Una serie di installazioni interattive, macro-oggetti, micro-costruzioni e mostre hanno esplorato il superamento dei confini disciplinari: il tema è stato sviluppato come ampliamento della visione progettuale a nuove sinergie, a contaminazioni con ambiti di ricerca diversi, quali il cinema, la fotografia; e come applicazione di architettura e design a settori in evoluzione quali il digitale, la tecnologia, la ricerca sulla sostenibilità.
Casetta del Viandante
Mostra ufficiale della XXI Triennale Internazionale di Milano ‘Design After Design’
A cura di Marco Ferreri. Progetti di Marco Ferreri, Michele De Lucchi, Stefano Giovannoni, Denis Santachiara con Cacciati Costruzioni e Restauri, Artemide
“Open Borders significa non avere confini: è un concetto che si lega al camminare. Camminare è percorrere sentieri sempre diversi, sorprendersi ogni volta. L’idea di queste casette nasce osservando le persone che, soprattutto in primavera-estate, percorrono la via degli Abati nella campagna piacentina. Da qui nasce l’idea di dare a queste persone la possibilità di avere un’ospitalità adeguata al loro pensiero. Queste piccole case, messe sul territorio di fianco ad aziende agricole, però autonome, possono diventare un piccolo aiuto anche economico, intese come un albergo diffuso.”
Marco Ferreri, architetto
“La mia casetta del viandante si riferisce alla letteratura romantica sul viandante: dentro ci sarà un’altra casetta ancora più piccola, un letto gonfiabile che diventa una casetta. Interni è aperta a qualsiasi modalità di pensare il progetto e non subisce il limite di doversi rivolgere ai mercati; cerca di raccogliere il meglio delle idee e di comunicarle al pubblico.”
Denis Santachiara, designer
“La Rabbit Chair è una seduta-coniglio che diventa l’elemento caratterizzante all’interno della casetta. È un prodotto che ha la caratteristica di essere un oggetto scultoreo, figurativo, ma anche pratico, una seduta. Lo stesso design negli ultimi anni si è avvicinato al contesto artistico, perché il pubblico è esigente, cerca qualcosa di innovativo, oggetti dalla forte identità.”
Stefano Giovannoni, architetto
“Marco Ferreri ha unito queste due parole che non centrano niente una con l’altra: ‘casetta’, che è una cosa stabile, fissa, immobile, e ‘viandante’, che è uno che non sta mai fermo. Dentro la mia casetta ci vorrei mettere un piccolo vasetto per i fiori, un’erba, una spiga, perché decorare fa sempre bene. Però la cosa che voglio mettere dentro sono i disegnetti che tutti i viandanti fanno; ma non devono essere scritte sui muri, perché rimarrebbero per troppo tempo e le cose che rimangono per troppo tempo oggi non vanno più bene. Perché non abbiamo più spazio nel mondo per mettere cose che durano all’infinito.”
Michele De Lucchi, architetto




Empathic Fuukei
Progetto di Patricia Urquiola con Cleaf
“Abbiamo scelto il termine ‘fuukei’ perché identifica i paesaggi tradizionali giapponesi, dove le nuvole basse creano spessori diversi, sovrapponendosi alle montagne e agli alberi. Questi paesaggi consentono tanti livelli di lettura, profondità, prospettiva. Per l’installazione abbiamo pensato a un grande spinone, una sorta di muro che racconta un paesaggio: quando lo si percorre, da ambedue i lati si avverte questo concetto di non finito; c’è interrelazione tra le diverse superfici che abbiamo impiegato per costruirlo, c’è anche ibridazione fra quello che è un mio punto di vista europeo e quelle che sono le influenze da altri mondi. L’installazione valorizza le capacità tecnologiche dell’azienda nel riprodurre materiali. Quel che non era possibile si è reso possibile.”
Patricia Urquiola, architetto


In/Out
Progetto di Massimo Iosa Ghini con Ceramiche Cerdisa
“Tenersi aperti a molte istanze fa parte di una certa cultura del design e del progetto: un’idea di apertura con la capacità di recepimento delle altre culture. Credo che sia qualcosa di molto importante, legato al ruolo dell’architetto e del designer. L’esterno di questo mio progetto è molto tradizionale, coglie degli aspetti di architettura quasi arcaica. Il passaggio tra l’esterno e l’interno è molto netto: all’interno troviamo un parallelepipedo perfetto, quasi ‘kubrickiano’, sia in termini materici, sia in termini di rappresentazione luminosa. In questo c’è l’idea di due polarità, ci sono diversi modi di pensare che devono stare insieme. Il dialogo fra le due entità viene sottolineato dai materiali, diversi sia nell’aspetto, sia nella provenienza, sia nel modo di posa.”
Massimo Iosa Ghini, architetto


