Dopo anni di abbuffate di ‘cose carine’, la pandemia ha rimesso in voga il valore dell'utilità. Che va bene, se non diventa l'unico parametro per giudicare un progetto. Il rischio è infatti arrivare a considerare un libretto di istruzioni più importante di una poesia di Montale

* Giulio Iacchetti, industrial designer

Ricordate la splendida idea di modificare una maschera da sub per renderla utilizzabile nei reparti di terapia intensiva sui malati di coronavirus? È stato leggendo qualche commento su questo oggetto sui social media che mi sono imbattuto nella frase – soddisfatta e definitiva – “ecco finalmente un design utile”.

Lo stesso commento è stata fatto anche su un mio progetto, una visiera fai-da-te: un foglio di acetato opportunamente sagomato da agganciare agli occhiali per la protezione personale. Come tutte le idee sviluppate per contenere il Covid-19, anche questa è open source, cioè i disegni per realizzarla sono scaricabili e utilizzabili da tutti. E, anche in questo caso, ha fatto capolino la frase: “finalmente un design che serve a qualcosa”.

Il design del fare contro quello "farfallone"

Scoraggia notare come torni ciclicamente ad affiorare l’idea che esista un design utile. Quello funzionale, performante, concreto, pragmatico. Un design del fare (come l’indimenticabile governo del Cavaliere) che si contrappone al design farfallone, nullafacente, spensierato, magari ridondante. Quel design di cui tanti di noi si occupano allegramente: magari, cosa assai disdicevole, disegnando l’ennesima sedia.

A questi patiti dell’utile, sempre per evidenziare ulteriormente il valore di un’idea che salva la vita, torna poi utile (!) stigmatizzare ulteriormente il design considerato “inutile”. E, immancabile, arriva la frase attribuita a Munari a proposito del fatto che ci sono più sedie che culi.

«Utile è ciò che rende migliori», scrisse Nuccio Ordine

Quindi? Facciamo una moratoria dei progetti di sedie?! «Sìììì» gridano gli essenzialisti, basta sedie che ce n’è fin troppe!». E dopo aver azzerato i progetti di nuove sedute, facciamo il contropelo ai tavoli, alle posate, ai comodini, ai vasi di ceramica e ai bidet. Perché anche in questo caso si potrebbe dire che ci sono più bidet che culi da lavare. Ma forse ci sono ancora tanti mercati stranieri da esplorare quindi per ora soprassediamo…

Certo è che per godere del design – inutile o utile che sia – bisogna essere vivi. Quindi ben venga la maschera di Decathlon saggiamente modificata (per inciso: avrei voluto avere io quella fantastica idea...). Ma, come designer e anche come uomo, sono convinto che l’utile è tutto ciò che ci rende migliori. Questa bella frase, che non è mia ma di Nuccio Ordine (dal libro L’utilità dell'inutile) è quella che ci legittima a essere fieri delle nostre poche o misere cose che pensiamo e disegniamo, da Sottsass all’ultimo dei progettisti come il sottoscritto.

Consideriamo il design la tolleranza che impieghiamo nella letteratura

Come trovare allora una linea di compromesso?

Proviamo a usare con il design la stessa tolleranza e apertura che impieghiamo nella letteratura. Anche in quel caso si potrebbe dire che ci sono più libri che teste e occhi per leggerli. Però a nessuno verrebbe in mente di imporre moratorie nella scrittura di testi. O stabilire che un libretto di istruzioni per l’uso del frullatore è più utile di una raccolta di poesia di Montale.

Suggerisco di introdurre la definizione di “diversamente utile” quando parliamo in termini di funzionalità nel design. E chissà che un giorno non si possa leggere, tra i vari commenti ad un nuovo oggetto di design: “finalmente un design che non serve a niente!”.

 

Nella foto di apertura, Ossi/Ossimori disegnati da Giulio Iacchetti e realizzati con l'artigiano Emmanuel Zonta, presso la Galleria Luisa Delle Piane, in occasione del FuoriSalone 2018. Ph. Dimitri Dall’Agnol.