Inaugurata lo scorso 28 settembre con una grande cerimonia ufficiale per concludersi a metà di ottobre, dopo venti giorni di apertura e oltre 500.000 visitatori, la mostra organizzata da INTERNI con la Tsinghua University nell’ambito della prima Beijing International Design Triennial e curata da Gilda Bojardi con Yang Dongjiang, professore della Academy of Arts & Design del prestigioso istituto universitario di Pechino, ha riscosso un grande successo di critica e di pubblico offrendo la cultura del design internazionale, le sue sinergie e affinità tematiche al largo pubblico. Molte possono essere nel complesso e multilineare paesaggio del design internazionale contemporaneo le interconnessioni concettuali, i rimandi e i confronti che si attivano osservando progetti e prodotti che compongono la mutevole scena dei linguaggi del mondo del design. Nella mostra “Creative Junctions” sono state cinque le categorie individuate, che hanno permesso di creare un confronto visivo, materico e compositivo, tra una serie di progetti di design selezionati tra Oriente e Occidente. Una sorta di design ping-pong (rappresentato a livello visivo e metaforico dalle migliaia di palline da ping-pong arancioni sospese alle strutture espositive costruite nell’ingresso del Museo) che intendeva interpretare e restituire in forma di percorso espositivo coinvolgente il concetto cinese del termine “REN”, riportato nel titolo della prima edizione della Beijing International Design Triennial (“REN: Good Design”) di cui la mostra “Creative Junctions” è stata parte integrante. Il termine “Ren” nella cultura cinese possiede vari significati, quello assunto per la prima Triennale del design di Pechino ha sottolineato in sintesi il valore della relazione tra gli uomini e la necessità del proficuo confronto tra le loro idee declinate per l’occasione nel tema del design, concetto che la mostra “Creative Junctions” ha fatto proprio. Gli oggetti e gli accessori, gli arredi e le lampade selezionati ed esposti anche in forma di creative e spettacolari ‘installazioni’, sono stati organizzati in diverse zone tra loro interagenti per affrontare in modo diretto alcuni temi di riferimento declinati in cinque sezioni principali. Il tema della corrispondenza tra idea progettuale del designer e capacità artigianale e industriale dell’azienda di riferimento (
CREATIVITY< > KNOW HOW) è stato proposto come un legame trasversale e continuo che permane nella storia del design di ogni Paese; dall’Italia, dove questo rapporto è la chiave del successo dell’italian design nel mondo, sino all’Oriente in cui l’eredità della sapienza artigianale si miscela con la produzione industriale dei grandi numeri.
DESIGNER< >COORDINATION affrontava il fenomeno di collaborazione tra un progettista e diverse aziende per la definizione di un sistema coordinato di prodotti in grado di unire in una ‘famiglia allargata’ diversi know-how e differenti modalità produttive e tecniche in un aperto confronto tra processo progettuale e percorso industriale. In tale fenomeno di stretta collaborazione rientrava anche il rapporto tra design e mondo della moda e quello più ristretto, ma significativo, dell’autoproduzione dove il designer veste il ruolo di produttore di se stesso.
TRADITION< >TECHNOLOGY proponeva una riflessione sul valore della ‘durata’ nel tempo di un pezzo di design che permane in produzione scavalcando generazioni, e superando categorie di ‘gusto’ e ‘moda’, per la validità iconica della sua invenzione compositiva senza rinunciare a rinnovare le modalità produttive in relazione alle innovazioni tecnologiche. Insieme a tale caratteristica è emersa la ripresa creativa, e non in chiave di revival, di motivi figurativi, decori e forme, propri della tradizione del passato ‘riprogettati’ in modo contemporaneo secondo moderne tecnologie, ma allo stesso tempo know-how artigianali antichi e modalità produttive del passato sono a volte reintrodotti all’interno del processo di progettazione e produzione del presente.
