Antiche grotte, chiese rupestri e cisterne scavate nella roccia danno vita al paesaggio millenario di Matera, sfuggito alla modernizzazione. Quest’anno la città, Capitale Europea della Cultura, è al centro di un progetto di architettura non costruita, volto al recupero di edifici esistenti e spazi dimenticati’

Non molti sanno che ogni giorno, alle 15.20, un Frecciarossa parte da Milano e arriva alle 23.03 a Ferrandina, una piccola stazione a trenta minuti di macchina da Matera. Passate Napoli e Salerno, il treno si allontana dalla costa tirrenica e viene repentinamente avvolto da un’oscurità che disorienta chi è abituato all’urbanizzazione diffusa della maggior parte del paesaggio italiano.

La Basilicata è, insieme alla Val d’Aosta, la regione con la minore densità di popolazione, quasi un decimo di quella della Lombardia. Se di notte stupisce la sua oscurità, attraversandola di giorno è ugualmente sorprendente la quasi totale assenza di capannoni e case mono e bifamiliari, che sono ormai la norma nel resto della penisola.

Da Ferrandina, che come molte stazioni appenniniche si trova nel fondovalle, la strada sale ripida verso l’altopiano della Murgia. A differenza degli altri paesi lucani, la città storica di Matera si erige non su una cima ma sul fianco di una gravina profonda un centinaio di metri, ed è invisibile dalla città nuova che occupa l’altopiano soprastante.

Se le fotografie dei Sassi sono ormai familiari a molti, raramente viene raffigurato l’altro versante della gravina. Abitata da migliaia di anni, si tratta di un’area selvaggia e verdeggiante, dove le principali tracce umane sono una rete di antiche grotte, chiese rupestri e cisterne scavate nella roccia.

Per secoli i due versanti di Matera - il centro abitato da un lato, i pascoli per il bestiame e le cave di pietra dall’altro - si sono mantenuti in equilibrio. Due universi, urbano e rurale, che altrove sono sempre stati considerati in antitesi, a Matera sono compressi frontalmente in un unico paesaggio.

Poche altre città hanno una così forte presenza dell’ambiente naturale. Se si considera la sua geografia così peculiare, non sorprende quindi che Matera abbia vinto la nomina a Capitale Europea della Cultura grazie a un programma che rigettava esplicitamente nuove edificazioni. Spesso infatti questo tipo di investiture diventa un’occasione per costruire immobili e infrastrutture di alto profilo architettonico ma dal lascito incerto, come fu nel caso di Marsiglia, Capitale della Cultura nel 2013.

Il dossier di candidatura di Matera, sviluppato sotto la direzione artistica di Joseph Grima, parla invece di riuso degli edifici esistenti e recupero di spazi ‘dimenticati’ come le cave di pietra. Matera 2019 è molte cose, ma è soprattutto un esperimento del fare architettura senza volume.

Del resto, Matera ha un rapporto complesso con l’architettura moderna. Come è noto, a partire dal 1952, anno della “Legge speciale per il risanamento dei Sassi”, gli abitanti dei Sassi furono evacuati e trasferiti nei quartieri della città moderna. Sulla scorta del successo di Cristo si è fermato a Eboli, che descrive i Sassi come una sorta di inferno dantesco, il governo guidato da Alcide De Gasperi fece della modernizzazione di Matera una delle proprie iniziative di spicco.

Sebbene sia gli stessi studiosi chiamati ad analizzare i Sassi sia molti degli abitanti avessero sostenuto la possibilità di ristrutturare le abitazioni, il governo insistette sulla necessità dello sfollamento, facendo leva sull’immagine negativa che le ‘caverne’ avevano per un Paese che stava faticosamente cercando di costruirsi un’identità moderna.

L’espansione di Matera coinvolse alcuni dei più importanti architetti italiani del periodo, come Carlo Aymonino, che progettò il rione Spine Bianche, e Ludovico Quaroni, autore del borgo rurale La Martella. Quest’ultimo in particolare fu un esperimento riuscito solo in parte: nonostante alcuni edifici esemplari, come la Chiesa di San Vincenzo de’ Paoli, molti dei servizi pubblici previsti non furono mai costruiti, e la visione idealistica di ricreare ex novo la vita comunale dei Sassi rimase sulla carta.

Quello che Carlo Levi e i politici dopo di lui, concentrandosi sull’aspetto sanitario, non avevano visto, fu che le abitazioni dei Sassi costituivano un sistema sofisticato e ben integrato con l’ambiente naturale circostante. Il risanamento migliorò sì le condizioni materiali dei materani, ma al costo di spazzare via una cultura millenaria.

Tre progetti per una nuova cultura del territorio

L’idea di un’architettura non costruita è ciò che ispira Open Design School (ODS), uno dei progetti cardine di Matera-Basilicata 2019, che consiste in un laboratorio di progettazione collettiva ideato dallo stesso Grima, da sempre sostenitore della progettazione ‘dal basso’ nel campo del design.

Lo scopo di ODS, a cui lavorano quasi venti tra architetti e designer sia locali che internazionali, è stato quello di sviluppare in loco tutte le strutture necessarie agli eventi culturali di Matera 2019. Come spiega il manuale, scritto collettivamente dai partecipanti e disponibile online, ODS si pone apertamente come un’alternativa alle modalità classiche di allestimento, la cui la realizzazione è demandata a ditte esterne scelte tramite procedure burocratiche.

Ha scelto invece di partire dalla struttura THREE+ONE, ideata dal designer tedesco Lukas Wegwerth come un progetto open source, i cui elementi vengono riadattati, quindi prodotti da aziende del posto secondo le esigenze. Il risultato è un sistema leggero e riutilizzabile, erigibile in poco tempo senza conoscenze tecniche specifiche, che può servire per un punto informazioni, per un palco o un allestimento museale.

In un altro senso, anche la grande mostra Blind Sensorium. Il Paradosso dell’antropocene di Armin Linke parla di un’architettura senza volume. Dall’inizio dell’anno, il fotografo italo-tedesco sta viaggiando in Basilicata e Puglia per raccontare “ciò che non si vede”, vale a dire le trasformazioni del territorio imposte dall’attività umana, e soprattutto le infrastrutture che le governano. Il lavoro che Linke porta avanti instancabilmente da più di vent’anni è riassumibile come un archivio di centinaia di migliaia di immagini, che spazia dai corridoi anonimi delle Nazioni Unite alle esplorazioni dei fondali oceanici.