Il dialogo con i designer e l’ascolto empatico del mercato hanno dato vita a quella impresa su misura che rappresenta la forza del sistema produttivo italiano. Ora, la necessaria evoluzione verso il digitale dovrà tenere conto della grande tradizione analogico-artigianale del made in Italy

Distanziamento sociale e made in Italy sono espressioni che fanno fatica ad andare d’accordo. Ça fait deux, si direbbe in francese. Nel corso degli ultimi vent’anni la manifattura italiana ha fatto proprio un modello competitivo che ha rinunciato alle economie di scala tipiche della produzione di massa per esplorare nicchie di mercato attraverso il dialogo con clienti attenti e appassionati.

In tutti settori che hanno fatto la forza dell’export italiano, dal sistema casa alla moda, dalla componentistica alle macchine utensili, le imprese italiane hanno saputo sviluppare empatia e interazione con una domanda che ha chiesto e ottenuto soluzioni specifiche alle proprie richieste. Questa capacità di dialogo e di esplorazione ha potuto contare su un sistema produttivo flessibile e di qualità. La media impresa, che oggi costituisce il pilastro dell’export italiano nel mondo, ha potuto contare su professionalità e competenze radicate nella tradizione artigiana dei distretti e su un sistema di fornitori in grado di garantire tempi di reazione e standard di qualità particolarmente elevati. Gli investimenti in soluzioni 4.0 hanno potenziato questo processo dando qualità tecnologica a un modello originale di ‘industria su misura’.

Il settore del mobile è stato emblematico di questa evoluzione. Qualche anno fa Carlo Molteni in una lunga intervista a La Stampa ricordava come il successo del suo gruppo e di tante altre medie imprese del settore fosse legato inevitabilmente al superamento degli standard. Il suo gruppo a metà anni ’10 produceva la totalità delle cucine e l’80% degli armadi su misura, in base alle specifiche richieste dei clienti. “Molteni è più una sartoria che un’industria. Il futuro dell’industria del mio genere è l’artigianato”.

Dialogo con i designer e comprensione profonda dei bisogni del consumatore sono aspetti essenziali del modus operandi delle imprese italiane. Il vantaggio competitivo del design italiano si è fondato sulla ‘vicinanza sociale. È la ‘vicinanza sociale’ il presupposto per la differenziazione del prodotto e il presidio delle nicchie.

Per una manifattura abituata all’ascolto, annullare viaggi di lavoro, incontri di persona, fiere di settore non è cosa facile. Interrompe il dialogo con la domanda e, più in generale, con una filiera vasta e frammentata. L’unico rimedio a disposizione è una rapida migrazione verso soluzioni digitali su cui la gran parte degli operatori italiani ha investito poco e che ha esplorato solo in parte. Dopo anni di investimenti per ammodernare processi produttivi e logistica in versione 4.0, la priorità si sposta sugli strumenti per gestire la relazione con la distribuzione e, soprattutto, con il cliente finale.

Chi ha investito in questa direzione ha scoperto che è possibile mobilitare la propria forza vendita in videoconferenza, coinvolgere a distanza designer e consulenti internazionali fino a sottoporre ai potenziali utenti un progetto di interni condividendo piante e render via web. Lisa White, voce autorevole dell’agenzia WGSN, ha definito digital craftsmanship questa capacità di proporre sul web e sui social network prodotti virtuali su misura, per tradurli in analogico su richiesta esplicita del cliente.

Si progetta in digitale, si comunica in rete, si produce solo se il cliente acquista, ovviamente on line. Investimenti in comunicazione digitale da parte delle imprese hanno bisogno di una sponda sul fronte delle piattaforme. Anche un sistema produttivo che persegue con determinazione varietà e personalizzazione ha bisogno di momenti di incontro e di confronto per identificare tendenze generali e intercettare l’evoluzione del gusto. Il Salone del Mobile e il FuoriSalone (con tutta la visibilità editoriale che queste due manifestazioni sono in grado di innescare) hanno costituito in questi anni un vero e proprio antidoto alla frammentazione del sistema casa, incrociando le persone e i percorsi di una ampia comunità professionale.

Anche in questo caso l’evoluzione verso il digitale rappresenta un passaggio obbligato. Avremo bisogno di nuove piattaforme per condividere idee e progetti. Avremo bisogno di contenitori digitali in grado di ospitare iniziative a carattere commerciale così come conversazioni e contenuti di carattere culturale. La crisi innescata dal virus Covid 19 ha messo in moto diverse iniziative in questo senso. Nei mesi scorsi, il sito dell’ADI ha raccolto riflessioni e proposte in grado di orientare la professione del designer durante la pandemia e oltre. La piattaforma editoriale Dezeen ha dedicato uno spazio importante ai progetti che hanno preso forma durante il lockdown, coinvolgendo designer da tutto il mondo. Rimane da capire in che modo questa funzione di aggregazione digitale potrà andare oltre l’emergenza.

Covid 19 ha imposto un cambio di passo verso una direzione segnata da tempo. È probabile che fra uno o due anni torneremo a viaggiare, a incontrarci e a frequentare fiere affollate. Per contro, l’impatto del digitale sarà più duraturo. Gli strumenti messi in campo per gestire lo smart working rischiano di modificare in modo irreversibile l’organizzazione delle imprese. Allo stesso modo la relazione con la domanda difficilmente tornerà alle logiche del passato. L’intero settore è chiamato a interpretare in modo originale la trasformazione in atto, rispettando la specificità dei percorsi avviati dalle imprese in questi anni. Questi investimenti in competenze e cultura digitale – è bene sottolinearlo – non devono mettere in discussione la grande tradizione analogico-artigianale del made in Italy. Non devono porre in secondo piano la sua qualità manifatturiera. Al contrario, sono destinati a contribuire in modo decisivo alla sua valorizzazione e al suo rilancio.

 

 

In apertura, una fotografia del trittico Le piccole cose’ di Giorgia Bellotti - Giorgibel.