Accoglienza, incontro e integrazione. Dai Sassi al piano, Matera è sempre più ospitale e proiettata al futuro

Il 19 gennaio scorso è iniziato l’anno di Matera Capitale Europea della Cultura 2019 ed è molto aumentata la richiesta di un’ospitalità, proiettata a un turismo di alto livello, in grado di costruire un ponte ‘esperienziale’ tra l’antica identità rupestre e quella contemporanea del centro lucano.

Nell’immaginario comune, Matera resta la città-borgo, unica al mondo, dei Sassi, iscritti nella lista dei patrimoni dell’Umanità dall’Unesco nel 1993, un paesaggio storico-antropologico quasi irreale fatto di ancestrali caverne scavate nella roccia, che accoglievano primitive abitazioni di una civiltà agricola e pastorale; anfratti, scale, scalette e giochi di quota indissolubilmente legati al territorio e alla sua discesa verso le profonde cisterne e i canali utilizzati per la raccolta delle acque.

Uno straordinario patrimonio paesaggistico prima che architettonico del nostro Sud Italia, che regala sensazioni e emozioni, sapori e profumi, ed è diventato oggetto negli ultimi decenni di un capillare restauro conservativo, per scongiurarne il deperimento e non disperderne la memoria.

Paradigmatico in questo senso è stato il progetto di Le Grotte della Civita, un hotel diffuso concepito da Daniele Kihlgren e realizzato dal gruppo Sextantio nella parte più antica dei Sassi, la Civita appunto, a strapiombo sul torrente Gravina e di fronte alla maestosa scenografia del Parco della Murgia. Con la mission di onorare la primordiale essenza materica di questo genius loci, il gruppo Sextantio ha conservato gli spazi e le cubature originari di 18 grotte (stanze) e di un’antica chiesa rupestre (diventata spazio conviviale), integrandoli con contemporanei arredi minimali in un continuum simbolico e strutturale di grande fascino e genuinità. Ma c’è dell’altro nella piccola città della Basilicata, 63.000 abitanti, dove la luce è dominio dello spazio come l’ombra, e la terra non è solo quella aspra e scarna delle rocce. Le eleganti vie, scandite da monasteri, chiese barocche, palazzi seicenteschi e architetture razionaliste, riconducono infatti a un modello classico di sviluppo della morfologia urbana.

E proprio nel centro lucano, al piano, La Suite, facilmente accessibile anche in macchina e correlata a un parcheggio multipiano interrato, propone una forma di ospitalità atipica, cinque stelle, che dialoga con la storia del luogo, integrando in un’architettura di ispirazione modernista il ridisegno di una piazza in chiave di scenografia urbana destinata a spettacoli e intrattenimenti culturali. È stata realizzata da Rita Tamburrino, a guida della Tam.co, costola della più nota Cogem creata dal padre Egidio Tamburrino, e progettata dallo Studio Marco Piva.

Un risultato importante in un contesto preesistente non facilmente malleabile, che è in via di completamento negli interni. La Suite nasce infatti dalla trasformazione di una struttura residenziale, già parcellizzata dagli sviluppatori del progetto in un insieme di unità abitative private distribuite su cinque livelli. È stata riconfigurata per accogliere 40 confortevoli suite, da cui il nome, ‘assistite’ da spazi di relazione che vanno dalla spa con piscina nell’interrato alla lobby, zona bar, sala colazioni e cucina (attiva anche per servizi food & beverage e room service) al piano terra.

“Siamo intervenuti sull’orto-giardino di pertinenza del palazzo originario”, spiega Armando Bruno, partner in charge di Marco Piva, “un ‘vuoto’ della città quattrocentesca, di cui era rimasto soltanto l’arco storico d’ingresso che è stato smontato, restaurato e rimontato esattamente dov’era in principio, per integrarsi in un sistema di facciata completamente differente. È stato il primo passo per ricercare un dialogo e saldare un’architettura contemporanea in un luogo di forti stimoli ed emozioni”. L’edificio si trova infatti in una posizione strategica della città, allo snodo tra la zona storica medioevale e quella del Novecento e del dopoguerra: da una parte regala il panorama del Castello Tramontano in stile aragonese e dall’altra il presepe vivente delle case-grotta e delle chiese rupestri.

Uno straordinario patrimonio paesaggistico prima che architettonico del nostro Sud Italia, che regala sensazioni e emozioni, sapori e profumi, ed è diventato oggetto negli ultimi decenni di un capillare restauro conservativo, per scongiurarne il deperimento e non disperderne la memoria."

Abbiamo fatto un’approfondita indagine sull’architettura storica recente di Matera, che comprende opere di Giancarlo De Carlo, Ludovico Quaroni e Carlo Aymonino”, continua Marco Piva. “Da questa è venuta l’ispirazione per definire l’essenzialità dei fronti che mantengono una percezione di antiche profondità e si presentano come una tessitura di superfici in mazzaro – una pietra dura estratta a conci dall’unica cava esistente – ritagliate da ampie bucature lineari. Queste forature integrano le logge belvedere con le decorative texture frangisole in lamiera stirata (corredo di ogni suite) e le grandi vetrate a sbalzo del volume del giardino d’inverno, che estende la lounge verso la piazza”.

Le magie della luce rivestono un’importanza fondamentale nel progetto. Infatti, non solo dinamizzano i fronti dell’edificio valorizzando l’effetto di tempo sospeso e straniante dell’architettura, ma coinvolgono anche lo spazio di relazione urbano predisposto agli incontri di carattere culturale, nell’ambito della musica, delle arti performative, della letteratura, del teatro. Per parlare non solo ai materani.