GENERATIONS< >SENSIBILITY ha sottolineato il rapporto e il confronto tra designer di diversa generazione insintonia nel dichiarare nell’atto creativo una sensiblità comune di valori e modalità progettuali. È stato poi ribadito il ruolo e l’eredità dei ‘maestri’, l’ascolto di lezioni e storie personali diventate patrimonio culturale per il mondo del design. Infine
ORIENT< >OCCIDENT ha costruito un percorso di ricerca di affinità e contatti tra il design contemporaneo orientale e occidentale. Un confronto/incontro sinergico tra Occidente e Oriente, nel riflesso tra due culture e civiltà, offerto da una selezione internazionale di pezzi di design, tutti in produzione, in grado di proporsi in forma tridimensionale come un ‘esperanto progettuale’, specchio della relazione e dell’incontro tra idee (
REN) e linguaggi accomunati dalla stessa tensione qualitativa. Le cinque sezioni sono state organizzate in un allestimento lineare e metaforico ( a cura di Christoph Radl, Matteo Vercelloni e Guan Yunjia) che ha preso atto della monumentalità della hall d’ingresso del Museo, delle sue geometrie e del suo impianto fortemente simmetrico, organizzando inoltre un paesaggio espositivo all’interno di una delle grandi sale del piano terreno. Scartando quindi l’opzione di celare la scena espositiva rispetto allo spazio che l’accoglie, il progetto dell’allestimento ha ricercato con esso una relazione esplicita. In particolare la monumentale simmetria dell’ingresso ha suggerito di lavorare nella zona centrale con un giardino d’installazioni indipendenti, spettacolari ‘invenzioni teatrali’ che hanno saputo reinventare, in una serie di liberi assemblaggi, funzione e figura dell’oggetto d’uso quotidiano. La scena centrale, segnata da una struttura verticale in grado di ‘ricalibrare lo spazio’ e adibita a sostenere la ‘pioggia’ di palline da ping-pong, era affiancata da una delle due vertical homes disegnate da Andrea Branzi poste una di fronte all’altra davanti alle torri degli ascensori interessate anche dalla grafica della manifestazione. Le due strutture espositive colorate di verde acceso (colore del logo della Triennale) rileggevano le geometrie delle librerie tradizionali cinesi, celebrando l’incontro tra diverse figure del design contemporaneo e collocando nei loro spazi una selezione di arredi-icone in verticale. Sul lato opposto alla zona centrale occupata dalle installazioni, l’Arcimboldo, pensato dal designer spagnolo Marti Guixé come collage tridimensionale di arredi e lampade, si poneva come inconsueto guardiano del Museo. Un progetto, quello di Guixé, che si riconduce all’opera pittorica dell’Arcimboldo (artista lombardo della prima metà del Cinquecento) proposta come ‘junction’, che sintetizza l’idea di serrato confronto tra progettisti e figure, materiali e tecnologie, tradizioni e linguaggi, che il percorso espositivo ha voluto creare. Qui la teatralità e l’invenzione scenografica assumono oggetti e arredi come ‘materiali da costruzione’ di una ‘figura altra’, così come l’Arcimboldo operava per comporre i suoi fantastici ritratti: sommatorie ad incastro perfetto di animali, ortaggi, elementi del mondo naturale, ma anche libri. Nel caso del ‘guardiano ciclope’ d’ingresso alla Mostra di Pechino, l’addizione tridimensionale di oggetti, lampade e arredi, ha prodotto una microarchitettura che ha fatto del design, e delle sue componenti utilizzate, un mondo onirico aperto a contaminazioni e a trasposizioni creative. Infine, sempre nell’ingresso, una parete di monitor in cui si potevano seguire interviste ai designer presenti in mostra, affiancati dalle proiezioni video nella sala espositiva successiva, rileggevano la tradizione contemporanea propria di ogni città orientale contemporanea: quella dei mediabuildings. Quelle architetture coperte da grandi schermi video che colorano e rendono dinamiche intere facciate di grattacieli e palazzi di ogni città del Far East odierno. Una metafora urbana perseguita anche nella disposizione espositiva della sala della mostra con pedane di diversa dimensione e altezza disposte in modo lineare, a formare un reticolo di strade da percorrere, con una parete occupata da elementi verticali in cui collocare le luci in modo autonomo, quasi degli still-life autonomi, ma parte di un disegno complessivo, piccole cornici architettoniche chiamate a scandire lo spazio. Una mostra che ha visto 150 designer di 25 Paesi proporre un confronto con 700 pezzi esposti; una riflessione, avvenuta anche nella forma di simposio, tra le diverse culture del progetto che
INTERNI ha voluto rapportare sia alla loro specificità geografica, sia alla realtà del mercato mondiale.
(foto di Maurizio Marcato e studio The Fake Factory) 1st Beijing International Design Triennial Symposium In occasione della 1st Beijing Design Triennial si sono tenute cinque conferenze nel campus della Tsinghua University: questi Symposium erano coordinati dal professor Fang Xiaofeng, professore dell’Academy of Arts & Design, e affidati ai curatori delle mostre aperte al National Museum of China che hanno visto alternarsi sul palco designer cinesi e internazionali per presentare il proprio lavoro e dibattere sul tema del design e sulla sua diffusione a un pubblico più ampio. L’incontro moderato da Gilda Bojardi e Dongjiang ha coinvolto cinque famosi progettisti europei che hanno condiviso la propria esperienza di designer con professionisti e docenti cinesi. Ad ognuno è stato assegnato l’approfondimento di una delle junction perché ne fornissero una lettura attraverso la propria esperienza professionale: Norbert Wangen per Creatività <> Know-how; Stefano Giovannoni per Designer <> Coordination; Patricia Urquiola per Tradition <> Technology; Carlo Colombo per Generations <> Sensibilities; William Sawaya per Orient <> Occident.