Invisible Border
Progetto di Ma Yansong – Mad Architects con Ferrarelle
“L’installazione Invisible Border si colloca in uno dei più importanti cortili di Milano; l’idea di cortile nel passato era connessa al concetto di confine. Nella società contemporanea dobbiamo aprire le frontiere. È importante usare alcuni nuovi materiali, perché l’edificio storico è molto solido, concreto, mentre ora noi stiamo parlando di apertura, vogliamo avere grande luce, materiali trasparenti. Per l’installazione abbiamo scelto un materiale chiamato Etfe, il cui colore muta da una tonalità densa a una quasi trasparente. È importante creare un nuovo tipo di spazio, che si aggiunge all’architettura tradizionale, dove le persone possono parlare di futuro.”
Ma Yansong, architetto fondatore dello studio Mad Architects


Pick Your Climate
Progetto di Carlo Ratti Associati e Transsolar
“In questo progetto siamo partiti da un nuovo materiale, che agisce all’opposto di una serra. Una serra è un sistema in cui la radiazione del sole entra, viene intrappolata e la temperatura aumenta. Noi abbiamo cercato di fare l’opposto: non una greenhouse, ma una coolhouse, qualcosa che ci permette, senza energia, di raffreddare un volume. Per Open Borders abbiamo cercato di immaginare un futuro aperto in particolare per quanto riguarda il clima, che è fondamentale nell’architettura e nel design. Il clima sta cambiando, quindi ci serve capire come modificare il clima senza usare energia. È un progetto che abbiamo realizzato insieme a Transsolar, uno studio di ingegneri tedeschi, i migliori per quanto riguarda il cambiamento climatico.”
Carlo Ratti, architetto e ingegnere


Radura
Progetto di Stefano Boeri Architetti con Regione Friuli Venezia Giulia, Consorzio Innova Fvg e Filiera del Legno Fvg
“Molti confini non sono necessariamente barriere fisiche: sono dovuti a zone di disconnessione, oppure sono legati alla sonorità degli spazi urbani. L’architettura non è solamente una forma di nobilitazione dello spazio urbano; a volte è anche un’accelerazione nello sperimentare spazialità inedite. Dentro un’architettura così forte, così solida, così importante come quella della Ca’ Granda milanese ho scelto di lavorare sul tema della sperimentazione. Radura è un progetto che gioca quasi di contrappunto con il principio tipologico della Corte del Filarete, nel senso che è uno spazio interno dentro a uno spazio interno; quindi alla fine si creano tre spazialità: quella del porticato, quella del perimetro più esterno della corte e quella della radura interna. Delle fonti sonore misurano queste tre spazialità. Il legno in questo senso è un elemento fondamentale.”
Stefano Boeri, architetto


La stanza del vuoto
Progetto di Parisotto + Formenton Architetti con Italcom, Laboratorio Morseletto
“Esiste una sorta di analogia tra il progetto dell’architettura e l’opera cinematografica: entrambe cercano di interpretare la realtà. Abbiamo scelto un’opera di Michelangelo Antonioni (La notte, ndr) cercando di avvicinare il suo modo di vedere la realtà al nostro. Il tema della commistione delle arti, il poter fare un progetto che sia contaminato è molto vicino al nostro modo di progettare.” Massimo Formenton, architetto
“Abbiamo scelto questa scena (Giovanni tra presenza e assenza con Monica Vitti e Marcello Mastroianni, ndr) del film di Antonioni perché secondo noi nessuno poteva interpretare meglio la contaminazione delle discipline. Abbiamo cercato di ricostruire la destabilizzazione del personaggio tra presenza e assenza attraverso un gioco di riflessioni. Inoltre nei film di Antonioni non è mai ben definito il rapporto tra esterno e interno: anche noi abbiamo costruito un padiglione che in realtà è un patio, e c’è un rapporto che continua tra l’interno e l’esterno.”
Aldo Parisotto, architetto


Towers
Progetto di Sergei Tchoban, Sergey Kuznetsov, Agniya Sterligova con Velko Group
“Per me ogni installazione è un’architettura, quindi è parte di un’esperienza. Al centro del Cortile d’Onore abbiamo presentato una torre, che è sempre la parte principale di un complesso architettonico; d’altro canto questa è una torre che dà informazioni, anche su se stessa, sul proprio design. Comunica con le persone che arrivano alla mostra e vedono le varie immagini sulla torre. Le immagini sono in movimento e inducono la gente a pensare: ‘Com’è questa torre?’ Se ne discute, nasce un dialogo, uno scambio, che è l’essenza di Open Borders. Per questo credo che la nostra installazione sia molto chiara, riguardi l’integrazione delle persone nel dialogo sui confini aperti, un dialogo a cui partecipano tutti.”
Sergei Tchoban, architetto

