Invenzione ed empatia sono i nuovi strumenti per insegnare il design agli under 30, la generazione del cambiamento. Quello che conta è il fine tuning con il loro modo di pensare e sfruttare la loro grande curiosità

* Massimo Zanatta, direttore di Istituto Marangoni Design Milano

In questi ultimi dodici mesi abbiamo fatto fronte a un’emergenza didattica. Passare improvvisamente a una nuova forma di insegnamento – nel caso dell’Istituto all’Hybrid Learning – adeguarsi agli strumenti digitali, sintonizzarsi con studenti in ogni parte del mondo senza perdere la loro attenzione. E, nei mesi successivi, trovare modi alternativi e coinvolgenti di trasmettere conoscenza, occuparsi degli aspetti emotivi e umani, non solo di didattica. Mettere a fuoco in modo chiaro chi sono e cosa cercano nel design i ragazzi nati negli anni Novanta. Un compito a cui la crisi pandemica ci ha obbligato come mai prima.

Abbiamo davanti una generazione forte e resiliente perché è già portatrice del cambiamento di cui tutti parliamo. Sono cervelli e intelligenze diverse, che sovvertono il modo di pensare al design e a concetti di forma e funzione e si interessano al progetto in modo sistemico. Vogliono una conoscenza organica del mondo: probabilmente sentono che alla velocità deve corrispondere un’uguale misura di visione. La loro attenzione è fluida, volatile. Usano strumenti cognitivi completamente diversi, passano rapidamente da un argomento all’altro e hanno una sensibilità accentuata per i problemi globali.

Il nostro compito è dar loro gli strumenti giusti per usare una creatività che si concentra soprattutto sull’evoluzione, sulla transizione dal mondo come lo conosciamo. Non possiamo e non dobbiamo giudicare il modo della generazione Z di accedere e usare la conoscenza, conviene invece supportarli nell’immaginare un modo diverso di fare le cose. Direi che è un compito etico e un privilegio quello di cercare i modi per rendere più efficace l’insegnamento, anche integrato, ibrido o a distanza. La learning experience di questi ragazzi del resto è inevitabilmente differente e creatività e sperimentazione sono all’ordine del giorno sia per loro che per noi. Noi abbiamo usato empatia e inventiva, loro curiosità e vivacità.

Come scuola abbiamo cercato di confrontarci costantemente con i colleghi, qui e all’estero, per attivare strumenti integrativi di insegnamento. I metalaboratori, le prototipizzazioni a distanza, la condivisione virtuale dei processi progettuali, il supporto emotivo attuato da psicologi professionisti… in questo modo il modello Hybrid Learning ha funzionato. È naturale avere costantemente il dubbio che l’insegnamento in presenza sia intrinsecamente migliore, ma è un pensiero che va verificato e a cui per il momento non possiamo dare molto spazio.

A sentire gli studenti, dopo l’inevitabile smarrimento e grazie all’impegno e all’inventiva dei docenti, è stato è possibile mettere le basi per un’esperienza di apprendimento gratificante e formativa, durante la quale tutti abbiamo imparato cose nuove.

Gli under 30 spesso sono più sensibili e più puntuali di noi nel cogliere i problemi dell’attualità. Guardano agli oggetti sullo sfondo del loro ciclo di vita, si interrogano e cercano soluzioni alternative alla produzione tradizionale. Pensano a un mondo in cui produzione e ambiente coesistono e comunicano. Per questo il compito più importante è dar loro strumenti sofisticati per comprendere la realtà. Un metodo critico che gli garantisca uno sguardo competente e non superficiale sui temi che loro, già autonomamente, sono in grado di cogliere. Lo vedo nelle loro tesi, nei laboratori di progetto, nelle loro ricerche: il digitale, la comunicazione, il lifestyle sono i loro spazi elettivi.

Per accompagnarli nelle loro esplorazioni invitiamo dei contributor internazionali. Una scelta paradossalmente semplificata dalla pandemia: le IM Design Talks hanno accolto designer e  professionisti da tutto il mondo grazie alla modalità on line, e sono state una risorsa molto importante per continuare a nutrire la vivacità e la curiosità dei ragazzi. Ed è proprio questa fondamentale vitalità che ci spinge a credere che, aiutati dagli strumenti analitici e creativi che siamo in grado di trasmettere, questa generazione ci porterà veramente in un mondo nuovo. In cui non sono certo che esisterà il design così come lo abbiamo conosciuto noi. Ma in cui il design sarà necessario per vivere meglio.

Testo raccolto da Elisa Massoni

 

In apertura: progetto di Visual Design di Giovanni Gridelli nell'ambito della mostra ‘Memphis. Il colore degli oggetti’ all'Istituto Marangoni, in occasione di Milano Design City 2020.

Leggi qui l'approfondimento con intervista al curatore Stefano Caggiano