Si è concluso un decennio cruciale e quello che è iniziato ann uncia grandi sfide. Cosa è cambiato nel mondo del progetto? Lo abbiamo chiesto a cinque importanti curatori e direttori dei musei di design internazionali: ecco le loro visioni, le scelte, il rapp orto con Milano e il Salone. Manualità o tecnologia? Élite o pop? Stile o improvvisazione? Quali strade ha imboccato il design ce lo raccontano cinque grandi esperti che guidano le più importanti istituzioni culturali per il progetto. E che non rinuncerebbero per niente al mondo all’appuntamento milanese di aprile.

Silvana Annicchiarico, Triennale Design Museum, Milano “Considero i primi dieci anni del nuovo millennio a partire dall’11 settembre 2001. Fu un attentato simbolico alla forma architettonica dell’Occidente, il grattacielo; il crollo si è imposto: della fiducia, del futuro, della razionalità, dei maestri. Così è cambiato anche il design, che da mestiere di élite è diventato professione di massa. Sono esplose le nuove tecnologie e l’informatizzazione applicata alla creatività, insieme all’autoproduzione, alla nuova artigianìa. Colgo anche una grande ironia, l’importanza del riuso, della sostenibilità. Infine un ritorno alla sacralità dei valori. Il contenimento dei budget ha avuto un impatto sull’attività dei musei. Noi crediamo in una progettazione rispettosa delle risorse. Abbiamo cercato di coinvolgere con esposizioni emozionali e piene di personalità, e la risposta è stata positiva: il New York Times ha giudicato “Quali cose siamo” di Alessandro Mendini la migliore mostra di design del 2010. La linea editoriale del museo è mutante, cambia ogni anno. Ho cercato di valorizzare il design italiano con mostre sui giovani e sui maestri. Quest’anno apriremo ai Paesi emergenti come Cina e Corea, e indagheremo il tema del tempo. Per la settimana del Salone inauguriamo la nuova edizione del Museo, “Le Fabbriche dei Sogni”, curata da Alberto Alessi, in Bovisa la mostra Independent Secession curata da Andrea Branzi, al Teatro dell’Arte l’installazione ‘Italia in croce’ di Gaetano Pesce e la mostra di Maurizio Galante sul design e il rapporto con gli abiti. Amo gli oggetti dal design anonimo: un martello, ad esempio. Poiché lavoro tra gli oggetti, vorrei una casa vuota in cui conta la qualità di spazio e luce.” Françoise Guichon, Centre Pompidou, Paris “Il periodo che viviamo è di profonda mutazione. Anche se l’abbondanza dei prodotti e il marketing fanno schermo, le convenzioni e le visioni non tengono più le fi la della storia e del presente. Il ‘tempo delle domande’ – come lo defi niva Gaetano Pesce nella mostra al Centre Pompidou del 1996 – è arrivato. Il Museo accompagna i cambiamenti di prospettiva a partire dalle sue collezioni, dagli acquisti e dalle mostre. La contrazione dei budget spingerà alla ricerca di nuove formule museografi che, di nuove collaborazioni, di innovazioni nel rapporto con il pubblico. Milano, grande tempio del design, offre sempre materia di rifl essione, ma anche la possibilità di vedere e rivedere la tavola, le sedie, i gesti, gli atteggiamenti, gli sguardi dei convitati alla Cena di Leonardo, un’eterna novità. Un oggetto che amo, per più di una ragione? La lampada Foglia di Andrea Branzi per Memphis: narra il rapporto tra natura e artifi cio come un incanto.” Deyan Sudjic, Design Museum, Londra “L’ultima decade ha visto in Italia la scomparsa di tre maestri (Achille Castiglioni, Ettore Sottsass, Vico Magistretti, ndr) e il graduale emergere di una nuova generazione. Più in generale l’ecologia è divenuta il nuovo funzionalismo, modestia e austerità hanno rimpiazzato la cultura dell’eccesso. Al Design Museum abbiamo messo in deposito la collezione permanente e operato con mostre temporanee: alcune storiche, come quella sulla Maison Tropicale di Jean Prouvé, altre tematiche (Super Contemporary), altre monografiche, su Dieter Rams e Hussein Chalayan. Dopo 21 anni nell’attuale sede, ci sposteremo nel 2014 nell’ex edificio del Commonwealth Institute, dove esporremo la collezione permanente in uno spazio tre volte superiore. Quando sono a Milano non rinuncio a un Negroni al Bar Radetzky; mi mancano le cene con Ettore Sottsass e adoro i vecchi tram color ocra (ma non mi manca Alitalia). Penso che i curatori non debbano perdere la testa per nessun designer. Ma vorrei possedere una sedia di Otto Wagner, un disegno di Le Corbusier, una fotografia di Charles Eames.” Constance Rubini, Biennale Internationale de Design, Saint-Etienne “Tra i cambiamenti di questo decennio, tre hanno avuto un impatto sul progetto: la rivoluzione digitale, la cultura della sostenibilità e i legami con il mondo della scienza. Il design si ispira alle discipline scientifiche ed è sempre di più immateriale. Quello di oggi è un concetto molto ampio di design, non limitato alla produzione di oggetti. Lo dimostrano i percorsi di giovani designer ispirati al mondo delle scoperte scientifiche, come Susanna Soares e Mathieu Lehanneur. I designers, poi, si pongono in modo ibrido tra metodo industriale e artigianale, utilizzandoli entrambi, come Marten Baas, Jo Meesters, Felipe Ribon e Julia Lohmann. In questo senso, una delle ultime mostre che ho curato, “Dessiner le design”, indaga la differenza tra il progettare con la mano e con il computer. Vivo l’appuntamento con il Salone come il miglior modo per incontrare le persone del nostro settore da tutto il mondo. Quest’anno mi incuriosisce la collezione di arredo di Hermès con pezzi di Antonio Citterio e Enzo Mari. La mia classifica: i vasi Amnesia di Andrea Branzi, il Lit Clos dei fratelli Bouroullec e il mobile Stonehenge di François Bauchet, entrambi di Galerie Kreo.” Caroline Baumann, Cooper-Hewitt National Design Museum, New York “Questo decennio ha mostrato come il design rappresenti una risorsa per risolvere i problemi sociali. Con la mostra ‘Why design now?, chiusa a gennaio scorso, abbiamo evidenziato lo spostamento del design contemporaneo verso finalità di grande impatto sociale. A ottobre apriremo “Design with the Other 90%: Cities”, la seconda di una serie di mostre sulle sfide portate al design dalla crescita urbana nelle periferie e nei sobborghi. La crisi, fortunatamente, non ha inciso sulla nostra programmazione: la raccolta fondi è stata molto buona; abbiamo in programma un ampliamento delle nostre attività con il progetto Re:Design, grazie a cui la galleria sarà più ampia del 60%, istituiremo una biblioteca nazionale del design e aumenteremo i progetti di ricerca. Per quanto riguarda Milano, la trovo una città fantastica per i negozi, la gente, i musei, i caffè. In occasione del Salone visiterò i lavori degli studenti delle accademie a Ventura Lambrate; e non mi perderò il party di Ingo Maurer. Tra le mie passioni personali: le tappezzerie di Trove, quelle di Tres Tintas di Barcellona e il sistema Clouds dei fratelli Bouroullec per Kvadrat.”