Milano si propone come un modello di riferimento per un nuovo modo di progettare e concepire i luoghi dell’abitare e del lavoro. Secondo gli architetti Stefano Boeri e Giorgio Donà, co-founder e director di Stefano Boeri Interiors

Perché avete deciso di ‘piantare un nuovo albero’ in questo luogo di Milano? Rappresenta un altro modo di 'coltivare' la città?

Giorgio Donà: Stefano Boeri Interiors nasce nel 2018 come realtà multidisciplinare che, attingendo dall’esperienza costruita negli anni da Stefano Boeri Architetti, promuove lo scambio e la produzione di progetti e ricerche nell’ambito dell’architettura di interni, dell’exhibition design e del product design. La sede di Alzaia Naviglio Grande 108 diventa punto di incontro tra la Milano dinamica e creativa dei Navigli e la Milano del futuro, quella dello scalo ferroviario di San Cristoforo che vive della prossimità con la natura e la campagna milanese. Abbiamo voluto creare un’identità ben definita e inclusiva, realizzando quindi un luogo di lavoro flessibile rispetto alle suggestioni della città e aperto ad accogliere momenti di incontro e di networking. Lo spazio di lavoro è un vero e proprio laboratorio di scambio di idee, confronto di discipline e di incontro tra realtà professionali differenti e complementari.


Stefano Boeri (ph. by Giovanni Gastel)
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Con sede a Milano e uffici a Shanghai e Tirana, Stefano Boeri Architetti si dedica dal 1993 alla progettazione e alla ricerca, principalmente in ambito architettonico e urbanistico, ma anche culturale, del design e dell’interior design. La “molteplicità” è la linea guida che ha orientato in oltre 20 anni un’attività poliedrica attraverso temi progettuali e geografie urbane e sociali del mondo. Un approccio che ha permesso di acquisire un’identità definita e di costituirsi come punto di riferimento a livello italiano e internazionale in ambiti come architettura della biodiversità sostenibile, social housing, strategie di sviluppo urbano a diverse scale. Lo studio ha sviluppato progetti architettonici e di rigenerazione urbana in luoghi complessi e in più continenti, supportando e valorizzando le sinergie tra i diversi attori dello sviluppo, pubblici e privati, avvalendosi della collaborazione con un’ampia rete di figure professionali (consulenti di ingegneria, architetti paesaggisti, agronomi, esperti di scienze sociali) in un continuo dialogo multidisciplinare.

Il lockdown ha messo al centro lo spazio dell’abitare, pubblico e privato, come primo tassello del welfare. Milano può essere considerata secondo voi un modello di riferimento per un nuovo modo di progettare e concepire i luoghi dell’abitare e del lavoro?

Stefano Boeri: Credo che Milano debba proprio rappresentare uno dei modelli di riferimento per un nuovo modo di progettare e concepire i luoghi dell’abitare e del lavoro. Luoghi che in questo momento, nella fase di lockdown prima e ora in questa fase delicata di crescita dei contagi, assumono un ruolo sempre più cruciale. Il distanziamento fisico ha messo a dura prova le relazioni umane, a tutte le scale. Senza dubbio abbiamo dovuto imparare a conoscere e affrontare con maggiore consapevolezza e responsabilità la nostra quotidianità. Prima di tutto, oltre agli spazi e al loro futuro, abbiamo dovuto ripensare e mettere in discussione il concetto legato all’intensità dei flussi, riscoprendo insieme una mobilità morbida e uno scambio di idee ed emozioni sempre più veloce, ma comunque in grado di adattarsi ai nuovi tempi della città.

La città del futuro dovrà essere in grado di riappropriarsi prima di tutto degli spazi aperti: una città interconnessa capace di desincronizzare i propri ritmi, evitare i grandi flussi e le grandi concentrazioni, valorizzare gli spazi ariosi e verdi, riscoprire per esempio le quinte facciate dei palazzi realizzando tetti-giardino ad uso collettivo, dando un nuovo e più concreto senso di responsabilità e coscienza ambientale. Pertanto, oltre alla questione domestica e privata in generale, ci sono tutta una serie di ulteriori fattori e ambiti che andrebbero ripensati e da cui dipenderanno le nostre nuove abitudini, e di conseguenza come abiteremo e useremo i nostri spazi. Possiamo immaginare di ampliare e adattare le aree comuni di tutti gli edifici, creare forme di dispersione funzionale di servizi essenziali – come per esempio presidi sanitari diagnostici di quartiere – e quindi soluzioni raggiungibili in tempi adeguati per dare un nuovo aspetto alle nostre aree urbane e creare forme di autosufficienza locale. L’idea di avvicinare alla sfera privata alcune funzioni in precedenza impensabili all’interno delle mura domestiche e di lavoro credo sia percorribile se guardata però con una visione d’insieme: volgerei l’attenzione agli spazi di intermezzo – come ingressi, vani scala o disimpegni – e ai punti di contatto tra pubblico e privato, la cui distanza dovrà essere un tema di ricerca progettuale molto importante.

Quali sono gli altri temi progettuali imperdibili su cui si giocherà il futuro di Milano, tra centro e periferia?

