumento per raggiungere la conoscenza del reale” e Migliorarlo.

L’idea di un sommergibile, di uno spazio silenzioso che avanza sotto il filo dell’acqua lontano dal ‘rumore’, ripreso sia per il sito web sia per la loro monografia narrativa, appare come la metaforica sintesi di un modo di procedere, dove il progetto di architettura è frutto di una meditazione lenta che porta a soluzioni specifiche declinate luogo per luogo, nei diversi contesti urbani e paesaggi incontrati.

Non si tratta però di mitigare e contestualizzare dal punto divista stilistico e figurativo l’intervento di architettura, piuttosto di lanciare – se vogliamo rimanere all’interno della metafora navale – dei benefici ‘missili’ architettonici, segni precisi e contemporanei, nel paesaggio al fine di attivarne processi di riqualificazione e di confronto. Così, come dimostrano i progetti che presentiamo in queste pagine, nel percorso progettuale dei 5+1AA è inutile cercare di trovare un motivo architettonico ripetibile, una sorta di grammatica riconoscibile e ripetuta in chiave ideologicoprogrammatica. Piuttosto si nota in modo esplicito una grande libertà espressiva che non significa un ritorno nostalgico alla stagione di un rinnovato eclettismo, ma l’adesione al ‘principio della specificità’. Significa affrontare appunto casi e problemi progettuali diversi tra loro e rispondere ad ognuno in modo diverso, rifiutando l’eredità modernista dell’universalità concettuale e di soluzioni precostituite dal punto di vista compositivo e ideologico. Nel descrivere il loro modus operandi Femia e Peluffo parlano di “polifonia”, una risposta polilinguistica declinata da un atteggiamento adattivo che ascolta, analizza e assume il processo progettuale come momento di conoscenza restituito in forma costruita. Un atteggiamento verso il progetto che ci sembra interessante e significativo proporre in questo numero della rivista dedicato all’italianità, offrendo questa selezione di ‘progetti italiani’ in cui emerge un atteggiamento aperto alla libertà espressiva e ben rapportato al carattere dei luoghi, siano essi edifici esistenti in cui operare per elisioni, aggiunte e completamenti, sia che si tratti di opere ex novo al margine dei tessuti edificati, o nuovi brani urbani calibrati nei diversi contesti. Si tratta di un procedere per variazioni, dove il dubbio e la sua soluzione si contrappongono a percorsi propri ad alcuni filoni dell’architettura contemporanea: decontestualizzazione, propensione alla spettacolarizzazione iconica dell’edificio in sé, esaltazione dello stile linguistico. Tutto questo è sostituito dai 5+1AA da alcuni termini-guida che servono a raggruppare e a unire tra loro le diverse opere costruite: “Generosità”, cioè condivisione e pensiero che ogni architettura è ‘pubblica’ in sé; “Corpo”, rapportarsi all’esistente con la propensione al dialogo e al confronto, evitando il monologo e l’autismo; “Meraviglia”, più che esaltazione della soluzione formale uno sforzo di ritornare a vedere la realtà e svelarne il senso attraverso la sua conoscenza. Così nella seppure breve selezione proposta possiamo cogliere per punti il ‘procedere all’italiana’ di questo studio di architettura; un percorso polifonico appunto dove senso e passione per lo spazio urbano, per la materia dell’architettura e per il gusto del calibrato contrappunto, temi forse suggeriti dalla loro città – Genova fatta di stratificazioni e dove in un “orgoglioso disordine di edifici regna il genio della metamorfosi” (così come scriveva lo storico Jacques Guillerme) – che emergono in stretta relazione all’interno di un susseguirsi di occasioni progettuali tradotte sempre in differenti soluzioni di architettura. A Torino nelle Officine Grandi Riparazioni si assume il manufatto urbano come risorsa e il suo riuso, seppure temporaneo, si riconduce all’idea della piazza popolare, della festa (quella dei 150 anni dell’Unità d’Italia) con una grande ‘bandiera’ tricolore costituita dalle corti interne coperte con tappeti materici rossi e verdi tra loro separati dal corpo bianco dello spazio informativo e di accoglienza alle mostre organizzate negli antichi spazi di lavoro. Questi rimangono nella loro immagine di archeologia industriale, enfatizzati per monumentalità e memoria dal bianco della luce e dalle essenziali modifiche funzionali; come gli archi metallici che sostengono le nuove aperture dei percorsi interni necessari ai flussi dei visitatori. Un riuso più che un allestimento, un progetto che tende a sottolineare la “sensazione di appartenenza” a una storia non troppo lontana dove il lavoro appare protagonista nelle tracce del luogo. A volte un atteggiamento ‘narrativo’ si miscela agli spunti del progetto come nella Ludoteca e Biblioteca di Casarza Ligure, in cui la nuova scala di sicurezza che si affianca all’edificio restaurato diventa occasione per sperimentare un racconto da regalare in forma costruita ai giovani frequentatori: la scala è ingabbiata in una ‘trama letteraria’ dove scorrono le parole di Gianni Rodari in un alternarsi di lettere di lamiera bianca e ceramica rossa. Un’architettura tutta da ‘leggere’ che, per contrappunto ed esplicito confronto, si affianca all’edificio esistente nelle vesti di un piccolo ‘mediabuilding’ dal sapore tutto italiano. Ad alcune nature morte di Giorgio Morandi si riferisce invece la riuscita tavolozza cromatica definita per il progetto residenziale di ricostruzione a San Giuliano di Puglia nel Molise. In questo paese, sfregiato dal terremoto, la ricomposizione di un isolato urbano si propone in forma compatta dove però nessuna casa è identica all’altra. Una ‘diversità nell’unità’ risolta con l’uso del colore e di sagome variabili che in chiave contemporanea rispondono all’idea antica del borgo. A Milano due opere affrontano temi attuali e di diversa scala: la riforma dell’edificio dei Frigoriferi Milanesi che accende di rosso le anonime facciate e restituisce alla città una figura rinnovata anche negli interni; mentre al lato opposto della città, al suo margine segnato dal nuovo polo fieristico, un edificio dorato si pone come segno mutevole che segue le ore del giorno. La Torre Orizzontale “è un enigma in forma di edificio che ci obbliga a scoprire la differenza delle ore, dei giorni, la meraviglia di un luogo che sembra grigio e uguale, l’energia della luce, il peso e la leggerezza del cielo”. Più a nord nell’hinterland della città, in località Cormano, il Museo del giocattolo ancora si confronta con l’esistente (una fabbrica dismessa di sironiana memoria) aggiungendo un parallelepipedo sospeso, una ‘zebra danzante’ che crea nel suo porticato un nuovo spazio pubblico e si annuncia ridente all’uso collettivo. Così come nella campagna francese di Ris-Orange, il nuovo centro per la musica ricorda i silos agricoli ricomponendo in forma architettonica la memoria del luogo, del paesaggio e del lavoro dei contadini. Ancora ai ‘margini’, quelli della laguna veneziana, il Palazzo del Cinema come un grande scoglio modellato dal vento si adagia sulle sponde del Lido, aprendosi su un lato alla città con una grande vetrata dalla trama organica che è anche omaggio alla tradizione dei maestri vetrai delle isole vicine.