Milano, appartamento generoso negli spazi e nella luce al piano alto di un condominio anni Cinquanta, in zona Porta Romana, ai confini dello storico Giardino d’Arcadia; monoplanare e coronato da un’estesa balconata-loggia; ristrutturato di recente negli interni da Lissoni Associati, firma di spicco nel palcoscenico internazionale del design. Un’inserzione immobiliare di case di qualità suonerebbe più o meno così.
Ma ciò che rende unica questa domus di alto profilo è la sua storia, che è la storia di una famiglia. “Era la casa dei nonni materni ed è ciò che la rende davvero speciale”, racconta Federico Luti, direttore commerciale Kartell (Europa, Cina e Giappone), che incarna, con la sorella Lorenza, la terza generazione già inserita nell’azienda fondata nel 1949 da Giulio Castelli e Anna Castelli Ferrieri – al cui timone dal 1988 c’è il padre Claudio – pioniera degli oggetti e degli arredi di design in plastica, oggi blasonata in tutto il mondo.
L’isola in cui il manager globetrotter ritorna dai suoi viaggi come Ulisse a Itaca, si trova all’interno di un palazzo costruito, tra il 1949 e il 1954, da Ignazio Gardella con Anna Castelli Ferrieri, per l’appunto, e Roberto Menghi, riconosciuto tra gli esempi della migliore architettura milanese dell’epoca.
Lontano infatti dalla freddezza del funzionalismo ortodosso e caratterizzato da un approccio green ante litteram: Gardella volle preservare un albero secolare del giardino storico, inglobandone un ramo all’interno di un balcone e modificando il profilo standard di quello superiore, in modo che non subisse tagli.
“Con l’aiuto di Piero Lissoni, che è caro amico di famiglia, oltre che uno dei designer di riferimento per Kartell, abbiamo trasformato le stanze in cui vivevano i nonni con i loro due figli”, continua Federico Luti, “senza snaturare l’ossatura dell’impianto gardelliano, ma rendendolo più contemporaneo e funzionale alle mie esigenze”.
Quelle di un giovane del XXI secolo che respira la nuova natura e i tempi della terza rivoluzione industriale e desiderava una netta separazione tra le zone più conviviali e aperte (organizzate intorno al divano o al tavolo da pranzo) e quelle private dedicate al relax e allo studio.
Così la via milanese al landscape domestico di Gardella è stata interpretata da Piero Lissoni con un’aderenza al proprio tempo che ha lasciato sullo sfondo, come eco, i grandi presupposti della modernità: dall’idea dell’involucro primario come machine à habiter dinamica a quella estetica di leggerezza, sottrazione e sprezzatura meneghina.
“È stato un intervento di cesello quasi giapponese, nella rigorosa compenetrazione tra le parti”, ricorda Lissoni. “Abbiamo valorizzato l’elemento di maggior pregio che era la grande finestra a tutta altezza sul giardino, recuperando maniglie e infissi originali in metallo (solo impercettibilmente più piccoli, per ragioni di efficienza energetica, nel profilo), mantenendo in diretto contatto visivo con essa la zona del living-pranzo, riconfigurato come un grande open space, segnato dal contrasto tra le pareti chiare finite a marmorino e i pavimenti scuri in rovere termotrattato.
Sulle chiome degli alberi e il verde si apre anche, com’era in origine, la camera da letto. I passaggi tra gli ambienti sono stati invece ridefiniti con una spina centrale fatta di armadiature bianche, pensate come elementi architettonici e cardini delle porte, in modo da scandire in modo fluido la desiderata divisione tra la zona notte e quella giorno.
Ovviamente, poi, gli spazi della cucina e dei bagni, questi ultimi dotati di comfort per un benessere personale da spa, sono stati trasformati in modo radicale”. Frutto di libere scelte di Federico Luti è, di contro, il progetto d’arredo, declinato di volta in volta in base alle sue esperienze di vita, non solo professionali. E come si collocano gli arredi nella trascrizione linguistica lissoniana degli spazi?
“Con il piacere delle cose mixate senza schemi precodificati o integralismi lessicali e in grado di stabilire un confronto dialettico con la storia del luogo”, spiega Luti. “Non mi piace l’idea di casa-showroom, anche se, con un’azienda come Kartell alle spalle, è diventato quasi naturale testare, nella quotidianità, prodotti di vari designer e stili differenti, in colori naturali o note accese. Li ho accostati ad altri pezzi, classici o contemporanei, e d’antiquariato, come il tavolino fine anni Quaranta di Paolo Buffa in noce e ottone, e il mobile di Maurice Dufrêne fine anni Trenta in foglia di palissandro con profili in legno ebanizzato.
O a pezzi affettivi, come la libreria in metallo e legno dei nonni, progettata da Ignazio Gardella, restaurata nello studio, o il grande tavolo ovale bianco anni Settanta Kartell, riadattato nel living. Riconosco che le presenze del brand di famiglia sono, nel loro pluralismo, un leitmotiv in tutti gli ambienti, ma è un continuo contaminarsi con altro, un divenire secondo l’emozione del momento. Ecco perché non ho ancora fretta di finire la casa”.
Dunque, constatato che Kartell ha una produzione 100% made in Italy, l’italianità milanese di questo interno domestico diventa alla fine la proiezione di un progetto che si sviluppa e si valorizza proprio ripensando le nostre molteplici radici.
Foto di Santi Caleca – Styling di Carolina Trabattoni – Testo di Antonella Boisi