Formazione post curricolare per i giovani laureati e tailor made per gli addetti delle imprese. Le scelte strategiche di Poli.design raccontate dal presidente Francesco Zurlo

Il design sta cambiando pelle. Parliamo, oltre che di furniture design, sempre più di design di sistema, attivo in moltissimi ambiti: creativi, culturali, produttivi, economici. Questo anche grazie a un modello formativo più attrezzato e performante. Ne parliamo con Francesco Zurlo, professore ordinario di Disegno Industriale nel Dipartimento di Design del Politecnico di Milano e, da maggio 2020, presidente del CdA di Poli.design.

“Poli.design” spiega Zurlo “è nato come consorzio del Politecnico di Milano fondato nel 1999, che si è poi trasformato in società consortile partecipata: è un ente senza scopo di lucro che comprende associazioni di categoria come ADI, AIAP e AIPI, soci fondatori di Poli.design insieme al Politecnico di Milano, e che da quest'anno comprende anche FLA - FederlegnoArredo. Lo scorso maggio sono stato eletto presidente del CdA e mi è stato chiesto di lavorare sulla visione e sui contenuti di questa società”.

Quali sono i punti di forza di Poli.design?

Abbiamo diverse attività. Ci occupiamo della formazione post curriculare attraverso una serie di prodotti formativi come i Master universitari post laurea triennale e magistrale. Si tratta di Master promossi dall’Università che erogano dei crediti formativi universitari. Poi ci sono corsi di formazione più brevi che vengono incontro alle esigenze del mercato del lavoro. Se c’è da lavorare su un tema, come la necessità di formare tecnici intermedi per gestire per esempio software utili per l’ufficio tecnico di una piccola media impresa, noi lo organizziamo.

Qual è il tuo principale contributo come presidente?

La mia intenzione è di spingere sulla formazione per la Pmi (piccola media impresa). Le piccole medie imprese dedicano scarsissima attenzione alla formazione dei propri dipendenti: in Italia un lavoratore su 5 (il 20%) accede ai corsi di aggiornamento. Una cifra molto bassa rispetto alla media europea.

Come vengono organizzati i vostri corsi di formazione per le imprese?

Partiamo da corsi brevi, di poche ore, fino a 200, organizzati per venire incontro alle esigenze dei lavoratori, nei fine settimana. Ma ci sono anche corsi ad hoc. È come se il Poli.design facesse un’operazione di comprensione di quelli che sono i gap formativi delle aziende mettendo a punto corsi tailor made, cuciti sulle singole realtà in funzione delle esigenze specifiche lanciate dallo staff che si occupa della formazione nelle imprese.

Andate anche in situ?

Sì certamente.

Quali sono state le imprese con cui avete collaborato in questi anni?

Diverse e molteplici. Tra l’altro questo tipo di offerta si rivolge anche a quelle multinazionali che non fanno parte della routine dei corsi formativi interni. Lavoriamo con le giapponesi Fujitsu, Ntt Data, Panasonic, Mitsubishi Electric. E con aziende cinesi come Kuka Home, leader nell’ambito dell’imbottito nel Paese. Abbiamo inoltre appena concluso un percorso formativo per 60 designer con Oppein Home, industria di riferimento nel settore delle cucine, sempre in Cina.

Tornando all’Italia, come vi state muovendo?

Abbiamo, per esempio, un master in furniture design in cui sono coinvolte le aziende più importanti del settore arredo: dal Gruppo Boffi a Lago, da Minotti a Tecno-Zanotta, fino al Gruppo Molteni e molte altre. In questo caso l’approccio è diverso: le aziende non mandano i loro dipendenti ma ci lanciano dei brief che vengono sviluppati insieme per portare un contributo.

Cosa vi chiedono soprattutto le aziende?

C’è un problema comune che hanno le imprese al momento. Ed è cercare di capire che cosa vogliono le generazioni più giovani. Le cosiddette Millennium e Z Generation sono difficilmente decifrabili in termini di consuetudine al consumo. Quindi le aziende si rivolgono a noi per fare delle sperimentazioni.

Spesso le imprese sono anche un po’ sorde rispetto alla formazione. Come le intercettate e in che modo vi proponete?

Stiamo lanciando un’iniziativa chiamata Bridge Lab che ha l’obiettivo di dimostrare cosa si possa fare per le imprese come sistema design del Politecnico di Milano (con Poli.design spesso come driver). Lo facciamo attraverso delle ricerche che individuano trend significativi. Non ci limitiamo ad essere dei trend monitor: la nostra idea è segnalare una serie di scenari possibili e individuare quali potranno essere le industrie influenzate da queste tendenze. È un’iniziativa di attrazione che costruisce percorsi formativi realizzati ad hoc. La nostra forza sta nell’essere dentro al sistema design del Politecnico di Milano: oltre che sui contributi del Dipartimento di Design, di cui siamo una diretta emanazione, e della Scuola del Design, con i suoi 4.000 studenti, contiamo anche sulle sinergie che mettiamo in atto con gli altri 11 dipartimenti, nel caso, faccio un esempio, avessimo bisogno di approfondire tematiche come quelle legate ai materiali chimici, all’industria aerospaziale o altro.

Quali sono i punti focali su cui si sta concentrando Poli.design?

La coscienza ambientale è oramai un tema imprescindibile per chi si occupa di design. E le aziende se ne stanno rendendo conto. Per esempio abbiamo concluso un progetto per Cassina che ci chiedeva di fare una ricerca di materiali ecosostenibili dentro una logica di economia circolare per i suoi prodotti storici. Ora l'azienda sta esplorando alcune di queste soluzioni per capire come possano diventare anche dei prodotti commerciali. Ad ogni modo, sostenibilità, resilienza ed economia circolare sono certamente i temi verso cui le imprese devono orientarsi per rinnovarsi mantenendo salda la propria identità.