Scomparso prematuramente lo scorso febbraio, Bruno Rainaldi si definiva in modo ironico e anticelebrativo “un designer da marciapiede”. Un’autodescrizione che voleva sottolineare la formazione da autodidatta e ‘sul campo’. Profondo conoscitore del mercato e del prodotto di design (dall’arredo ai complementi, all’oggettistica), Bruno Rainaldi all’iniziale capacità di venditore, condotta a Milano nel primo negozio High-Tech di Corso di Porta Ticinese e poi a fianco di Maddalena De Padova nello storico showroom di Corso Venezia, ha sempre unito una grande sensibilità per le arti figurative in senso lato, che ne ha fatto un attento osservatore capace di associazioni trasversali e un eccezionale art director fotografico. Dopo gli esordi con High-Tech e De Padova affianca Enrico Baleri, quale socio della Baleri & Associati, nella definizione di strategie di comunicazione e di scenari commerciali per aziende di design, realizzando, anche per lo stesso Baleri, insuperabili cataloghi di prodotti. Il rapporto diretto con il mercato e con il pubblico diventa una sorta di personale percorso formativo che allo sviluppo della futura figura di ‘Rainaldi designer’ affianca una serie di conoscenze preziose e sostanziali anche per il percorso progettuale dei singoli oggetti e arredi. Le varie esperienze nel mondo del design combinano così curiosità e attitudini personali, passioni per l’arte (tradotte ad esempio nel rilancio di Dilmos nel 1994 con la creazione di Dilmos Edizioni, in cui arte e design si miscelano in chiave sinergica e compositiva), intuizioni manageriali e un singolare linguaggio progettuale aperto alle contaminazioni, lontano da ‘verità’ e stili precostituiti, in grado di ascoltare i comportamenti, i modi di vita e di assecondarne i cambiamenti. La profonda conoscenza delle regole del mercato porta Rainaldi, prima di dedicarsi all’attività diretta di designer, a collaborare come direttore artistico con le maggiori aziende italiane del design; Alivar, MDF Italia, Mussi Italy, Sintesi, Opinion Ciatti e Terzani, sono alcune delle realtà con cui si relaziona in modo strategico. All’inizio del nuovo millennio giunge la svolta verso una scelta professionale più legata al mondo del progetto; la fondazione di Moco Extra Ordinary Furniture, una collezione di mobili firmati da giovani designer guidati dalla regia di Rainaldi, e soprattutto l’apertura con Marta Giardini del grande spazio Entrata Libera (spazio dedicato al design e alla sua cultura, alla vendita e all’incontro), lo spingono sempre più a disegnare e concepire oggetti, arredi, complementi, lampade, in cui la l’esperienza del settore maturata negli anni si unisce all’invenzione progettuale. Tra i tanti pezzi disegnati la libreria di metallo Ptolomeo, che gli frutta il Compasso d’Oro nel 2004 e poi declinata in un sistema di varianti (la Ptolomeo Family), può essere assunta come il progetto emblematico del design di Bruno Rainaldi. Una libreria che nasce dall’osservazione più che da un procedimento formale, un arredo che nasconde la sua forma per privilegiare quella dei libri che contiene: le pile dei libri e dei cd che ognuno di noi accumula nella propria casa nei punti in cui ama più appartarsi (di fianco al letto o al divano, nel ripiano del bagno, sui tavolini del soggiorno) diventano la figura d’ispirazione. La libreria si propone come un pettine contenitore a colonna dove i libri, posizionati uno sull’altro, fanno scomparire le lame metalliche di sostegno lasciando all’osservatore la stessa sensazione dell’ordine caotico della pila dei libri creata in assoluta libertà. Di questo progetto Bruno Rainaldi scriveva: “Pile di libri sui tavoli dello studio, così tante da girarci intorno con lo straccio della polvere. Libri a pile sui tavoli di casa, da spostare per apparecchiare. Una pila sul comodino di sinistra e a terra a fianco del letto. Qualche libro impilato anche a destra. Libri impilati tra i vuoti lasciati dai libri ordinati sugli scaffali. Poco gestibile per forma e contenuto, la pila caotica in parte al divano. […] Questo a casa mia. Questo in tutte le case dove di libri ci si nutre, supporto imprescindibile di vita. Osservare le pile, restare affascinato nell’immaginarle così alte da sfidarne la stabilità. Tradurre questa immagine fantastica in oggetto reale. Ptolomeo atto primo. Dedicata a colui che, per primo, ha raccolto con intelligente passione tutto quanto fino allora scritto senza censura, senza paura”. Un designer empirico e sincero che all’essenzialità del segno ha unito una sensibilità e una versatilità compositiva legata all’osservazione dei modi di vita, in cui l’arte appare come fattore di riferimento. Un designer aperto alle contaminazioni disciplinari e alla sperimentazione, un designer che nella sua eclettica e libera produzione si inserisce nella densa e multilineare tradizione umanistica del design italiano. (Matteo Vercelloni)