foto di Gianni Basso/Vega Mg
testo di Antonella Boisi
Nel tempo, con la frequentazione quotidiana dei cantieri, ha sviluppato un ‘occhio magico’ infallibile: “non prendo quasi mai le misure col metro, ma è raro che sbagli” riconosce Doriana Mandrelli, designer e architetto di fama internazionale che, con Massimiliano Fuksas, ha firmato celebri opere in ogni angolo del pianeta (recentissimi, gli Archivi nazionali di Francia a Parigi).
Sarà per questo che Fuksas si fida e si affida totalmente a lei e alla sua sensibilità femminile nelle realizzazioni private e autentiche: le case in cui abitano il mondo e molte città. Come, nello specifico, la magione senese, buen retiro della coppia nel Chianti toscano. “Trent’anni di condivisione privata e professionale avranno pure il loro peso” racconta Doriana. “Massimiliano ha indirizzato le scelte di consolidamento delle strutture, ma mi ha lasciato ‘carta bianca’ nella ristrutturazione degli spazi interni. In realtà è stato il più motivato a trovare un punto d’appoggio in Toscana, nel paesaggio plastico delle crete senesi, poco distante da Montalcino, dalle terme e dal mare. Ma anche da Roma, dove ci sono lo studio e l’abitazione di riferimento principali. Questa casa in collina l’abbiamo ‘vista e presa’ d’incanto, in un pomeriggio, senza troppi ripensamenti. Il nido di rondini annidato sotto il cornicione del tetto è stato un segno di buon auspicio”. Certo, le suggestioni non mancano: il nucleo più antico dai fronti in mattoni e pietra di fiume risale addirittura al 1300 “era forse un’architettura religiosa, una badia”; più defilato si trova l’edificio minore, fine Ottocento, usato come deposito di attrezzi agricoli e granaio, con la facciata ancora segnata dalle funzionali aperture a grate di mattoni; due corpi parte di un borgo più ampio oggi collegati da una scalinata in cotto in lieve pendenza e dai numerosi spazi di vita all’aperto: l’aia attrezzata per i pranzi, la terrazza-belvedere con il pergolato di glicine viola, il giardino di lecci, viti e ulivi centenari “e poi nuovi cespugli di alloro e di lavanda che formano incredibili macchie rosa”. Tanti colori e sapori che si amalgamano nel vicino bosco per abbracciare a 360° l’avvicendarsi delle stagioni, con uno sguardo aperto sull’orizzonte fino alla città. Ma dietro tutto questo, c’è stato un certosino lavoro, per riscoprire “l’anima autentica del luogo” ricorda Mandrelli. “La casa e il terreno parlavano da soli: ho soltanto semplificato e tolto ciò che non apparteneva all’essenziale architettura originaria, fatta di materiali poveri e senza tempo, le distoniche superfetazioni e contaminazioni frutto di restauri successivi, l’ultimo anni Settanta decisamente invasivo. Il progetto è nato e si è sviluppato in loco, come già era stato per le case di Pantelleria e di Filicudi: site-specific. E nello specifico qui ci interessava ritrovare la campagna e soprattutto la grande serenità dilatata e dolce che c’è fuori ma, come potenzialità, si coglieva già anche dentro. Quindi, consolidate le strutture, rifatti gli infissi, scelto il cotto fatto a mano per i pavimenti in una tonalità quasi rosata, più chiara rispetto allo standard locale, mi sono concentrata sugli spazi interni raccolti, come da consuetudini agresti, intorno ai camini e collegati da grandi archi o piccole volte. Obiettivo è stato aprirli il più possibile e renderli comunicanti, passanti, con l’intento di incrementarne la luminosità e il respiro. Non apprezzo infatti le tonalità scure, buie, spesso opprimenti delle case toscane tradizionali, permeate dalla fisicità massiccia del cotto, delle travi, dei mobili in legno. Così anche le travature in castagno che caratterizzano le coperture sono state sbiancate con latte di calce, mentre le pareti sono state trattate (ad eccezione della cucina) con una pittura simil–tadelakt, a calce e finite con una vernice a cera che lascia tracce imprecise sui muri, come segni del tempo”. Sul piano compositivo, il casale principale accoglie al piano terra un ampio salone, open-space che integra in un continuum salotto e zona pranzo, la grande cucina e una stanza degli ospiti. Al piano superiore, un’ala è stata dedicata agli spazi notte privati e un’ala, organizzata su due livelli, riservata alla figlia più piccola. Il secondo edificio ospita invece un cinema privato, lo studio degli architetti e una stanza degli ospiti. E se le diciannove stanze in origine anguste risultano esponenzialmente dilatate grazie al layout attuale, ciò che fa davvero la differenza di questo palcoscenico domestico d’autore sono gli oggetti di design contemporaneo, vintage e artigianato, che lo riempiono: testimonianza di un gusto eclettico denso, sapientemente dosato negli accostamenti, nelle contaminazioni e nelle stratificazioni fino al più piccolo dettaglio. Con rigore e precisione. “Devo riconoscere” spiega Doriana “che ho ricercato e acquistato soltanto i tavoli e una madia buratto toscana del Seicento che serviva a fare il pane e conservarlo. Per il resto, tutto è frutto di riutilizzo: dai divani rivestiti di bianco d’estate e velluto d’inverno alle poltrone organiche di Arne Jacobsen, dalle antiche porte di riad marocchini appese alle pareti come quadri lignei a quelle thailandesi dai colori vivaci diventate cornici di specchi… raccolti durante viaggi di lavoro, esplorazioni nomadi, incontri improvvisi. Rispetto alla casa, sono venuti prima gli oggetti: spesso non avevo ancora bene in mente dove e come collocarli, ma ho seguito il mio istinto e il mio occhio e qualcosa è restato anche in deposito forzato in garage o in studio prima di trovare alloggio”. E saranno stati anche innamoramenti da collezionisti, ma questa passione per segni di provenienza differente, nel risultato d’insieme riesce a restituire un’aura di protagonismo a ogni presenza negli ambienti, indirizzando lo sguardo verso il riconoscimento del piacere per le forme essenziali e per l’artigianato di design. Cioè verso quelle forme che sono poi fonte d’ispirazione e stimolo elettivo in architettura.