Due sono le cose che possiamo chiedere a un buon hotel: portarci lontanissimo o farci sentire a casa. George Bernard Show era decisamente per la prima opzione, quando scriveva il suo celebre avviso destinato a chi pensa le pubblicità degli alberghi: “Io odio sentirmi a casa quando sono via”.
Chissà che cosa avrebbe detto lo scrittore inglese degli open-house hotel, formula sempre più ricorrente nell’ospitalità internazionale, interpretata da strutture pensate come un affaccio sulla città che le ospita, un abbrivio concepito per restituire al viaggiatore, anche attraverso l’architettura e il design, il respiro di una comunità locale, con un contorno di esperienze e offerte, dall’enogastronomia agli eventi culturali (che torneranno, dopo l’emergenza pandemica) fino alle opere e ai gadget (illustrazioni, moda, libri) disponibili per gli ospiti o in vendita.
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