L’arcipelago Li Galli, tra Capri e Positano, è una wunderkammer diffusa che sotto la cura di Giovanni Russo De Li Galli e della moglie Nicoletta Fiorucci Russo celebra una nuova forma di alleanza tra uomo e natura attraverso la tutela e la valorizzazione del paesaggio e l’inserimento di opere artistiche

Al largo di Positano, a metà strada dall’isola di Capri, si trova il piccolo arcipelago privato chiamato Li Galli.

È formato da tre isolotti noti come Le Sirene: il grande Gallo Lungo, La Rotonda e La Castelluccia.

Nel XII libro dell'Odissea era descritto da Omero come la 'casa' delle mitologiche creature acquatiche metà donna metà pesce. Esseri che nelle Argonautiche di Apollonio Rodio erano invece “fanciulle nel corpo ed in parte uccelli”.

Donne con testa di gallo. Ecco il motivo del nome. È un luogo magico.

Il promontorio roccioso del Gallo Lungo digrada rapidamente fino al mare.

La rigogliosa vegetazione mediterranea, con fitti pini marittimi sulla cima, nasconde uno scenario a un primo sguardo selvaggio. Poi si scorgono un approdo, una via segnata con muretti a secco, terrazzamenti e architetture.

Il fascino dell’isola è legato soprattutto alla forte relazione che ha avuto con l’arte nelle sue diverse forme espressive.

Nel corso del ’900 illustri proprietari furono i ballerini e coreografi russi Léonide Massine prima e Rudolf Nureyev poi.

Nei primi anni Duemila, dopo un periodo di abbandono, fu acquistata dall’imprenditore Giovanni Russo che, aiutato dalla moglie e appassionata collezionista d’arte Nicoletta, ne ha ripristinato il passato splendore.

Salendo dall’approdo del Gallo Lungo si incontrano due piccole strutture inserite nel versante roccioso ed erette su resti medievali e rovine più antiche, un eliporto e, su uno dei due picchi in cui è diviso l’isolotto, la Villa Centrale.

Quest’ultima sorge sulle ceneri di un’antica domus romana, le cui tracce nascoste sono conservate come tatuaggi indelebili della terra.

Risale agli anni ’20, quando Massine venne in Italia con Picasso, acquistò l’isola e vi si traferì, nonostante la gente del posto lo chiamasse “il russo pazzo che aveva comprato un’isola rocciosa dove potevano vivere solo i conigli”, impossibile da coltivare.

Aneddoto che lui stesso racconta nel libro My Life in Ballet (Macmillan, Londra-New York 1968). Ma dopo anni di lavoro egli riuscì ad addomesticare la natura selvaggia e a farla fruttare.

Romolo Ercolino, in L’isola delle sirene. Li Galli (Longobardi, Castellammare di Stabia 1997) scrive che, per il progetto generale della casa, Massine contattò l’amico e architetto Le Corbusier.

Due volumi originari sviluppati su due livelli, uno in lunghezza l’altro in profondità, definiscono un perimetro pulito a cui sono stati successivamente aggiunti un porticato che affaccia su una terrazza belvedere e merletti a completamento della facciata.

Parzialmente interrato, uno dei due livelli ha ampie finestre e porte-finestre che aprono una visuale a 360 gradi sullo splendido panorama.

Che quella di Le Corbusier sia leggenda o realtà, nella villa razionalista riconosciamo comunque aspetti sottolineati dal maestro franco-svizzero nel suo elogio all’architettura spontanea caprese pubblicato in Domus nell’ottobre 1937: “pura e semplice […] è una sorta di fioritura architettonica germinata sul fianco dell’isola.

Un’emanazione della roccia, una figliazione, un fenomeno vegetale, quasi un lichene architettonico” nato su un nuovo “paesaggio creato dall’uomo” nei secoli.

Le stanze sono decorate con una straordinaria collezione di maioliche ottomane sui toni del verde, del blu e dell’arancio, con le quali Nureyev lasciò i segni della sua presenza.

Il pavimento, sostituito da Giovanni e Nicoletta, è in una lucente e candida ceramica di Vietri posata a lisca di pesce. Una superficie elegante che amplifica l’effetto bianco caprese e che, insieme ai molti vasi, sculture e tavoli di artigiani-artisti della costiera amalfitana, conferma l’attenzione dei proprietari alla ricerca e all’utilizzo di prodotti locali di qualità, in armonia con l’ambiente.

Oggi la Villa Centrale è luogo di rappresentanza.

A pochi metri di distanza c’è l’area più privata, un’architettura bassa in calcestruzzo bianco.

Le architetture giocano su diversi livelli con lo spazio esterno in una successione di terrazze e affacci. Vasche di acqua marina volute da Giovanni e ricavate nella roccia da maestranze locali sono sia riserve idriche sia luoghi di riposo e contemplazione.

Giovanni si considera “un ospite dell’isola che ha l’onore di viverci e prendersene cura”.

Termine quest’ultimo che rimanda alla pratica curatoriale nel senso più profondo e ampio: azione di tutela e valorizzazione ambientale, ma anche arte di esporre.

