Il numero degli over 60 sta aumentando vorticosamente: una persona su quattro entro il 2050. Saranno loro a dettare le nuove regole dell’abitare. E non sono quelle che vi aspettate

* Nicola Palmarini è Direttore del UK’s National Innovation Centre for Ageing

Il discorso dell’abitare associato all’invecchiamento della popolazione è complesso ma estremamente rilevante. Non solo perché entro il 2050, circa una persona su quattro avrà 60 anni (senza tenere conto del fatto che l’aspettativa di vita nei Paesi occidentali cresce al ritmo di 2 anni ogni decade). Ma soprattutto perché questo tema ha a che fare con quella articolata faccenda che potremmo definire, nientemeno, vita.

Casa significa affetti

Vale la pena infatti ricordare quanto casa significhi affetti: quel luogo dove amici e famiglia si riuniscono e che, con il passare degli anni, assume ancora un valore psicologico ancora più alto.

La casa è il luogo che custodisce i ricordi proprio di quella vita, la nostra. Le sue stanze sono state il palcoscenico dei nostri trionfi e delle nostre tragedie; le sue soffitte sono un archivio di tesori acquisiti nel corso del tempo: biancheria, panchetti africani, libri, cravatte, fotografie, abiti da sposa, cianfrusaglie diffuse. I marcatori al carbonio14 del nostro vivere.

Rifugio o teatro di vita?

Se quindi da un lato ci troviamo a interpretare la traduzione di un bene (e di un capitale: l’80% degli over 60 in Italia possiede la propria abitazione) fortemente legato alla tradizione e al suo tramandarla (l’eredità sinonimo di mattone), non possiamo non prendere atto delle dinamiche in essere a livello sociale. La casa è dunque un rifugio o un teatro?

La solitudine accelera l’invecchiamento

I temi della solitudine e dell’isolamento sociale non sono certo una conseguenza del virus e bollarli come solo relativi alla fetta di popolazione più vecchia sarebbe un errore. Ma è vero che, come dice il neuroscienziato John T. Cacioppo, “la sensazione cronica di isolamento può guidare una cascata di eventi fisiologici che in accelerano il processo di invecchiamento".

Serve un approccio multigenerazionale all’edilizia

Se quindi sommiamo la necessità di vivere in uno spazio confortevole e socialmente connesso con l’estremo opposto (la difficoltà delle generazioni più giovani a sostenere il costo dell’abitare), è facile intuire come un approccio multigenerazionale all'edilizia abitativa possa fornire una chiave di lettura di quello che ci attende nel futuro-presente.

Lo sdoganamento del co-housing

Cioè comunità più dense composte da case più piccole, con maggiore accessibilità a servizi associati a fenomeni come il co-housing, finalmente sdoganati da imprese  ‘Uber-like’. Come Nesterly, l’esempio più calzante di come trasformare le necessità in opportunità, industrializzandole attraverso nuovi linguaggi (di impresa).

Le scelte degli upper-affluent

Qualcuno potrà anche scegliere di liberarsi del tutto della propria casa per lasciarsi coccolare da neo-contesti abitativi, come quello proposto da The Embassies a Zurigo. Definire la loro Zeitgeist x longevity una residenza per anziani è decisamente inappropriato, soprattutto dopo essere stati inerti testimoni della carneficina occorsa in questi luoghi durante il picco del virus (lo stereotipo di tutto quello che non avremmo mai osato associare al nostro ideale di dignità). Chi sceglie luoghi come The Embassies è chiaramente parte di un mercato upper-affluent ma in crescita, e certamente da tenere presente.

La cura a domicilio

Fondamentali saranno anche i fenomeni dove il tema della cura e della relazione si basa su logiche simili – sebbene totalmente diverse – dal concetto della consegna a domicilio. OnHand in Inghilterra o the PeopleWalker in California – che offrono servizi di cura a domicilio a chi non può muoversi da casa – sono diventati celebri durante la pandemia ma esistevano già da prima. Così simili (una app, un GPS) eppure così diversi da una consegna di Grubhub o Amazon perché qui l’oggetto consegnato si chiama – in buona sostanza – amore. E il mio suggerimento è quello di non sottovalutarne non solo la necessità, ma l’appetibilità commerciale.

Le abitazioni multigenerazioni contro le ineguaglianze

Il tema intergenerazionale è da tenere ben presente nei nostri radar perché c’è una oggettiva necessità di nuove soluzioni abitative flessibili, capaci di mitigare le ineguaglianze (di genere, sociali, economiche), interpretare e adattarsi ai nuovi standard delle diverse fasi della vita (e non solo dell’età). Tuttavia, è necessario imparare a farlo interpretando non solo i bisogni, ma – soprattutto – ascoltando il vero grande assente dalle nostre discussioni attorno al pianeta longevità: i desideri.

I senior sono il mercato del futuro

Ossessionati dal cercare di intercettare Millennials e affini, siamo assuefatti da un bias inconscio secondo cui over 60 è una categoria demografica e sociale definita dalla parola pensionato. Quindi persone fragili, vulnerabili, tecnologicamente inette, uguali e omologate a casalinghe e umarell per cui esistono solo problemi o bisogni: di vasche da bagno con sportello, saliscale elettrici e collanti per dentiere.

Non ci si rende conto della mancata opportunità di cogliere i desideri (e non i bisogni!) di quelle persone. Che hanno passioni, voglia, gusto, intelligenza, esperienza, capacità di scelta, e soprattutto – a differenza dei Millennials – possiedono, in Italia, i due terzi dei patrimoni superiori ai 200.000 euro. Una mancata opportunità (di profitto, di ritorno sociale e di innovazione), a mio avviso, da ogni industria compresa quella del design.

Cucina tra nonni e nipoti

Chi invece se ne accorto ha iniziato a ragionare su territori promettenti. Come il progetto 4GenKi del designer inglese Johnny Grey – ‘la star delle cucine delle star’ in UK – che si svolge su un unico ambiente in grado di evolvere dinamicamente, dai pensili ai piani, dalla stagione ‘figli’ a quella ‘nipoti’. Rispettandole entrambi.

L’era dell’Agetech

Sullo sfondo, certo, è poi la tecnologia a farla da padrona: e anche se fondamentalmente costruiamo ancora case come facevamo centinaia di anni fa, abbiamo creato sistemi per renderle più intelligenti.

Il nascente comparto Agetech a supporto del cosiddetto Ageing in Place è il nuovo Bengodi di Venture Capital e start-up. E quindi via lungo il silicio di sensori, robotica, gestione intelligente dell’ambiente, eccetera. Impossibile e anche noioso elencare tutto quello che sta succedendo attorno a questo dominio. È sufficiente forse citare il solo Samsung Ballie capace di unire design e conoscenza per aiutare a gestire la nostra vita orchestrando i dati collezionati da un intero ecosistema domestico. Un tentativo, certo, ma che lascia intravedere una via in cui l’oggetto di interazione è, appunto, solo il tramite di un sistema più articolato che ronza in background tra cloud e intelligenza artificiale.

Il tema etico

Tutto qui? Oh no, c’è un incomodo silenzioso incombe sullo sfondo: si chiama etica. E riguarda i dati e la loro gestione; riguarda la possibilità di un accesso equo al progresso; riguarda il controllo su di noi e sugli altri.

Il confine tra la autonomia e abuso è un territorio labile e infido: un confine che ogni generazione, nessuna esclusa, sta imparando a difendere e che sarà la discriminante decisiva su cui le imprese, comprese quelle del design, giocheranno il loro successo.