Se l’intervento architettonico ha restituito la struttura pura dell’open space, gli arredi non ne fanno un’abitazione minimalista, tutt’altro. Qual è la ragione di questo ‘en plein’?
È vero, la casa, benché svuotata strutturalmente, non lo è negli arredi. Se cioè la struttura, ritrovando le sue origini, resta minimale con l’obiettivo di aprire lo spazio, d’altro canto l’intervento sui materiali naturali e sui mobili è orientato a riempire questo spazio. Non c’è quindi un’esaltazione minimalista dell’ambiente vuoto, ma la ricerca di calore e comfort. Anche per gli arredi la scelta è radicale: design italiano e internazionale, senza alcun mix tra antico e moderno, che pure è il vanto di tanti arredatori. Mi è stata data anche qui carta bianca, e quindi ho creato una mia collezione ideale dei pezzi della storia del design. Vorrei possederli tutti: hanno fatto storia, fino ad oggi.
In questa collezione ideale, quali sono i suoi pezzi preferiti?
Quelli degli anni ’50, come le poltrone di Charles e Ray Eames (la ES106 Billy Wilder del 1968 prodotta da Herman Miller, ndr) o quelle di Warren Platner (la Easy Chair del 1962 di Knoll, ndr). Poi naturalmente ho pensato di sistemare i pezzi vicini secondo analogie anche formali, e comunque secondo ‘simpatie’.
Il suo prossimo progetto sarà per lo stesso committente, una villa in mezzo alla natura vicino Sangemini, sempre in provincia di Terni. Anche qui l’approccio sarà quello di Palazzo Manassei?
Si parte anche qui dall’esistente, in questo caso dall’orografia del paesaggio. Andare a cercare affacci, luce e spazio, sì, in definitiva l’approccio è lo stesso.
Progetto di Carlo Berarducci Architecture - Foto di Fernando Guerra / courtesy Carlo Berarducci Architecture