Cosa vuol dire comfort? Può significare la consistenza di un’idea, una sensazione di benessere oppure il senso di familiarità generato dalla memoria. È questo il filo conduttore dell’incontro, tra Patricia Urquiola e Andrea Berton (la prima spagnola, il secondo friulano, ma entrambi naturalizzati milanesi), ospitato nello showroom di B&B Italia.
Tra il pubblico, una presenza eccellente: Gualtiero Marchesi, salutato da Berton “come Maestro di tutta la cucina italiana, nonché mio maestro, dal momento che con lui ho passato 8 anni della mia vita professionale”.
“Per me il comfort”, esordisce la designer, “è reale, fisico, come nel caso dell’ultimo divano Butterfly che ho disegnato per la collezione outdoor di B&B Italia, ma anche mentale, e questa è la dimensione che più mi interessa. Un oggetto deve essere confortevole per forma e materiale, ma deve avere valenze emozionali. E può essere letto anche come energia, e in questo senso ha attinenza con il cibo”.
Un assist subito colto dallo chef stellato: “comfort per me significa creare sempre nuovi stimoli ed emozioni, a partire dalla percezione visiva, perché un piatto presentato bene crea più interesse all’assaggio. Ma non si può prescindere dal comfort dello spazio. Ho volutamente aperto il mio ristorante in una zona nuova, moderna, Porta Nuova, per avere anche l’impressione di partire da zero; è uno spazio gradevole, in cui vivere l’esperienza del ristorante a 360 gradi”.
Ad avvicinare la cifra professionale di Berton e dell’Urquiola c’è la capacità di innovare e osare. “Per creare davvero bisogna uscire dalla propria comfort zone”, afferma la designer: io non sarei diventata una progettista se non mi fossi mossa da Oviedo per andare a Madrid e quindi in Italia, senza stampelle. Mi sono sempre messa in difficoltà, anche se poi tutti abbiamo bisogno di tornare al nostro piccolo spazio. Il cocooning è necessario”.
“Anche io sono uscito dalla mia comfort zone, spinto dalla curiosità”, ribatte lo chef. “Prima del Ristorante Berton ho rotto gli schemi aprendo due spazi diversi dal mio dna lavorativo: una pizzeria, Dry in via Solferino, , lontana anni luce dal mio modo di vedere la cucina, e di fronte Pisacco, un bistro con una cucina semplice e veloce, per tutti i giorni”.
Entrambi osano e innovano, ma senza mai dimenticare il senso della memoria. “Per me il piatto della memoria è il brodo, infatti propongo un menu in cui a ogni piatto abbino un diverso brodo, servito da bere in tazzina o versato nel piatto, oppure trattato fino a sembrare una crema. È un divertimento in più che mi piace creare per il cliente”.
Divertimento e anche sensazione di familiarità per i clienti dei 10 ristoranti di grido di Bilbao che hanno servito l’acqua dell’acquedotto cittadino in una brocca ceramica firmata Urquiola, commissionata dal comune basco e apprezzata perché presente nella memoria collettiva “poiché si ispirava a un oggetto trovato nel museo cittadinoun antico contenitore di legno usato nei Paesi Baschi per raccogliere il latte di capra”.
Con un ultimo omaggio a Milano, definita dallo chef “la capitale italiana del cibo, per varietà e qualità di offerta; una città che può dare ancora tanto, a patto di procedere con autocritica, che è la condizione della crescita”, la serata si è conclusa pregustando da un lato il risotto alle erbe mediterranee di Berton, dall’altro con la curiosità per un progetto a Ibiza firmato Patricia Urquiola/Ferran Adrià, che promette sorprese. (K.C.)
Foto di Luca Rotondo