S.B.: Il momento attuale e i mesi recenti ci hanno messo nelle condizioni di vivere esperienze quotidiane, personali ed emotive totalmente nuove. Poche volte in passato abbiamo attraversato shock globali come quello che stiamo vivendo ora, che ci ha portato inevitabilmente a riscoprire e conoscere una nuova sfera di relazioni umane di vicinato. Le comunità hanno potuto relazionarsi con forme inedite di appartenenza nei confronti dei propri spazi e quartieri. Da questo insegnamento possiamo dunque concepire una città organizzata in piccoli centri urbani, capace di ridurre la densità nei luoghi storicamente di maggiore aggregazione e quindi di avere quartieri più autosufficienti, con servizi delocalizzati e distribuiti, dove ogni singolo cittadino può raggiungere i servizi a sua disposizione entro un tempo di percorrenza di 15 minuti.

Mai come oggi, sono gli spazi interni e gli oggetti del quotidiano a riflettere le trasformazioni negli stili di vita e nei modi di abitare. Chi fa il progettista – chi cioè lavora sull’anticipazione del futuro degli spazi abitati – dovrebbe provare a immaginare un avvenire diverso, inteso non come una rivoluzione ma come un’accelerazione di tendenze già in corso. "

Questa nuova unità di misura e queste tematiche appartengono ora a un dibattito molto caldo, ma sin dal principio per noi hanno rappresentato un terreno di confronto e di ricerca fondamentali per immaginare e ridisegnare gli equilibri interni della città. Una 'città-quartiere', che dunque non dovrà perdere quell’intensità sociale di scambio che la città stessa, nel suo insieme, può generare e offrire. Milano in questo momento è una città in profonda evoluzione, che si basa sulle capacità e le forze del grande capitale umano che la vive e che quotidianamente la trasforma. Si è potuto notare un forte incremento del senso civico, tradotto in necessità di appartenenza e condivisione: una comunità globale che ha saputo manifestare una grande solidarietà verso fasce più deboli anche attraverso lo scambio e il sostegno delle idee e della creatività altrui. Ci sarà dunque sempre più bisogno di questo genere di scambio, e Milano diventa il punto di attrazione e valorizzazione di questo nuovo flusso in arrivo. Una città inclusiva, fatta di una moltitudine di esperienze personali, ma comunque fondata su una visione d’insieme che tra le varie cose traguarda verso una direzione precisa e verso una transizione ecologica e integrale concreta e sempre più visibile.

Ritornando agli interni, gli arredi di oggi sono per voi consoni alle esigenze della nostra epoca?

G.D.: Dobbiamo immaginare innanzitutto un futuro prossimo arricchito da spazi e luoghi adattabili, che possano cambiare durante il giorno. In questo contesto l’arredamento assume dunque un ruolo completamente nuovo e fondamentale. Gli arredi potranno essere sempre più flessibili: durante le ore diurne, per esempio, potranno permettere di trasformare una camera da letto in un luogo di lavoro e, quindi, i letti in tavoli. Gli oggetti che ci circondano possono esprimere soluzioni che garantiscono a tutti i cittadini di vivere e muoversi, senza compromettere la propria salute e quella della comunità. Più in generale, non dobbiamo dimenticarci che la casa non è fatta solo di oggetti, prodotti e tecnologie, ma anche di soggettività. Lo spazio viene quindi trasformato da chi lo vive, con le sue storie, i suoi viaggi e le sue esigenze. Bisogna trovare soluzioni che si adattino velocemente alle necessità di chi le abita e soprattutto lascino spazio alla quotidianità e alle sue molteplici sfaccettature.

La città del futuro dovrà essere in grado di riappropriarsi prima di tutto degli spazi aperti: una città interconnessa capace di desincronizzare i propri ritmi, evitare i grandi flussi e le grandi concentrazioni, valorizzare gli spazi ariosi e verdi, riscoprire per esempio le quinte facciate dei palazzi realizzando tetti-giardino ad uso collettivo, dando un nuovo e più concreto senso di responsabilità e coscienza ambientale."

Che cosa rappresenta Milano per voi e per il design internazionale?

S.B.: Mai come oggi lo studio dei nuovi bisogni abitativi, delle aspettative e dei desideri delle diverse popolazioni di utenti è cruciale per il nostro mestiere e per la nostra città. E, mai come oggi, sono gli spazi interni e gli oggetti del quotidiano a riflettere le trasformazioni negli stili di vita e nei modi di abitare. Chi fa il progettista – chi cioè lavora sull’anticipazione del futuro degli spazi abitati – dovrebbe provare a immaginare un avvenire diverso, inteso non come una rivoluzione ma come un’accelerazione di tendenze già in corso. Stefano Boeri Interiors nasce proprio dalla scelta di creare un laboratorio permanente di ricerca e progettazione su una sfera vitale del quotidiano, che spesso l’architettura e l’urbanistica tendono a sottovalutare.  Quello che è sempre stato un carattere essenziale del design, soprattutto in Italia e – in modo ancora più evidente – a Milano, è la profonda alchimia tra le forze in gioco: il design non è mai un processo univoco e unidirezionale, ma sempre un’incessante conversazione tra la dimensione economico-produttiva delle aziende, la dimensione visionaria – di architetti, designer e progettisti – e la dimensione del desiderio e delle necessità da parte della comunità, che definisce e plasma i bisogni che il design è chiamato, in qualche modo, ad anticipare. Un’incessante conversazione che diventa simbolo di un sistema intero, oltre che di un’intera città.

Foto Comunicarlo per Stefano Boeri Interiors