Gli oggetti ironici innescano una relazione di complicità tra chi li ha pensati e progettati e chi ne coglie il senso e l’intelligenza. Regalano un piacere intenso e profondo, che dura nel tempo, come un’amicizia o un amore. Troppa ironia, però…

* Emanuele Magini, industrial designer

La seduta Mezzadro, lo sgabello a dondolo Sella, il lampadario Porca Miseria, l'orologio Tempo Libero, la lampada da terra Toio...

Quando, da adolescente, iniziai a essere attratto da questi oggetti e ricercarli nelle riviste di mia madre, ritagliarli e conservarli nei raccoglitori ad anelli in finta pelle bordeaux di mio padre, iniziai a pensare che sì, da grande, avrei fatto il designer.

Li mostravo ad amici e conoscenti ricevendo quasi sempre la stessa reazione: un breve momento di spaesamento, un osservazione di un paio di secondi, un mezzo sorriso, e l’esclamazione: “Ah, il design!”. Ovvero, pietra tombale sul tema.

Rimanevo un po' deluso da quanto poco quegli oggetti suscitassero stupore e sorpresa, ammirazione e interesse negli altri ma poi ho imparato a farmene una ragione. Dopotutto mi piacevano anche il fegato alla griglia e il piccione in umido, che non incontravano i gusti dei più e va bene lo stesso.

Quegli oggetti non erano solo strani’ – di una stranezza circoscritta e definita nella categoria di design’ – ma, ai miei occhi, erano soprattutto erano magici: riformulavano le categorie del quotidiano, dimostravano l'arbitraria convenzionalità delle certezze su cui si basavano le nostre abitudini personali e collettive.

Gli oggetti ironici sono magici perché innescano una relazione, un riconoscimento tra chi li ha pensati e progettati e chi li vede, li usa, li tocca, li vive. Ci sono codici e linguaggi da decifrare e interpretare, e più tali codici sono sottili, intelligenti, acuti, ricercati, maggiore è la soddisfazione e il piacere del fruitore dell'oggetto. La complicità che si instaura tra chi ha pensato e dato forma all’idea e chi la coglie dà un piacere intenso e profondo, come un’amicizia, quasi come un amore.

L'ironia viene definita, etimologicamente parlando, come finzione, dissimulazione della realtà. Nel design, però, è a mio avviso il contrario: un atto di sabotaggio del reale necessario al mantenimento dei caratteri vitali del nostro ambiente e alla generazione di nuovo spazio di libertà del pensiero. Come spiegava Alessandro Mendini: “sono contrario alla retorica e all'accademia e l'ironia mi permette di azzerare gli eccessi su me stesso, quelli che a volte mi trasformano in una barzelletta”.

È quindi l'ironia un antidoto alla retorica, al conformismo e alle tendenze modaiole?

David Foster Wallace, grande scrittore americano, la considerava uno dei caratteri fondanti la cultura del postmoderno. Sottolineando però come il continuo ed eccessivo ricorso all'ironia, all'autoironia e al sarcasmo destabilizzi la società, deteriorando un elemento cardine del vivere collettivo: l'empatia.

È giusto trasferire questo pensiero anche al mondo del design? Si può parlare di troppa ironia nella progettazione degli oggetti del vivere quotidiano?

La domanda – come tutte quelle interessanti – è aperta. La mia personale risposta è che l’ironia è una cosa seria, da maneggiare con cura.

 

Foto di apertura Giacomo&Fruit Mama, di Giacomo Giannini, scattata nel 1992 per il libro F.F.F. (Family Follows Fiction), Centro Studi Alessi. In primo piano la fruttiera Fruit Mama di Stefano Giovannoni, parte della collezione F.F.F. di Alessi.