Una materialità solida, robusta, alleggerita da pieghe e sfumature inaspettate. Scavare, all’interno di un volume compatto, gli spazi per lavorare sotto la luce del cielo berlinese, per le consuetudini della vita quotidiana, per custodire e mostrare le proprie opere

La casa che Philipp von Matt ha costruito a Berlino per un importante pittore francese, in collaborazione con Stefano Tiracchia (project leader), vuole essere un edificio obbediente, rispettoso delle regole urbanistiche e intonato anche all’atmosfera generale della città e del quartiere; un edificio educato e sobrio ma anche 'inquietante', nella sua capacità di impiegare elementi, colori e misure usuali, nella zona, ma con leggeri spostamenti di attenzione, con sottili manipolazioni percettive, mescolando ordine e disordine, regola ed eccezione. D’altronde il progettista è un architetto attento al confine tra architettura e arte, sensibile al fascino discreto dell’ordinario e abile nell'alterare le consuetudini senza stravolgerle, ma cambiandole solo un po’, con qualche morbida forzatura, qualche innocente tradimento.

“L’edificio", spiega Philipp, "è modellato in accordo con il regolamento edilizio della città, e l’irregolarità della pianta, dovuta ai vincoli urbanistici, è diventata l’occasione per generare uno spazio atipico, interessante, dove collocare il vano della scala”, e dove l’anomalia geometrica - le due pareti convergenti - è utilizzata per creare una prospettiva scorciata, un trompe-l’oeil che amplifica le dimensioni dello spazio reale.

Nel suo testo più celebre, il grande architetto viennese Adolf Loos sosteneva che l’ornamento, in architettura, è un delitto. Certamente, nessuno si è mai attenuto a questa sentenza e, tantomeno, lui stesso, autore dei più raffinati interni viennesi di inizio Novecento. Tuttavia, il verdetto di Loos continua a risuonare in progetti che scelgono l’afasia, l’anonimia, l’astinenza, la nudità e la franchezza dei materiali, come in quelli, recenti, di architetti interessanti quali Valerio Olgiati, Christ & Gantenbein o Raphael Zuber. Niente a che vedere, in questo atteggiamento, con il minimalismo ispirato al grande Ludwig Mies van der Rohe che, illuminato dal motto “Less is more”, raggiungeva ineguagliati traguardi di eleganza e straordinaria bellezza.

Ogni livello si caratterizza per una qualità differente, sempre in sospeso tra una normalità sommessa e una teatralità che mette in evidenza, di volta in volta, un diverso elemento architettonico. Senza parere, la casa diventa la protagonista di una storia semplice, nella trama, ma articolata secondo complessità definite con eleganza."

Il messaggio loosiano è invece alla base di una nuova sobrietà: Loos realizzava esterni semplicissimi, spogliati di ogni ornamento, e interni opulenti, caldi, di grande comfort e pieni di materiali pregiati. Philipp, col proposito di realizzare un edificio “normale, ordinario”, nel volume compatto, nel mutismo delle finestrature semplici e irregolari e nel tetto a padiglione cita le più belle ville loosiane, mentre negli interni mantiene, al contrario del maestro austroungarico, lo stesso rigore scelto per l’esterno.

Nell’ingresso e nella scala, che collega direttamente la sala espositiva con l’atelier, si esplicita con più forza la predilezione per il materiale grezzo, il cemento, con le rigature dei casseri lasciate bene in vista. La scala è una sequenza rude, ma anche fluida e leggera, basata sul grigio luminoso del cemento, che qui è lisciato e fluttua nell’ampio pozzo del vano verticale che, spiega Philipp, consente di calare a terra i dipinti realizzati nell’atelier. Il parapetto, in lamiera d’ottone, aggiunge colore alla vibrazione luminosa e dialoga con la materia del cemento, così diversa, con una ricercata brutalità.

L’edificio è modellato in accordo con il regolamento edilizio della città, e l’irregolarità della pianta, dovuta ai vincoli urbanistici, è diventata l’occasione per generare uno spazio atipico, interessante."

Ma l’opzione di un interno spoglio, per fortuna, non è seguita come un dogma minimalista, è invece commentata, e contestata, da inserti che portano colori, texture e forme più morbide e accattivanti, come le grandi tessere ceramiche della cucina, che sono state recuperate da antichi contenitori per il vino. “Sono affascinato dal contrasto tra l’ordinario e l’eccezionale”, spiega Philipp, e il gusto per l’accostamento incongruo, tra materiali e forme contrapposte, tra il nudo e l’ornato, l’opaco e il luminoso, il freddo e il caldo rappresenta la cifra distintiva di questo interno così ambivalente. L’elemento di eccezione è il cemento, modellato e teso non solo sulle rampe della scala ma anche nelle sagomature dei soffitti, mentre l’ordinario sta nella studiata casualità degli arredi, sempre insufficienti a dominare gli spazi, un po’ 'sperduti' e soccombenti di fronte alla brutalità del cemento e alla abbondante luce nordica soffusa dalle grandi finestre.

Poi, ogni livello si caratterizza per una qualità differente, sempre in sospeso tra una normalità sommessa e una teatralità che mette in evidenza, di volta in volta, un diverso elemento architettonico. Senza parere, la casa diventa la protagonista di una storia semplice, nella trama, ma articolata secondo complessità definite con eleganza, come tutti i passaggi tra il vano della scala e gli ambienti ai diversi livelli, come l’incastro dei mezzanini che sospinge l’onda di cemento al di sopra degli spazi a doppia altezza.

Un edificio educato e sobrio ma anche 'inquietante', nella sua capacità di impiegare elementi, colori e misure usuali, nella zona, ma con leggeri spostamenti di attenzione, con sottili manipolazioni percettive, mescolando ordine e disordine, regola ed eccezione."

Al piano terra, la sala grande, destinata alla vita sociale e alle esposizioni delle opere del padrone di casa, si caratterizza per l’astratto traliccio metallico che sorregge una quadreria a scomparsa e una generosa finestra, sormontata da grandi sopraluce e affacciata sul giardino privato. Al primo piano, dove si trova la zona giorno, la sorpresa si svela nel contrasto forte tra l’onda, increspata e grezza, del soffitto in cemento, il giallo neutro della parete intonacata, il tono caldo del pavimento in doghe di larice e il timpano aguzzo del camino. Il secondo piano, separato e più intimo, accoglie una coppia di doppie camere da letto e il terzo ospita l’atelier. Il lavoro dell’artista si svolge in un open space ampio, occupato soltanto dai piani di lavoro appoggiati ai cavalletti, sormontato e illuminato dal profondo scasso praticato nella soletta, a falde, che lascia scivolare all’interno la luce filtrata dal lucernario.

Progetto di Philipp von Matt - Foto courtesy of ©Atelier PhvM