Incontro con Catherine Prouvé. In un luogo speciale: la casa che il padre costruì per la famiglia a Nancy, in Francia, capolavoro di architettura prefabbricata

“Permesso? Permesso! Voglio andare nella mia stanza!”. Sorride divertita, questa dinamica signora dallo sguardo vispo, muovendosi come se fosse (ancora) a casa sua. Catherine Prouvé è la figlia minore di colui che Le Corbusier definì “l'archetipo del costruttore”, curatrice dell'archivio paterno e mia guida d'eccezione (un privilegio raro) nella dimora in cui visse da adolescente. E che, quattordicenne, contribuì a costruire, nell'estate del 1954.

Solo nel weekend

“Per me era una cosa normale. Il lunedì, a scuola, i miei compagni raccontavano le classiche attività da fine settimana in famiglia; quando mi chiedevano cosa avessi fatto io, rispondevo tranquilla: noi abbiamo costruito la casa! Ci lavoravamo solo nel week end, perché durante la settimana papà, che all'epoca non era certo famoso, lavorava a Parigi, ma la costruzione non è durata a lungo. La cosa divertente è che i miei genitori spostavano sempre più in alto la posizione del fabbricato, che inizialmente doveva sorgere al livello della strada, fino a portarlo in cima al pendio (con conseguenti ingegnose soluzioni tecniche, ndr) per essere più immersi nel verde e non vedere i vicini. La collina era molto ripida, per cui portavamo tutti i pannelli in cima con la jeep di mamma, ai tempi non c'era ancora la scala. Il mio compito in cantiere mettere in ordine la minuteria, viti, bulloni... un lavoro di precisione!”.

Una casa icona

Dopo poche settimane, l'abitazione è ultimata: una struttura leggera e flessibile, in cui si concentrano tutta l'intelligenza costruttiva, la finezza tecnica e l'esperienza di Jean Prouvé. “La mia casa - diceva - è costruita con elementi di recupero”, principalmente i componenti di facciata che integrano magistralmente illuminazione, ventilazione, isolamento. L'edificio è un assemblaggio di elementi standardizzati, articolati in pianta in base a considerazioni puramente funzionali. La semplice planimetria, sviluppata su un modulo di un metro di lunghezza (la misura dei pannelli prefabbricati), declina tre aree: privata, pubblica e di servizio.

La casa sulla collina

Un corridoio connette le tre zone lungo la parete nord priva di finestre che incorpora le armadiature continue e una grande libreria; la facciata sud è invece aperta e comunicante, sinfonia di pannelli industriali di eterogenea natura: di legno con finestre e oscuranti scorrevoli, di alluminio traforati da oblò, vetrate a tutta altezza. Questa casa sulla collina non illustra astratte e utopistiche idee moderniste. Esprime uno specifico approccio al costruire - secondo i quattro pilastri dell'etica progettuale di Prouvé: economicità, confortevolezza, funzionalità e resistenza - piuttosto che un manifesto estetico. Celebra l'importanza del lavoro manuale, dell'intelligente assemblaggio di elementi industriali, delle soluzioni creative a esigenze pratiche.

Un abitare leggero

Catherine Prouvé apre la porta d'ingresso in alluminio trafitta da oblò, un dettaglio entrato a pieno diritto nella storia dell'architettura. Entra nel living e inizia a snocciolare ricordi. “Mio padre diceva che la stanza principale di una casa è come la piazza in un villaggio: lì ci si incontra, si discute, si sta insieme... e quando vuoi stare tranquillo vai nella tua stanza di 5 metri quadrati. E la mia era la più piccola! Eravamo in cinque ad abitare qui. Invidiavo mia sorella Simone che, essendo tessitrice, aveva diritto alla camera più grande per potere installare il telaio; la stanza di mio fratello era oltre la cucina. I miei genitori dormivano - sì, quello è proprio il letto in cui morì mio padre - nella camera all'inizio del corridoio. Sembra quello di una nave, vero?”. Verissimo, concordo, guardando i pannelli in legno e le porte (le cui maniglie ricordano la gamba della Standard chair) dagli angoli stondati “solo perché per le macchine era più facile tagliare curve piuttosto che angoli retti”. In un angolo della grande sala una rigogliosa palma fuoriesce direttamente dal pavimento: “Come è cresciuta! Avevamo buttato giù qualche seme quasi per scherzo...”.

Bach a pieno volume

Di fianco, una strana struttura in metallo. “Quello è un altoparlante, costruito ovviamente da mio padre, che adorava la musica, del resto sua madre era una pianista. In questa casa risuonava sempre Bach a pieno volume. Anche il camino è opera sua. L'ha fabbricato, tra grandi risate, a quattro mani con un suo amico, mentre le piastrelle sono state decorate da una vicina. È arrivato perfino a costruire le teglie per la sua torta preferita, quella di mele, dicendo che se il forno è quadrato non ha senso che le teglie siano tonde, e in più le torte riescono più grandi!”.

A misura di famiglia

Gli aneddoti sono infiniti: “Questa è stata la prima casa moderna, contemporanea, in cui ha vissuto la mia famiglia. Anzi no. Per due mesi abbiamo avuto una casa di vacanza in Bretagna. Dopo la guerra mio padre disse 'mi è rimasta una casa per rifugiati in fabbrica: la montiamo, ci passiamo due mesi in vacanza e poi troviamo il modo di venderla'. L'abbiamo trasportata un po' in treno e un po' su un camion dell'azienda, mia madre ha trovato il terreno su cui montarla esplorando i luoghi in bicicletta (ovviamente disegnata da Jean Prouvé ndr). Non c'erano né acqua né elettricità, ma noi eravamo felici. Oggi sarebbe una cosa impensabile, per noi all'epoca, ripeto, era normale”.

Impegno sociale

Ride ancora, Catherine Prouvé, pensando ai compagni di scuola convinti che per lavoro il padre costruisse baracche. Si trattava di quei progetti di abitazioni d'emergenza per profughi e senza tetto realizzate industrialmente dagli Ateliers Jean Prouvé, simbolo di un'attività permeata da un forte senso di impegno sociale.

L'archivio Jean Prouvé

Nella Prouvé House di Nancy la famiglia conduceva una vita piuttosto ritirata: “Vista la posizione impervia era difficile che arrivassero gli ospiti che frequentavano prima l'appartamento in centro come Le Corbusier e Jeanneret, talvolta Charlotte Perriand, Fernand Léger, persino Josephine Baker”. Molti anni dopo ci sarebbe venuto Renzo Piano, incaricato dalla municipalità di Nancy, una volta acquisita la casa (aperta alle visite su prenotazione), di studiarne il progetto di accessibilità al pubblico, ma non se ne fece nulla. Un incarico non casuale, visto che Jean Prouvé è un riferimento assoluto per Renzo Piano oltre che colui che lo decretò vincitore, con Rogers, del concorso per il Centro Pompidou. Lì oggi è ospitato l'archivio Jean Prouvé: “C'è un legame con quel luogo, e io sapevo quanto mio padre tenesse a conservare il suo archivio, per questo ho lasciato il mio lavoro per occuparmene e ho impiegato ben 14 anni prima di trovarne la giusta collocazione”.

Nella foto di apertura, ritratto di Catherine Prouvé davanti alla Jean Prouvé House a Nancy. © Vitra, foto Dejan Jovanovic.