Tutta l’isola è infatti una wunderkammer diffusa, costellata di oggetti meravigliosi.

La riqualificazione paesaggistica e architettonica, frutto di un’opera colta, puntuale e delicata, avviene attraverso interventi quasi spontanei condotti dai ‘guardiani’ dell’isola e l’inserimento di pezzi d’arte e design di altissimo valore.

“Ci piace accostare le creazioni di grandi maestri a quelle di giovani artisti o di alto artigianato: Ettore Sottsass, Joe Colombo, Konstantin Grcic, Jacopo Foggini, Formafantasma, Luca Cipelletti, Martino Gamper, Michael Anastassiades, Architetti Artigiani Anonimi…”, racconta Nicoletta.

Il tempo lento è forse il segreto di questa esemplare ‘creazione del paesaggio’. Trasformazioni e innesti vengono fatti passo passo, lasciando alla natura il modo di metabolizzarli. Nel rispetto della storia.

La torre saracena con sala prove al primo piano, trasformata oggi in spazio dedicato all’ospitalità, mantiene ancora la vecchia pedana in legno di pino siberiano su cui danzarono i magnifici artisti del passato.

Un soppalco ospita strumenti che allestiscono lo spazio di un quartetto, con una batteria omaggio di Tullio De Piscopo. Alle pareti sono appese vecchie foto.

Nel silenzio, sembrano risuonare note e passi di allora. In tutta l’isola c’è una sorta di stratificazione di identità.

Ogni proprietà ha lavorato per affermare la sua personale impronta e sommarla alle altre, senza annullare quelle dei suoi predecessori.

Giovanni e Nicoletta cercano “di realizzare e scegliere opere con discrezione, con l’intento di non scalfire l’integrità della bellezza dell’isola. Sono tracce di presenze, non interventi veri e propri”, spiegano.

La scelta di opere e arredi segue una narrazione precisa.

Ne sono il perfetto esempio: il divano On the Rocks di Francesco Binfaré che crea un’isola all’interno dell’isola, le poesie di Matilde Cerruti Quara incise da lei stessa nella roccia, i piatti dipinti a mano da Camille Henrot, cotti nel forno di Li Galli, e la scultura di Cécile B. Evans, un quadrato di cemento sagomato con inserti di resina blu mare che è una seduta per godere del magico paesaggio.

Sul soffitto della camera padronale l’affresco dell’artista Emil Michael Klein: trame di linee blu sfumate di rosa compongono 'infiniti' che quasi non si percepiscono se non si alza lo sguardo per cercarli.

La visione di progetto è ambiziosa. “Sembra che ci sia un legame tra un certo tipo di isole e i sogni.O forse il fatto è che le isole di questo genere hanno la capacità di attirare i sognatori”, scrive Gavin Francis in Island Dreams: Mapping an Obsession (Canongate Books, London, 2020).

Il grande desiderio (mai realizzato) di Massine era quello di trasformare Li Galli in un centro artistico internazionale aperto ai giovani.

Questo, in altra ‘forma d’arte’, oggi si sta avverando.

Il giovane Savvas Laz, che considera Nicoletta una sorta di mecenate contemporanea a supporto di nuovi talenti, ha infatti ultimato nella primavera del 2022 il progetto di restyling della grotta di rimessaggio.

Si tratta del secondo esperimento ambientale in cui il designer e artista greco utilizza il metodo Trashformers: casse da imballaggio in polistirolo dismesse vengono ricoperte con fibra di vetro e resina per creare oggetti d’uso.

Materiali di finitura, come lo specchio o il tessuto, ne definiscono la funzionalità e dimostrano le potenzialità formali della re-invenzione dei rifiuti, nonché il ruolo che questa gioca nell’estetica contemporanea dell’Antropocene.

“A Li Galli, i Trashformers sono immersi in uno spazio totalmente bianco scavato nella roccia. Con tocchi di blu, la Grotta Bianca strizza l’occhio all’estetica bicolore delle isole Cicladi e del Mediterraneo.

Il risultato è un’installazione primitivo-futuristica che fonde in un tutt’uno pareti e oggetti, creando un ambiente che rende omaggio al linguaggio architettonico dell’isola e propone un’atmosfera di relax ed evasione”, spiega Savvas.

Per Nicoletta l’isola può essere un importante laboratorio creativo e un display per sensibilizzare sui temi dell’ecologia grazie alla creazione di opere seducenti: “L’intervento di Savvas dimostra come anche materiali di riciclo possano avere una nuova vita e offrire gioia a chi li abita… Non è solo un bellissimo lavoro, ma è anche molto significativo”.

L’isola parla, a chi sa ascoltare, di una storia antica fino ai giorni nostri.

Progetto Giovanni Russo De Li Galli e Nicoletta Fiorucci Russo. Foto Alessandro Moggi - testo Laura Arrighi

Cover photo: la terrazza panoramica con vista su Positano allestita con le sedie della collezione da esterni A’mare di Jacopo Foggini per Edra che si mimetizzano nell’azzurro del mare e delle ceramiche di Vietri a pavimento.